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House of the Dragon, la recensione: benvenuti al Dallas di Westeros

Pubblicato il 19 agosto 2022 di DocManhattan

Il 22 di questo mese, a partire dalle tre del mattino, una discreta fetta di appassionati italiani di serie TV riprenderà una vecchia abitudine: la levataccia per guardare su Sky (o in streaming su NOW) in contemporanea con gli Stati Uniti, il primo episodio di House of the Dragon. Il prequel di Game of Thrones / Il trono di spade, incentrato sull’inizio della fine della casa Targaryen – duecento anni circa prima dello sbrocco di Daenerys per quella storia delle campane – e tratto da Fuoco e sangue (Fire & Blood), il libro spin-off della saga, pubblicato nel 2018. Ne abbiamo visto in anteprima i primi sei episodi e, per tanti versi, nonostante siano passati così tanti anni da quando abbiamo iniziato a girovagare per la Fortezza Rossa e dintorni, è stato un po’ come tornare a casa.

MARTIN ALL ALONG

Sì, Fuoco e Sangue è il libro che George R. R. Martin ha messo assieme con i pezzi tagliati dalle sue Cronache del ghiaccio e del fuoco, e anche l’ennesimo lavoro a cui si è dedicato pur di non completare il sesto libro della saga, The Winds of Winter, la cui data d’uscita è ormai prevista “entro la fine di questo secolo, forse”. E in attesa che i nostri lontani discendenti possano leggere un giorno come va a finire il gioco del trono di spade secondo il suo autore, House of the Dragon ci racconta quello che è successo duecento anni prima. E ce lo racconta con il pollicione alzato del suo autore.

Lo stesso George R.R. Martin, che ha sviluppato House of the Dragon insieme a Ryan J. Condal, si è affrettato a prendere le distanze nelle scorse settimane dalle ultime annate di Game of Thrones, spiegando che “nelle stagioni 5 e 6, e soprattutto nella 7 e nella 8” è stato tagliato fuori dalla produzione. In disaccordo con la decisione di Benioff e Weiss di “tagliar corto” con la serie, si sarebbe trovato ad assistere da spettatore “un po’ triste” al finale dello show. Con House of the Dragon è avvenuto invece l’opposto, dice sempre Martin, e la sua collaborazione con lo showrunner Condal è stata molto stretta.

“UNO DI VOI”

Una rassicurazione che ha, ovvio, una doppia valenza: serve da un lato a tranquillizzare i fan sull’aderenza al testo originale, dall’altro a schierarsi dalla loro parte nella sostanziale damnatio memoriae che ha colpito in particolare l’ultima stagione di Game of Thrones. Qui, si promette in buona sostanza, la musica è stata e sarà diversa. Che poi come sia andata sia tutta colpa di Benioss e Weiss, vai a sapere. Fatto sta che neanche Martin un finale convincente riesce a trovarlo, a quanto pare, e che per molti – alzo la manina, posso? – la saga ha perso mordente molto prima, da quando è venuto meno l’elemento più riuscito nei romanzi, la guerra tra Stark e Lannister.

Va anche ricordato che se nelle prime stagioni Martin è stato molto presente, rileggeva i copioni, dava il suo parere sulle scelte di casting e gironzolava sui set, in seguito ha rinunciato per “dedicarsi alla scrittura di The Winds of Winter”. Seguono facili battute. Ma una volta ribadito che Martin in House of the Dragon è stato della partita, come sembra questa serie? Che ce n’è parso, arrivati poco oltre la metà di questa prima stagione da dieci episodi? Per il momento, è un piacevole viaggio nel tempo.

STASERA A CASA DI ALICENT

Un viaggio nel tempo non solo letteralmente, visto che si torna indietro di due secoli – si parte dal nono anno di regno del primo Viserys, 172 anni prima della morte del Re Folle e della nascita di Daenerys  – ma anche e soprattutto perché in House of the Dragon si respira l’atmosfera delle prime stagioni del Trono di spade. Vuoi perché rivediamo quei luoghi e sentiamo snocciolare i nomi di quelle casate, vuoi perché mentre va in scena la “danza dei draghi”, le lotte intestine della casa Targaryen per decidere a chi spetta questo benedetto (ma più che altro maledetto) titolo di erede al trono, si respira a pieni polmoni quell’aria densa di complotti, tradimenti, burattini e burattinai, uccisioni violente e ancor più violenti tradimenti. Una festa in maschera in cui, specie se non hai letto Fuoco e Sangue, non sai chi sarà il prossimo Ditocorto. Anche perché nessuno qui parla con i fischi di un modem 56K come lui, per darti uno straccio di indizio.

