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Amare non basta: la recensione di The Son da Venezia 79

Pubblicato il 07 settembre 2022 di Lorenzo Pedrazzi

Come il precedente The Father, anche The Son è tratto da una pièce teatrale del regista Florian Zeller, ma le due storie non sono connesse in alcun modo, pur facendo parte di una trilogia. Il titolo si riferisce a Nicholas (Zen McGrath), figlio diciassettenne di Peter (Hugh Jackman) e Kate (Laura Dern), che si sono separati quando Peter si è innamorato di Beth (Vanessa Kirby), da cui ha appena avuto un bambino. Non appena Kate dice all’ex marito che Nicholas non va più a scuola da un mese, i problemi del ragazzo vengono alla luce: è gravemente depresso, si sente diverso dai suoi coetanei e nutre un profondo rancore per il padre, reo di aver abbandonato la famiglia. Il problema è che, nonostante la buona volontà, né Peter né la madre sembrano in grado di aiutarlo.

The Son, in effetti, mette in scena tutta la nostra incapacità di riconoscere il disagio psichico in quanto malattia, e di attribuirvi il giusto peso come realtà a sé stante. Peter crede che Nicholas sia triste per la fine di una storia d’amore, o che si droghi: insomma, cerca spiegazioni razionali per la condizione del figlio, senza rendersi conto né delle sue colpe né della sensibilità del ragazzo. L’intero film è una lotta disperata contro l’incomprensione degli adulti, incapaci di vedere un male che va ben oltre la concretezza delle cose. Anche i rari momenti di leggerezza – come la scena in cui Peter e Beth cercano di insegnare a Nicholas qualche passo di danza – si perdono in un senso di impotenza, che vanifica tutti gli sforzi genitoriali.

Zeller non fa sconti, e ci ricorda che in questi casi l’amore non basta. Anzi, è proprio l’amore a guidare gli errori di Peter e Kate, troppo presi dalle preghiere del figlio (e dal proprio senso di colpa) per ascoltare i consigli di chi potrebbe curarlo. Serve un approccio medico professionale, come per qualunque malattia. Ciò che ne risulta è un melodramma plumbeo e affilato, persino crudele nella sua onestà; al contempo, però, è un film che ha l’intelligenza di lavorare per ellissi: gli snodi più drammatici sono lasciati fuori campo, e talvolta li apprendiamo dalla voce dei protagonisti dopo che sono accaduti. In tal modo, il regista comunica l’idea di un dramma continuo e senza fine, talmente radicato nelle vite dei personaggi da divenire scontato. Spesso ne vediamo solo le conseguenze, e non ci resta che immaginare gli eventi e trarre le nostre conclusioni.

Anthony Hopkins fa un’apparizione fugace ma davvero memorabile nel ruolo del padre di Peter. Quest’ultimo non vuole ripetere gli errori del genitore, che però – al contrario di lui – non conosce il senso di colpa e predica una forza virile di tipo tradizionale, egoista e insensibile. In fondo, The Son parla anche di questo: la linea ereditaria che unisce padri e figli può essere tossica, se trasmette “valori” come la sopraffazione, la ricerca del potere e l’ossessione per il successo. Una presa di coscienza che, per quanto fondamentale, può essere molto dolorosa.