Cinema Noi fan dell'horror Recensioni Festival
Altro che instant movie: Ti West ha girato Pearl subito dopo aver terminato le riprese di X, espandendo a lungometraggio quello che sarebbe potuto essere un semplice flashback sulle origini dell’eponima antagonista. Considerando la rapidità della produzione, si può dire che la scelta sia stata vincente, pur trattandosi di un complemento al film originale.
Mia Goth interpreta Pearl in gioventù, nel Texas del 1918, durante la Prima Guerra Mondiale e la pandemia di influenza spagnola. Oppressa da una madre severa, la ragazza deve lavorare in fattoria e prendersi cura del padre catatonico, ma coltiva sogni di fama sul grande schermo: in particolare, vuole diventare una ballerina come quelle che vede al cinema, quando va in paese per comprare le medicine del genitore. Mentre il marito si trova in Europa per la guerra, Pearl subisce il fascino di un bel proiezionista (David Corenswet) e prepara un’audizione cui affida tutte le sue speranze. La madre ovviamente non è d’accordo, e ben presto la furia di Pearl esplode in una violenza inusitata.
Come X, anche questo prequel radicalizza le conseguenze della repressione familiare e religiosa, ma non usa l’impianto del new horror per sviluppare il racconto. Piuttosto, Ti West ritorna alla Golden Age di Hollywood, proponendo la versione deviata di una fiaba romantica. Non siamo ancora negli anni Venti, ma la “fabbrica dei sogni” esercita già un’influenza fortissima sull’immaginario giovanile, con visioni di sfarzo e felicità che si allontanano molto dall’esperienza quotidiana del pubblico. La fotografia dai colori ultrasaturi – merito di Eliot Rockett, storico collaboratore del regista – rimanda proprio ai sogni in technicolor de Il mago di Oz o altri film musicali, quando il cinema americano puntava tutto sull’evasione.
Non a caso, anche le soluzioni visive e narrative adottate da West ci portano in quei territori. Nella sua rabbia omicida, Pearl ricostruisce le icone della tradizione americana (come la cena in famiglia), ma in versione corrotta e degradata. La performance febbricitante di Mia Goth non fa che alimentare questa sensazione: nel sorriso tirato e grottesco del suo personaggio c’è tutta la follia di chi vuole riprodurre un modello rassicurante, l’angelo del focolare in attesa del marito dalla guerra, ma in realtà nasconde l’esigenza di essere acclamata e venerata. Sono i primi effetti di Hollywood, che plasma nuovi desideri e aspirazioni nei suoi neonati spettatori.
Le sfaccettature tematiche e caratteriali di X erano un’altra cosa, ma Ti West riesce quantomeno ad attribuirgli una personalità autonoma, dove il delirio della protagonista ha più importanza rispetto alla “creatività” degli omicidi. Nulla di sorprendente, intendiamoci: è chiaro che si tratta di un film ancillare. Eppure, dimostra di avere qualcosa da dire, e di sapere come dirlo.