Il mondo dell’amore non vuole mostri: la recensione di Bones and All da Venezia 79

Il mondo dell’amore non vuole mostri: la recensione di Bones and All da Venezia 79

Di Lorenzo Pedrazzi

L’amore è consunzione. Persino nei casi più felici, resta comunque un sentimento che scava a fondo nella carne, e il desiderio di assimilarla dentro di sé (ovviamente non in senso letterale: “Ti mangerei per quanto ti amo” diceva KW a Max in Where the Wild Things Are) è un istinto comune. Se si parla di amore romantico, poi, non c’è da stupirsi che l’erotismo ponga spesso la bocca al centro dell’azione: nei morsi e nei baci c’è tutta la voracità consumatrice degli amanti, che si assaggiano a vicenda e misurano la consistenza dei rispettivi corpi. Non a caso, in inglese si usa il verbo mangiare (“to eat”) anche per il sesso orale.

Bones and All di Luca Guadagnino lavora proprio sull’associazione tra amore e cannibalismo, mettendo in relazione l’antropofagia con una potente – per quanto spaventosa – brama sensuale. Tratto dall’omonimo romanzo di Camille DeAngelis, il film vede Taylor Russell nel ruolo di Maren, diciottenne che vive con il padre in una cittadina della Virginia. Fin da piccola, Maren combatte con una propensione al cannibalismo ereditata dalla madre, che la porta ad aggredire il prossimo per cibarsene. L’ennesimo episodio di questo tipo la spinge a partire per cercarla, e sulla strada incontra altre persone come lei, capaci di riconoscersi dall’odore. Fra di loro c’è Lee (Timothée Chalamet), un ragazzo che si sposta senza meta per soddisfare lo stesso desiderio, ma tende ad aggredire solo i prepotenti. I due cominciano quindi a viaggiare insieme, entrando progressivamente l’uno sotto la pelle dell’altra.

Non è la prima volta che Guadagnino racconta le zone d’ombra dell’adolescenza, ma stavolta dà loro corpo attraverso il genere horror, per quanto Bones and All resti prevalentemente un road movie, un racconto di formazione e una storia d’amore. È anche il primo film americano di Guadagnino, e il Midwest gli permette di immergere i protagonisti in paesaggi sconfinati che ne esaltano l’isolamento, lo status di diseredati. Maren e Lee sono due emarginati che si ritrovano l’una nell’altro, al di là della violenza inevitabilmente connessa alla loro natura. Torna in mente una celebre frase di Rilke: “L’amore consiste in questo, che due solitudini si proteggono a vicenda, si toccano, si salutano”. È proprio ciò che accade ai protagonisti, ma il film non dà mai l’impressione di romanticizzare l’orrore. Al contrario, denuda la purezza di due adolescenti che vogliono riconoscersi nei rispettivi bisogni, e il viaggio diventa sinonimo di crescita, soprattutto per Maren.

A sorprendere, però, è anche la fluidità con cui Guadagnino passa da un registro all’altro. L’orrore guizza in alcune scene disturbanti, spesso senza alcun preavviso, come nella magistrale sequenza in cui Maren ci mostra per la prima volta i suoi istinti. La peculiarità è che gli antropofagi formano qui una sorta di microcosmo segreto, e ognuno di essi ha le proprie regole e modus operandi: esemplare il personaggio di Sully, concentrato di tic e sfumature verbali che valorizzano il talento di Mark Rylance. Attorno a lui e agli altri personaggi, il regista costruisce un ambiente che sembra vivere anche senza di loro: le inquadrature si spostano sugli oggetti che li circondano, vagano per le stanze alla ricerca di testimoni silenziosi, oppure raccordano sull’asse per svelare un dettaglio importante.

Tutto contribuisce a rimarcare l’isolamento dei due protagonisti, non soltanto sociale ma anche generazionale, poiché Maren e Lee si confrontano con genitori assenti o apertamente ostili. «Il mondo dell’amore non vuole mostri» dice la madre, per sottolineare l’estraneità fra amore e orrore: nell’universo dei rapporti sani non c’è posto per gente come loro. In risposta, Maren e Lee creano un proprio universo personale dove sperano di essere felici, in modo non così diverso da qualunque altra coppia. Nel loro caso, però, amarsi significa davvero compenetrarsi, consumarsi, (ri)vivere l’uno dentro l’altra. Fino all’osso, Bones and all.

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