In tutto questo, un re malconcio, che non è neanche in grado di sedersi su quella versione pimpata e aggressivissima del trono di spade senza tagliuzzarsi, si trascina avanti e si guarda soprattutto intorno, il mitologico “omino HBO” (chi sa, sa) allestisce orge con una quantità notevole di nudi full frontal e accoppiamenti laocoontici, i draghi bruciano tizi e una principessa dai capelli ossigenatissimi cerca il suo posto nel mondo. E l’attrazione sessuale tra consanguinei c’è pure qua? Oh, sono i Targaryen. Che lo diciamo a fare.

DAEMON, DEGLI IMAGINE DRAGONS

La messa in scena regge, i draghi fanno sempre la loro rettilosa figura – almeno nei primi episodi. Negli ultimi che abbiamo visto gli effetti e la color correction erano ancora incompleti, come segnalato in alcune scene con tanto di scritta a schermo – e Matt Smith è molto credibile nei panni di un magnetico cattivo praticamente senza sopracciglia e che, per non lasciare nulla al caso, di nome fa Daemon. Quanto sarà mai mansueto e docile un feroce guerriero, principe dei draghi, con la faccia da pazzo e la mente da diabolico calcolatore?

La cosa più spiazzante è con ogni probabilità il cambio di due volti a metà stagione. A differenza di quanto accaduto con intere stagioni di Game of Thrones, in House of the Dragon gli anni galoppano. Spesso tra un episodio e il successivo sono trascorsi anni: le persone invecchiano, i figli crescono, e un paio di personaggi cambiano leggermente tratti somatici. Rhaenyra Targaryen è Milly Alcock nei primi cinque episodi e in seguito Emma D’Arcy; Alicent Hightower passa da Emily Carey a Olivia Cooke. Ha senso soprattutto per Rhaenyra, la cui prima interprete è evidentemente troppo giovane per incarnare la principessa anche dopo i trent’anni, ma comunque ci si mette un attimo a far registrare al cervello quella faccia nuova. Poi, anche qui: oh, c’è chi si è abituato a un nuovo Ridge Forrester dopo 35 anni, che vuoi che siano cinque episodi.

QUESTO LO SEGNAVO ANCH’IO (COL DRAGO)

Una cosuccia da segnalare è la solita incapacità totale di tutti i nobili di Westeros di allestire un minimo di strategia bellica efficace. La faccenda dei pirati delle Stepstones è gestita a lungo, è evidente, da uno che non ha mai fatto neanche mezza partita a Age of Empires o a Warcraft. E no, il fatto che nessuno lì abbia un PC non è una giustificazione valida. Sono del resto quelle cose che in Game of Thrones abbiamo visto mille volte: l’utilizzo maldestro di una risorsa importante, diciamo così, per poter allestire subito dopo una certa scena che mostri il rambismo spinto di un certo personaggio.

E ok.

Va però detto che le scene in cui si mulinano le spade e si sparge fuoco sulla carne viva sono coreografate bene, e che – grazie al cielo, o se preferite ai sette dei – House of the Dragon si concentra sui sei capitoli migliori di Fuoco e sangue, che nelle altre pagine non è esattamente il massimo del brio (motivo per cui all’uscita non è stato accolto esattamente su un tappeto di petali di rose dalla critica).

DORNE, DU, DU, DU

La lotta per la successione della “Danza dei Draghi” è interessante perché è tutta una grande metafora del maschilismo della società odierna, ovviamente portato alla massima potenza in un antico regno fantasy in cui nascere donna, in una nobile casata, vuol dire a seconda dei casi essere un peso o una merce di scambio da barattare per stringere alleanze. L’evoluzione di Rhaenyra, le sue scelte (in particolare la versione di quella notte che si è scelto di mostrare) e il suo rapporto con il padre e con lo zio Daemon, sono particolarmente significativi. Ma vale lo stesso per la solo apparentemente sprovveduta Alicent, e per Rhaenys Targaryen,  la “regina che non fu mai” e il suo ruolo nella vicenda.

Game of Thrones è stata tutt’altro che una serie priva di personaggi femminili forti, tanto è vero che il tutto si è risolto alla fine in uno scontro tra due fiere regine con una parruccona in testa. Ma qui il contesto è diverso, e le decisioni di un re che parte semplicemente dal fatto che Rhaenyra è la sua primogenita, vengono discusse, manipolate, criticate da un mondo per cui se non nasci maschio devi stare da parte. Robe da medioevo fantasy, direbbe frettolosamente qualcuno, prima di dare un’occhiata a come vanno le cose nel nostro mondo. E non solo perché in molte monarchie ancora in piedi vige l’agnazione e si conta solo la linea di discendenza maschile (in Giappone, per esempio).

Detto questo, resta da vedere come il tutto verrà portato avanti negli episodi restanti, certo. Tanto che altro avete da fare, il lunedì mattina all’alba, se non lavorate nel forno di Frittella?

House of the Dragon sarà disponibile dal 22 agosto in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW in contemporanea assoluta con gli Stati Uniti.