Ormai è acclarato: il 2022 è l’anno seriale di Ryan Murphy! Soprattutto quest’ultimo periodo è, infatti, caratterizzato da moltissime uscite che lo vedono impegnato come produttore e/o autore, basti pensare alle produzioni Netflix: Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer e The Watcher, le quali stanno ottenendo record di visualizzazioni.
Su Disney+, invece, il 19 ottobre ha debuttato con il primo episodio della seconda stagione di American Horror Stories, i restanti saranno distribuiti settimanalmente. Nato come spin-off di American Horror Story, lo show vuole raccontare storie horror non più sviluppate in un’intera annata, come accade nella serie madre, ma attraverso episodi autoconclusivi (sulla scia di quanto già avviene in Black Mirror). Anche se lo scorso anno, tre episodi su sette (i primi due e l’ultimo) erano sviluppati come una narrazione unica, all’interno della famosa “Murder House”. In questo secondo ciclo, però, ogni trama nasce e si sviluppa nell’arco di circa 40 minuti, nonostante alcune storie avrebbero ampiamente meritato una suddivisione in due parti, se non addirittura un’intera stagione ad esse dedicata.
Nella seconda stagione di American Horror Stories, a balzare immediatamente davanti gli occhi dello spettatore è una maggior cura della trama in quasi tutti gli episodi. Cosa che aveva funzionato meno lo scorso anno, dove erano davvero pochi quelli degni di una menzione positiva. Ryan Murphy e la sua squadra di sceneggiatori devono aver fatto monito delle critiche arrivate dai fan di vecchia data, e il risultato è ben visibile. Il primo episodio, intitolato “Dollhouse”, fa capire fin da subito la diversa direzione presa dalla sceneggiatura. Anzi, la serie utilizza questa inquietante premiere per andare a delineare il background di uno dei personaggi più ambigui del franchise: Spalding, interpretato da Denis O’Hare, il tacito maggiordomo visto in Coven (terza stagione della serie madre). O’Hare è anche uno dei protagonisti di questa season premiere, interpretando il padre del bambino che si rivelerà poi essere proprio Spalding.
Il legame con la terza annata della serie madre è, inoltre, testimoniato dai poteri magici posseduti da Coby (Kristine Froseth), protagonista dell’episodio. Un altro easter egg presente nella premiere si ha nella conclusione, quando Spalding verrà accolto da una giovanissima Myrtle Snow nell’Accademia di Miss Robichaux; la Snow nella sua versione adulta, interpretata dalla bravissima Frances Conroy, sarà uno dei personaggi più importanti di Coven. La seconda stagione di American Horror Stories si presenta, quindi, al pubblico con episodio prequel che attraverso vari easter eggs strizza l’occhio agli appassionati della serie originale, quasi per volergli chiedere scusa. Manterrà però la stessa potenza narrativa nei restanti?
Nei successivi episodi sono molte le tematiche affrontate, in alcune gli sceneggiatori non nascondono di essere stati ispirati da altre serie tv o storie horror. Ad esempio, il secondo episodio intitolato “Aura” ricorda molto Black Mirror e non solo per l’importanza data alle nuove tecnologie, ma anche e soprattutto per le atmosfere claustrofobiche divenute un marchio di fabbrica della serie ideata da Charlie Brooker. In questo episodio viene narrata la storia di Jasyln (Gabourey Sidibe) la quale dopo essersi trasferita con suo marito in una nuova casa decide di acquistare una particolare videocamera (chiamata per l’appunto Aura) sviluppata attraverso un sistema di intelligenza artificiale, così da poter facilmente prevenire l’entrata in casa di estranei. Essa mostrerà però alla donna delle situazioni molto singolari, come quella riguardante uno spaventoso uomo intento a suonare ripetutamente alla sua porta; una volta chiamate la autorità, però, le registrazioni della videocamera non presenteranno alcuna traccia di lui. Nonostante le perplessità di suo marito Bryce (Max Greenfield), Jaslyn capirà che in realtà Aura è un particolare sistema tecnologico attraverso cui vecchie conoscenze, ormai decedute, dell’acquirente bussano alla sua porta per risolvere delle questioni in sospeso, così da poter finalmente trovare pace.
Altri due episodi particolarmente degni di una menzione sono il quinto, in cui viene ripresa la leggenda di “Bloody Mary” realizzandola in chiave moderna e dando una visione inedita del personaggio folcloristico, ed il sesto. Quest’ultimo risulta particolarmente interessante per le molte tematiche affrontati, tra cui la principale riguarda la paura di invecchiare. La protagonista Virginia (Judith Light) non accetta, infatti, lo scorrere del tempo ed è disposta a fare qualsiasi cosa per ritornare giovane e bella, persino mettersi nelle mani di una particolare dottoressa che le propone un miracoloso intervento chirurgico. Nonostante il parere contrario della sua figliastra Fay (Britt Lower, recentemente vista in Scissione), la donna si sottopone all’intervento, questo le lascerà però dei danni permanenti e soprattutto un destino non roseo. L’episodio, intitolato “Facelift”, sembra così voler ricordare agli spettatori più fragili una cosa molto importante: la vera bellezza si trova nel cuore.
Nella seconda stagione di American Horror Stories, nonostante il netto passo in avanti rispetto alla precedente, non risulta tutto perfetto. Il quarto episodio (“Milkmaids”) pur non risultando tra i migliori, presenta una tematica molto delicata e purtroppo tornata un po’ in primo piano in quest’ultimo anno: il vaiolo, affrontato però in chiave horror/splatter. Questo secondo ciclo ha, inoltre, evidenti difetti di sceneggiatura, evidenziati soprattutto negli episodi tre, sette e otto. Ad esempio, il terzo (Drive) con protagonisti Bella Thorne e Nico Greetham narra una vicenda sviluppata però in maniera approssimativa ed affrettata, con una trama realmente interessante solo sul finale. Tale sviluppo non è però tra i peggiori della stagione, gli ultimi due episodi risultano infatti molto meno forti dei precedenti.
Il penultimo, dal titolo “Necro”, fin da subito si caratterizza da scarsa chiarezza e coerenza narrativa, con una trama molto più complessa di quanto poteva sembrare inizialmente. Nel finale di stagione, intitolato “Lake”, la storia seppur poco originale sembra essere migliore del precedente; tuttavia, una conclusione molto veloce ed una recitazione non fortissima contribuiscono a renderlo appena sufficiente. La sensazione è che entrambi gli episodi avevano davvero qualcosa da raccontare ma non l’hanno pienamente dimostrato, presentando agli spettatori la trama solo in superfice senza mai scendere realmente nel dettaglio. Ciò ha contribuito ad abbassare il giudizio complessivo su questa seconda annata di American Horror Stories. Non sarebbe stato meglio dedicare ad entrambe le storie un doppio episodio, se non addirittura un’intera stagione della serie madre?
La seconda stagione di American Horror Stories è approdata su Disney+, pur non essendo esente da critiche risulta più riuscita della precedente. Nonostante non sia stata ancora ufficialmente rinnovata per una terza stagione, ci auguriamo che gli sceneggiatori prendano appunti (come evidentemente già fatto durante la pausa tra il primo ed il secondo ciclo di episodi) così da rimediare agli ultimi errori evidenziati.