Les Enfants Des Autres: quando il cinema sa parlare all’anima nel modo giusto, la recensione da Venezia 79

Les Enfants Des Autres: quando il cinema sa parlare all’anima nel modo giusto, la recensione da Venezia 79

Di Giulio Zoppello

Sempre molto difficile parlare della maternità senza scivolare in banalità, in semplificazioni o strumentalizzazioni alquanto sgraziate. Il tema è in continua evoluzione e rappresenta senza ombra di dubbio qualcosa di centrale di questi tempi, in cui l’universo femminile è chiamato a misurarsi con crescenti difficoltà e un’evoluzione all’interno della società di non indifferente difficoltà. 
Eppure Les Enfants des Autres non sbaglia nulla, sa essere sempre connesso ai sentimenti ma senza essere un film sentimentale, parlare della maternità ma senza nascondere difficoltà, incertezze e problematicità. 
Senza ombra di dubbio un film molto caldo, molto realistico e molto umano, poetico ma senza strafare, soprattutto perché teso a darci uno spaccato sincero del reale, non una sua edulcorazione.

Una donna persa dentro un desiderio

Per Rachel (Virginie Efira) la vita appare tutt’altro che vuota o noiosa. Quarantenne bella e vaporosa, è un’apprezzata professoressa in un liceo, dove è stimata da colleghi e alunni, ha una sorella più giovane e un padre ironico e comprensivo. Niente madre, l’ha persa da piccola. Single, conosce ad un corso di chitarra l’affascinante ingegnere Ali (Roschdy Zem), padre single separato con cui in pochissimo tempo nasce un sentimento forte e appassionato.

Tutto sembra andare per il meglio, compreso l’incontro con la piccola Leila (Callie Ferreira-Goncalves) che, pur avendo solo 5 anni, è tutt’altro che disattenta sulla piccola rivoluzione che avviene attorno alla sua famiglia. In breve Rachel e Leila diventano molto unite, ma fa capolino in modo violento e improvviso la volontà di una maternità in Rachel, che però pare poterla avere solamente attraverso i figli o le figlie degli altri, mai in modo indipendente. Sarà solo l’inizio di un complesso percorso fatto di drammi e gioie, di delusioni e sorprese, che porteranno la donna a confrontarsi con una serie di scelte e responsabilità tutt’altro che semplici o scontate. 
Les Enfants des Autres porta la firma elegante e sensibile di Rebecca Zlotowski, che, per quanto fino ad oggi sia stata talvolta non sempre perfettamente equilibrata nella sua cinematografia su sentimenti e relazioni, qui invece dimostra una maturità di sguardo e scrittura non indifferente.

Tutto gira intorno a un dilemma, a una volontà, un desiderio, sempre un passo indietro all’ossessione, ma comunque martellante nella mente di una donna emancipata, appassionata, generosa ma che si trova a fare i conti improvvisamente con l’avanzare del tempo con tutte le sue conseguenze.

Alla ricerca della maturità sentimentale

La sceneggiatura di Les Enfants des Autres ha il grande merito di portarci dentro la quotidianità in modo assolutamente scevro da ogni forzatura idilliaca o da ogni tentativo di venderci una realtà diversa da quella che tutti conosciamo.

Virginie Efira non è un’amante da rotocalco o da fiction, è una bella donna che comincia a capire che non lo sarà per sempre, che il tempo si sta affievolendo per avere un bambino, ma che non sa come riuscire a coronare un sogno dai contorni sfumati.

Vuole solo la maternità? O cerca invece una realtà familiare completa? Entrambe le possibilità fanno capolino in modo alterno, senza che vi sia una risposta definitiva, ma è anche questo il bello di questo film, in cui la regia è sempre intima, sempre dentro le giornate, i sospiri, i sentimenti. 
A perfetto contraltare della passione di Rachel, vi è l’Alì di un bravissimo Roschdy Zem, che si conferma attore di straordinaria credibilità ed espressività, e ci dona un personaggio maschile di rara compostezza e profondità psicologica, un uomo che si batte nel suo quotidiano per cercare di trovare il bandolo in una matassa confusa e imprevedibile.

Ma forse la più brava di tutti è la piccola Callie, fenomeno assoluto che lascia a bocca aperta per talento e spontaneità, ruba la scena a tutti come solo i bambini sanno fare. E non è poi un caso visto che proprio lei è l’ago della bilancia di una storia d’amore tra due esseri umani adulti feriti eppure ancora immaturi, incapaci di essere veramente felici o generosi come vorrebbero. 
La realtà è che nessuno dei due, nonostante sia nei suoi 40, è maturo e adulto come vorrebbe o come crede, nessuno dei due si è accettato e sa andare oltre i propri errori e le proprie paure, ivi compresa quella di essere felice anche quando sembra una strada verso l’egoismo.

Il dilemma del mondo femminile odierno

Les Enfants des Autres potrà spezzarvi il cuore in più di un momento, in realtà pare essere lì per questo, ma in ultima analisi ciò che fa è mostrarci dolori, sprazzi di luce e di dubbio che tutti conosciamo o abbiamo conosciuto all’interno di una relazione.

Però fa anche di più, ci mostra infine il vero pericolo che si nasconde dietro una relazione con un padre o una madre single: la diseguaglianza dei sentimenti condivisi e offerti. Un genitore single ha priorità diverse, la prole è sopra tutto e tutti, poi viene lui, poi il resto. Il partner è spesso un lusso, una speranza che si fa presto a deludere, un miraggio di un qualcosa che poteva e non è stato.

Impegnarsi in un rapporto di questo tipo chiede dall’altra parte una dose non indifferente di rischio, e questo film, forse cinicamente, cerca di farcelo capire, di metterci in guardia, di togliere il velo di retorica con cui una relazione di questa natura sovente viene descritta.

Mettere insieme due teste, pare dirci Rebecca Zlotowski, non è affatto facile, più si cresce e più si diventa soli o selettivi, se poi ve n’è pure una terza, allora il tasso di difficoltà è tutto tranne che indifferente o da sottovalutare. Allo stesso tempo, celebra la forza di andare avanti, di non arrendersi, lo fa con Rachel che cerca il nuovo amore, che soffre e lo accetta, così come l’assenza di ciò per cui lei darebbe corpo e anima, tanto da invidiare anche chi ama. 
Essere madri o essere libere? Non vi è una risposta chiara, quello che è certo è che una cosa non annulla l’altra per forza, ma che richiede una coscienza e una sicurezza in sé stesse non da nulla, un coraggio non indifferente abbracciare tale dimensione e non guardarsi indietro.

Un film potente e accessibile, non privo di una certa poesia ma soprattutto scevro da ogni volontà di consolare, perché la vita è dura, difficile, perché amare è raro e quando si perde un sentimento davvero non vi è cosa peggiore che esista nella vita.

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