La figura di Sissi è una delle più mitologiche che la letteratura, il gossip d’annata, ma in ultima istanza lo stesso cinema ci abbiano donato, soprattutto grazie alla trilogia che rese celebrità generazionale Romy Schneider, nei panni di una figura femminile più unica che rara, tormentata, romantica e tragica.
Su di lei la brillante Marie Kreutzer ha creato Corsage, un biopic che riesce ad rinnovare questo genere e soprattutto a spingersi verso una direzione, in cui il rinnovamento va di pari passo con la sperimentazione, tanto visiva, quanto semantica. Il film riesce ad allontanarsi dai cliché ma nel contempo sa offrire allo spettatore qualcosa di comprensibile, potente e unico. Il tutto a maggior gloria della bravissima Vicky Krieps, che ci offre un’interpretazione potentissima, in un film coraggioso e visivamente magnifico.
Per L’imperatrice d’Austria e d’Ungheria Sissi, la soglia dei 40 anni si sta avvicinando, ma con essa non sono diminuite le ansie, la depressione, la tensione che pare attraversarla e che ne condiziona una vita avara tanto di alimenti quanto di sentimenti.
Corsage, il Corsetto, già dal titolo ci parla soprattutto di una trasformazione fisica forzata, quella di una donna che non aveva altro se non l’apparenza da offrire, che non riusciva a fare alcun progresso sostanziale in una vita basata sulla mera apparenza e rappresentanza.
Marike Kreutzer parte dal 1877, un momento assolutamente problematico per l’impero austro-ungarico, reduce non solo dalla dolorosa sconfitta contro Francia e Regno di Piemonte, della cessione della leaderhip tedesca alla Prussia, ma anche dalla crisi nei Balcani, ma con una monarchia retta dal sempre più incerto Francesco Giuseppe (Florian Teichtmeister).
A consolare Sissi nel suo regno del dolore vi è solamente il cugino Ludovico II di Baviera (Manuel Rubey), brillante ma anche egli infelice, il figlio maggiore Rodolfo (Aaron Friesz) già armato di un disincantato cinismo, la figlioletta che non capisce ancora quel mondo, quel matrimonio incredibilmente infelice tossico.
Sissi cerca la felicità, nelle attenzioni di Bay Middleton (Colin Morgan) che pare sbucato da un romanzo Harmony, poi nelle dame di compagnia, che obbliga una sorta di castrazione esistenziale, la stessa che lei soffre da sempre. Corsage si avvale della splendida fotografia di Judith Kaufmann, che impreziosisce la già sublime scenografia di Martin Reiter e i bellissimi costumi di Monika Buttinger, e grazie ad una sceneggiatura dotata di un equilibrio e una sensibilità uniche, riesce a trasportarci indietro nel tempo, a quando l’Europa era guidata da imperi e dei suoi bizzosi sovrani.
Corsage è nobilitato da un cast che si muove con la precisione di un orologio svizzero, nel mostrarci la Vienna della decadenza dell’Impero, quella che ha tanto ispirato con i suoi abiti, la sua architettura, anche buona parte della realtà visiva universi fantasy ed ucronici.
Si tratta di un mondo a metà tra passato e un futuro incerto, di cui Sissi, interpretata da una Vicky Krieps semplicemente stratosferica, si muove come un fantasma, quello del regno passato, di un futuro fatto di morte e povertà morale. Fuori da quel palazzo, la modernità scalpita, l’arte e la scienza compiono piccoli miracoli, l’uomo diventa sempre più padrone della natura attraverso la tecnica, eppure Sissi è costretta bene o male ad essere una donna oggetto, un’immagine per dei sudditi che hanno qualcosa da applaudire, un mito senza consistenza che anticipa quello delle dive del cinema che fu schiave dello Star System.
Sissi è una creatura che trova consolazione solo nell’evasione, che poi è sempre apparente, sempre condizionata da un etichetta assolutamente dittatoriale, da una volontà di tenerla comunque alla catena di un monarca che la ama senza capirla o comprenderla.
La stessa sessualità in questo film è agognata, si aggira come una promessa non mantenuta, si connette a ricordo della putredine da D’Annunzio e a qualcosa di malato, di frammentario ed inconsistente, di corpi che cercano di essere più attraenti di quello che sono.
Lei intanto, fragile, bellissima, madre assolutamente inadatta, maledetta da una corte che divora i suoi figli, si sfianca con l’anoressia, cerca di entrare in quel corsetto che bene o male funge da metafora di un ruolo, di una vita, che non le possono alzare. Il che rende il film soprattutto una cronaca di una servitù vissuta con abiti sontuosi, in stanze fredde e deprimenti, con la natura che può solo liberare ciò che è possibile.
Corsage arriva in un momento particolare della cinematografia, bene o male la settima arte e ci ha parlato negli ultimi anni di tante donne, attraverso operazioni cinematografiche più o meno riuscite, e risulta assolutamente inevitabile fare un confronto con ciò che la nostra Susanna Nicchiarelli ha creato in questi anni con Nico 88, Miss Marx e Chiara.
Alla luce di un confronto, risulta inevitabile riconoscere che la Kreutzer riesce a non rimanere schiava dello stile, della propria volontà di creare non tanto un biopic impegnato e radicale, quanto soprattutto una biografia tipica nella forma ma non nel contenuto.
Rispetto ad un Miss Marx, per non parlare poi dell’ultimo deludente Chiara, Corsage sostanzialmente fa la figura di un vero musicista di professione contro un volenteroso collega che cerca di far parlare di sé per look, atteggiamenti e provocazioni più che per la consistenza delle note, spiace dirlo.
Il cinema al femminile è grande protagonista della nostra epoca, ebbene il Premio Un Certain Regard per la miglior interpretazione a Vicky Krieps vinto a Cannes, oltre che essere strameritato, è anche la dimostrazione della bontà della operazione in sé.
Perché Corsage non poggia completamente, come molti altri film dei nostri giorni fanno, esclusivamente su di lei, ma la rende punta di Lancia di una costruzione narrativa perfetta per calibrata per profondità anche degli altri personaggi. Soprattutto sa donarci lo spirito di un’epoca a dispetto di alcune piccole licenze che però non pregiudicano il risultato finale di una grande immersione spazio temporale.
Allo stesso tempo, Corsage è un film incredibilmente moderno nel parlarci della prigionia delle donne nella nostra società, qualcosa che supera mode, crolli di imperi e rivoluzioni, che perdura come una sorta di condanna dei tempi di Sissi fino ai nostri giorni.