Pinocchio di Zemeckis, la recensione: il coraggio di un burattino

Pinocchio di Zemeckis, la recensione: il coraggio di un burattino

Di DocManhattan

Ogni mattina, un live action tratto da un Classico Disney si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di un sacco di gente. Di chi si straccia le vesti se la nuova versione di un qualcosa a cui è legato si discosta un minimo da quest’ultima (sono quelli che parlano in continuazione di questo rischio che qualcuno rovini la loro infanzia: tornando indietro nel tempo, probabilmente, altrimenti non si spiega). Ma pure di chi, se invece la nuova versione in oggetto è troppo simile all’originale, la bollerà come una produzione inutile. Ma allora a cosa serve, il nuovo Pinocchio in carne, legno digitale e ossa, appena sbarcato su Disney+? Il film di Robert Zemeckis con Tom Hanks nei panni del secondo falegname più famoso di tutti i tempi?

Pinocchio recensione Tom Hanks Zemeckis

I CUCÙ SI VENDONO ECCOME

Sgombriamo perciò il campo da un grosso equivoco, un elefante color lilla fluo che è sempre presente in ogni stanza quando si parla di questi remakedal vivo dei classici Disney. Il fatto che a qualcuno – chi se ne lamenta – non interessino non vuol dire che non abbiano un target molto vasto e uno scopo. E quello scopo è, in genere, guadagnare colonne di autotreni pieni di soldi (il solo Il re leone, nel 2019, ha incassato unmiliardoeseicentomilionididollari. Riprendete fiato e rileggete la cifra), rinverdire e tenere vivi i franchise o creare interesse. E nel bene e nel male, tra curiosità, polemiche, persone in lacrime per la propria infanzia distrutta da un personaggio che appare in tutto per quattro minuti e non è biondo come la vera fata turchina come una fata bionda, di questo Pinocchio si è parlato tanto. È il primo film nella lista delle uscite di oggi per il Disney+ Day, e la cosa non sorprende: è una carta da giocare nella guerra dello streaming, non un titolo come tanti.

Pinocchio recensione Tom Hanks Zemeckis

GEPPETTO NON DORME PIÙ CON LE ARMI DA FUOCO

L’inizio del film è quanto di più prossimo al cartoon del ’40, il secondo Classico Disney, si potesse realizzare. La casa-laboratorio di mastro Geppetto è identitica, ci sono il gatto Figaro e il pesciolino Cleo (entrambi in CGI), Pinocchio è quello, e tutto, dall’arrivo del Grillo Parlante in poi, sembra andare esattamente come nell’originale. Sembra.

Ci sono infatti alcuni piccoli punti in cui questa realtà diverge da quella che conosciamo, e non solo perché i cucù del falegname sono pieni di cameo di altri personaggi Disney. Geppetto non fuma nel letto, non dorme con una sorta di archibugio (carico) sotto al cuscino, e soprattutto ha un motivo ben preciso che lo porta a realizzare il suo burattino.

Pinocchio recensione Tom Hanks Zemeckis

WHEN YOU WISH UPON A STAR DI 82 ANNI FA

Man mano che il film prosegue e scopriamo di più del mondo di questo Pinocchio, le differenze aumentano. Il motivo per cui il burattino non va a scuola, acuni personaggi nuovi che incontra lungo il suo cammino… sino a un finale che cambia non solo la natura di un certo avversario, ma anche l’epilogo della vicenda. Cercando di applicare maggiormente alla realtà la morale di una storia senza tempo. Ovvero: siamo proprio sicuri che del Pinocchio del 1940 (ma anche nel romanzo di Carlo Collodi del 1883) la cosa più importante fosse l’esito della sua avventura?

Le stelle restano più o meno dov’erano (e magari non esistono più in ogni caso da secoli), ma il mondo cambia. E allora nel Paese dei Balocchi non ci sono più sigari gratis per i bambini, ma boccaloni di root beer. E allora può accadere che per la Fata Azzurra (The Blue Fairy) si scelga un’attrice londinese nera anziche un personaggio biondo. In entrambi i casi, la fata non è turchina, ma il colore dei capelli non indispettisce le persone, quello della pelle evidentemente sì, pare. Poi magari se gli indignados por la infancia destruida dell’Internet si fermassero un attimo a pensare che Cynthia Erivo ha una voce che spacca l’adamantio, per la quale ha vinto Emmy, Grammy e ricevuto due nomination agli Oscar, avrebbero un quadro più completo della cosa, ecco.

E, comunque, il look scelto per lei (con le ali in movimento e il vestito fatto di un etereo flusso di stelle, che riprende ed espande il concept di quello del cartoon), nel vederla in azione, funziona. Non sarà la fatina bionda, ma è di sicuro una fata. Per quei quattro minuti su 1 ora e quaranta che la si vede.

Pinocchio recensione Tom Hanks Zemeckis

L’ITALIA DI COLLODI E DI PPNÒKIO

Un’altra caratteristica peculiare del film di Zemeckis è che questo Pinocchio è ambientato in Italia, in una qualche Toscana delle favole popolata anche da animali antropomorfi, non in una specie di villaggio svizzero sotto le Alpi dove la marmotta incartava la cioccolata. Viene citato il nome di Collodi (occhio a una confezione di sapone), si parla di lire, di Montepulciano, di Siena, di carabinieri. E guardando il film in lingua originale, ogni tanto si sentono i personaggi scambiare qualche battuta in italiano. La cosa fa sorridere soprattutto per il modo in cui Tom Hanks e gli altri pronunciano il nome del protagonista, che diventa ovviamente Ppnòkio. Ma sono fintoitaliani, devono parlare così: negli scambi tra Geppetto e alcuni compaesani è impossibile non pensare a Super Mario.

A proposito di altri, nel cast ritroviamo Luke Evans come Postiglione in carne e ossa, e una serie di guest star come doppiatori: da Joseph Gordon-Levitt (Grillo Parlante) a Giuseppe Battiston (Mangiafuoco in italiano, Strombòli in originale).

Pinocchio recensione Tom Hanks Zemeckis

MA ERO FANTASTICO, PINOCCHIO-CHIÒ

Tirando le somme, un film che fa del suo meglio per salvare capra e cavoli: non spiazzare chi ha rivisto venti volte il Classico Disney omonimo, ma cogliendo al contempo l’occasione per provare ad attualizzarne il messaggio. Lo ha fatto Walt Disney quando ha ripreso la storia di Collodi mezzo secolo dopo la sua pubblicazione, utilizzandola a modo proprio, lo ha fatto chiunque si sia mai misurato e continuerà a farlo con questo personaggio amato in tutto il mondo. Una favola talmente universale che puoi raccontarla mille volte: magari a chi ha fruito delle 999 versioni precedenti non interessa, ma a tanti altri spettatori, più o meno giovani, sì. Tutti abbiamo un primo adattamento di Pinocchio nel cuore, e non per tutti, per varie ragioni – fan del Pinocchio di Comencini, presente – è quello Disney, che però è il più trasversale in termini generazionali.

E come Disney all’epoca, ci ha messo mano anche Zemeckis, che non era però chiamato a confrontarsi con il romanzo, ma con la sua versione disneyana. I fili, a differenza di Pinocchio, Zemeckis ce li aveva eccome, dunque. Eppure.

Quel messaggio attualizzato, in estrema sintesi, è meno tabacco e armi da fuoco in casa, più accettazione di chi è – per qualcun altro – o si sente diverso. Perché per essere veri, se sei venuto a patti con le tue due coscienze (quella che hai nel petto e quel grillo vestito da Zio Paperone) non è detto si debba per forza diventare “normali”.

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