Padre Pio può essere il film di questa Venezia 2022

, la recensione

Padre Pio può essere il film di questa Venezia 2022

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Di Giulio Zoppello

Il film che non ti aspetti. Così potremmo sintetizzare l’ultima opera di Abel Ferrara, regista tra i più imprevedibili, sorprendenti e intimamente visionari del panorama cinematografico, capace sempre di stupire per audacia e volontà di osare. 
Lo fa con un biopic che non è un biopic, su di lui, su quel Padre Pio verso il quale anche la Chiesa Cattolica per molto tempo operò un certo ostracismo, ma che ultimamente anche Papa Francesco ha indicato come un simbolo di coerenza oltre che di fede. Il contrario di ciò che molti ancora oggi definiscono un simbolo di superstizione e furbizia, ma tant’è, è partendo da lui, dal 1918, due anni prima di quelle stimmate che lo fecero diventare un mito discusso e divisivo.

Un frate nell’Italia del primo dopoguerra

San Giovanni Rotondo, Puglia. Un corteo di soldati coperti di stracci e ferite torna dai familiari, portando spesso con sé i dolori e i traumi di chi in trincea ha vissuto il peggio del primo confitto mondiale. La gioia di chi riabbraccia i propri cari, in quel 1918, è mitigata dal dolore di chi invece riceva la notizia della morte oppure non ha notizie, pare quasi di dover restare in attesa di un fantasma. Il paese è arretrato e agricolo, da sempre comandato da una famiglia di proprietari terrieri che si illude di poter continuare a sfruttare i propri cittadini come niente fosse. Ma tutto è cambiato, la bandiera rossa infiamma il cuore dei contadini e dei reduci, il fascismo comincia a prendere forma senza pudore. In tutto questo, Padre Pio da Pietrelcina (Shia LeBeouf), da due anni presso il convento locale, continua la sua personale battaglia contro se stesso, le tentazioni, il difficile rapporto con una fede che lo consuma e lo strema, senza che egli abbia trovato la risposta alle sue domande.


Padre Pio di Abel Ferrara parte da qui, da una contrapposizione che poi si dilunga e domina ogni istante dei 104 minuti con cui il regista de Il Cattivo Tenente e Pasolini ci dona un affresco storico ammantato di impegno civile come non se ne vedeva nel nostro paese da tanto, tantissimo tempo. 
Scevro da ogni retorica o presunta tale, spinto verso una volontà di realismo storico di ammirevole impegno (al netto di una lingua inglese che impera), il film di Ferrara è lirico, trascendente eppure molto ma molto terreno, usa il santo per antonomasia per guidarci verso un cammino incredibilmente terreno, tra quegli ultimi di cui il Santo è ancora oggi simbolo.
La fotografia di Alessandro Abate è perfetta per essere il motore di una resa visiva vivida, permeata dal dominio degli elementi di una natura né ostile né benigna, quanto testimone involontaria del dramma umano in quell’angolo di meridione arretrato.

Un grande affresco storico e civile

Marx e il Vangelo, Padre Pio e gli agitatori comunisti, il clero della curia corrotta e quello di questo frate esaltato eppure incredibilmente empatico. Si gioca tra ombre e tenebra, con la luce che fa capolino, che vive sui visi dei contadini decisi a non essere più schiavi di un mondo che è morto assieme a buona parte dei loro coetanei nelle trincee.

Padre Pio sarebbe piaciuto moltissimo a Giuseppe Ferrara, a Francesco Rosi, a Bertolucci e Pasolini, è simile eppure diverso da ciò che ognuno di loro ci ha dato per parlarci di questo paese disgraziato, incapace di fare i conti con il fascismo perché in fondo non l’ha mai ripudiato. 
Qui lo vediamo nei volti e nelle azioni di Marco Leonardi, Salvatore Ruocco, Brando Pacitto, simboli di quell’Italia classista, misogina, patriarcale e fanatica che dal Carso e dal Piave aveva imparato solo una religione sado-maso-mortuaria. Fucili e pistole benedetti contro i “nemici di Dio”, la Patria carnefice anche lontano dal fronte, il nazionalismo che nasconde l’egoismo più ributtante, il piccolo borghese avaro di sentimenti che se ne crea di nuovi e fatti su misura, per giustificare di fronte a Dio e agli uomini il terrore con il quale dominare i propri simili.

Può apparire spesso che Padre Pio sia staccato da tutto questo, ma la realtà è che nella sua lotta contro se stesso, per trovare la verità e Dio, vi è la stessa urgenza e lo stesso caos della lotta dei contadini e mezzadri che cercarono in quel 1920, a San Giovanni Rotondo, di cambiare le cose. E per questo vennero martirizzati. Che ironia tragica: marxisti e comunisti che cadono nel sangue come i santi che Pio adora fanaticamente, a cui si rivolge per placare un animo scosso da tempeste simili a quelle di chi cerca di portare il socialismo in terre ancora strette dal medievale terrore del signore e padrone. La Storia dell’Italia descritta in quel microcosmo, dove chi non è morto col fucile in mano lo fa con l’aratro, dove non esiste legge e onore, dove la violenza si nutre di privilegio e del rinnegare il messaggio di Cristo.


In bilico tra Marx e Gesù Cristo

Shia LeBeouf si muove con il suo fare febbricitante e tempestoso, è sereno e cupo assieme, fatto di amore e di un odio invincibile, di accettazione del diverso e totale rifiuto di quest’ultimo. In questa duplicità vi è spazio per chi crede in tutto e in niente, per la croce usata per percuotere e asservire, per confermarci l’antica, inappuntabile verità che Marx aveva capito: la religione è uno strumento di potere.

Padre Pio è un film su Padre Pio che non è un film su Padre Pio. Strano? Meno di quanto sembri, perché ciò che Abel Ferrara fa è creare una contrapposizione tra la lotta materiale, quotidiana del popolo contro il terrore, e quella di Pio contro le tenebre e i dubbi che lo inseguono giorno e notte, le visioni di una violenza sacra dove il corpo diventa scudo dei peccati dell’uomo.

Padre Pio che invoca uno staccarsi dal corpo, mentre i corpi dei contadini vengono fucilati e offesi, che si fa simbolo della sofferenza degli ultimi che avranno il Regno dei Cieli ma intanto su questa Terra sono carne fustigata dalla Storia, i mattoni con cui essa si nutre. 
La religiosità che qui ci arriva è quella del Cristo in dubbio sulla croce se il Padre l’abbia abbandonato, è quella dell’Antico Testamento mentre diventava Nuovo, è quella che trasudava (incredibile sorpresa della Storia) dalle idee di Marx, da quel miraggio di una società di uguali non poi così diversa da ciò che Pietro voleva edificare a suo tempo.

Forse deluderà chi cercava il biopic risolutore sul misterioso frate: fanatico truffatore o sant’uomo? Non è questo il luogo, non è questo l’intento, qui si conta solo poter comprendere il mistero dell’uomo, a metà tra cielo e terra, Caino e Abele, santo e peccatore. Un film potente, un film colmo dell’amore verso i più deboli e odio verso i carnefici. Il fatto che sia uno straniero a farlo ci fa capire quanto male sia messa la coscienza del nostro cinema.

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