C’è un’insolita relazione tra comicità e violenza nei film di Martin McDonagh, ma il filo che le unisce è più sottile rispetto alle smargiassate del cinema neo-pulp. L’umorismo del regista anglo-irlandese pare infatti arrendersi alla follia del mondo, è un riconoscimento della sua assurdità innata: non a caso, le storie che racconta spesso digradano nel sangue o prendono piede da episodi brutali, come in Tre manifesti a Ebbing, Missouri. La risata ha quindi una funzione solo apparentemente salvifica, perché alla fine bisogna comunque fare i conti con l’eterno ritorno della violenza.
Accade qualcosa del genere anche in The Banshees of Inisherin (in Italia Gli spiriti dell’isola), che pure non è un thriller come i film precedenti di McDonagh. Negli anni Venti, sull’isola irlandese di Inisherin, Padraic (Colin Farrell) va dal suo migliore amico Colm (Brendan Gleeson) per invitarlo al pub, ma scopre che quest’ultimo non vuole più parlargli: all’improvviso, Colm ha deciso che non apprezza più la sua compagnia. Padraic cerca di fargli cambiare idea, aiutato dalla sorella Siobhan (Kerry Condon) e dall’amico Dominic (Barry Keoghan), ma Colm sostiene di avere le sue buone ragioni. Quando minaccia di tagliarsi un dito per ogni volta che Padraic lo disturberà, la situazione degenera.
Intanto, nel paese si consuma la guerra civile tra i sostenitori e gli oppositori del trattato anglo-irlandese, un conflitto di cui molti non capiscono nemmeno il senso. Anche lo scontro fra Padraic e Colm raggiunge ben presto dei vertici insensati, alimentato dall’ingenua semplicità del primo: un “puro” che non capisce le motivazioni dell’ex amico. McDonagh delinea il loro rapporto attraverso i suoi consueti dialoghi stralunati, ed è bravissimo a usarli per caratterizzare i personaggi. Ognuno di essi – compresi l’adorabile Siobhan e il tenero emarginato Dominic – ha un proprio modo di esprimersi e di reagire alle situazioni, componendo un microcosmo sempre imprevedibile. In effetti, non è facile immaginare le svolte narrative di The Banshees of Inisherin, film che procede autonomamente lontano dai cliché e dalle facili classificazioni di genere.
Quella che all’inizio sembra una commedia, infatti, evolve in un dramma dagli sviluppi surreali, dove l’alienazione dell’isola si riflette sulla solitudine dei personaggi. Se Siobhan cerca di far ragionare i due amici, Padraic e Colm sono fossilizzati (ognuno a modo proprio) nelle rispettive personalità. Emerge così una rigidità tutta maschile, figlia della scarsa abitudine a esprimere i sentimenti, che radicalizza le incomprensioni e le loro conseguenze. Colm mette addirittura a repentaglio la sua arte pur di dimostrare un punto, a riprova di quanto la guerra – su qualunque scala – resti sempre un gesto autolesionistico. The Banshees of Inisherin è però anche un film di grande delicatezza: sa essere spietato, certo, eppure ci ricorda come la gentilezza sia un pregevole tratto distintivo. Traspare dall’amore che lega Padraic e Siobhan, ma anche i personaggi stessi agli animali, in primo luogo l’asinella Jenny che segue Padraic come un cane.
Ne deriva una vicenda paradossale immersa in uno scenario idilliaco, che esalta per contrasto la scelleratezza degli uomini, ma al contempo ne valorizza gli slanci di dolcezza. Chi ha una sensibilità diversa sceglie di fuggire, ma chi è troppo legato alla terra, trincerato nel suo orgoglio nativo, può solo trovare un modo per convivere.