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Non piove, governo ladro: la recensione di Siccità da Venezia 79

Pubblicato il 08 settembre 2022 di Lorenzo Pedrazzi

Nonostante il soggetto paia citare la recente crisi idrica, Siccità è chiaramente un film concepito durante il lockdown. La Roma inaridita di Paolo Virzì, senza pioggia da quasi tre anni, coagula infatti molte delle tensioni che abbiamo visto dipanarsi nella prima fase della pandemia, con tutto il loro carico di discriminazioni sociali e diffidenza verso le istituzioni.

Virzì imbastisce stavolta un racconto corale, dove le storie di vari personaggi si intrecciano nei modi più disparati. C’è un uomo (Silvio Orlando) in carcere da molti anni, che si ritrova libero senza volerlo e va a Rebibbia in cerca della figlia. C’è una coppia (Elena Lietti e Tommaso Ragno) che vivacchia tra social network e potenziali tradimenti, mentre il figlio si chiude nella sua riservatezza adolescenziale. C’è una guardia del corpo (Gabriel Montesi) che comincia a lavorare per la figlia di una ricca famiglia romana (Emanuela Fanelli), proprietaria di una spa che usa moltissima acqua. C’è un autista (Valerio Mastandrea) che rimpiange l’ex moglie (Claudia Pandolfi) e la figlia, con cui si rimette in contatto. C’è un idrologo di Padova (Diego Ribon) che va a Roma per fare da consulente al governo, ma viene sedotto dal mondo della televisione. Nel frattempo, un virus che induce sonnolenza si diffonde in città, portato dalle blatte che brulicano ovunque.

Siccità getta quindi lo sguardo su orizzonti ben più ampi rispetto alla media del cinema italiano contemporaneo, soprattutto se consideriamo la filmografia di Virzì, che non ha mai lavorato a una produzione di questo genere. Con Francesca Archibugi, Paolo Giordano e Francesco Piccolo, il regista ha infatti costruito uno scenario quasi apocalittico, creando un mondo caratterizzato da regole proprie: è quindi un raro caso di film italiano che inventa scenari possibili, accettandone le conseguenze in termini di vastità narrativa. Virzì, peraltro, non indulge neanche troppo nella commedia. L’ironia non manca, insieme ad alcuni personaggi vagamente paradossali, ma Siccità possiede una cupezza di fondo che sa essere abbastanza crudele.

Certo, la coralità del cast non è sempre gestita alla perfezione, e talvolta capita di dimenticarsi qualche personaggio, ma la rete di interconnessioni è molto efficace. Ne risulta un film piacevolmente anomalo e ben girato, anche grazie all’ottima fotografia di Luca Bigazzi, che si allontana dalla piattezza televisiva di molte produzioni coeve. Siamo in un futuro prossimo, ma la metafora del presente è cristallina, non solo per la presenza di un virus: lo scollamento tra i cittadini e le istituzioni pare insanabile di fronte alla crisi, e il populismo striscia fra le code ai distributori dell’acqua. Peccato solo per la deriva violenta di una delle storie, troppo forzata e inverosimile rispetto alle premesse, nonché figlia di uno scontro sociale che vede gli “ultimi” in veste di aggressori. Ma, a parte questo, Siccità è una deviazione inedita e accattivante nel cinema del regista toscano.