Cinema Recensioni

Crimes of the Future – La recensione del film di David Cronenberg

Pubblicato il 08 agosto 2022 di Lorenzo Pedrazzi

C’è stato un tempo in cui David Cronenberg avrebbe celebrato la “nuova carne” con un grido di trionfo, osannando la morte della “vecchia carne” e la transizione al post-umano. Ma in Crimes of the Future, 23 anni dopo la sua ultima sortita nella fantascienza e nel body horror, non c’è più spazio per l’entusiasmo: al massimo, il passaggio a uno stadio successivo dell’evoluzione umana viene accolto con pacata rassegnazione, nella piena coscienza della sua inevitabilità.

Rispetto a film come Videodrome o eXistenZ, peraltro, Cronenberg assegna il ruolo di protagonisti alla vera avanguardia del post-umano, gli artisti performativi, le cui sperimentazioni autolesioniste prevedono spesso la lacerazione del corpo e/o la contaminazione con materiali artificiali. In questo futuro imprecisato dove le biotecnologie permettono di controllare le funzioni fisiologiche tramite computer, Saul Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Léa Seydoux) sono due artisti di fama mondiale. Le loro esibizioni consistono nel rimuovere dal corpo di Saul tutti quegli organi vestigiali che crescono naturalmente dentro di lui, a causa di una condizione nota come “sindrome di evoluzione accelerata”. Nel frattempo, un gruppo di evoluzionisti radicali è riuscito a modificare il proprio apparato digerente al fine di assimilare materiali sintetici, e Saul viene avvicinato da un detective per infiltrarsi nella setta.

Il passo meditativo e le atmosfere cupe spingono Crimes of the Future nei territori del noir, anche per la trama apparentemente contorta che lascia molto spazio alla ricostruzione del pubblico. Al contempo, però, c’è qualcos’altro: nell’andamento greve del film, nella difficoltà di Saul a parlare, mangiare e persino respirare, si nota un cambio di tono rispetto ai vecchi sci-fi del regista canadese. Questo è il Cronenberg che viene da otto anni di silenzio (Maps to the Stars è del 2014), sempre in difficoltà nel reperire fondi, e forse disilluso sia dal cinema sia dai tempi che corrono. Riprendendo in mano gli aspetti più caratterizzanti della sua poetica, il regista opta per un clima fosco e decadente, dove nemmeno la sparizione del dolore fisico – altra conseguenza delle biotecnologie – sembra una buona notizia. Piuttosto, è l’emblema di una desensibilizzazione che porta all’apatia, proprio l’opposto di ciò che intende fare l’arte performativa. Per questo motivo, Saul e Caprice mirano al gesto artistico sempre più estremo in una realtà dove “la chirurgia è il nuovo sesso”, come dice il personaggio di Kristen Stewart.

Quello di Crimes of the Future, insomma, è un futuro che ha ormai accolto l’eccezionalità del cinema cronenberghiano come la nuova norma: si aprono i corpi davanti a un pubblico pagante, li si esplora per metterli in mostra, e il vecchio shock è sostituito dall’abitudine. Se ne ricava così la sensazione di un mondo esausto, appesantito da tecnologie volutamente retrofuturistiche, con macchinari ingombranti e sistemi di ripresa che paiono usciti dall’immaginario dei primi anni Novanta (una pratica abbastanza comune tra i vecchi maestri della fantascienza: Terry Gilliam, per intenderci, ha fatto qualcosa del genere in The Zero Theorem). Non ci sono smartphone in questo futuro, né computer per come li intendiamo noi: più che il nostro mondo, è l’inconscio dell’autore a essere proiettato nell’avvenire. Si potrebbe dire che altri cineasti, come la brillante Julia Ducournau di Titane, vantino uno sguardo più contemporaneo sull’intersezione fra naturale e artificiale, ma l’inorganico in Cronenberg continua ad avere uno straordinario sex appeal, anche quando cita sé stesso. E lo fa di frequente: dall’enzima corrosivo del bimbo che mangia la plastica (debitore de La mosca) alla fessura orizzontale nell’addome del protagonista, come in Videodrome.

Il risultato è un’opera parzialmente irrisolta, misantropa, forse troppo frammentaria, eppure dotata di un fascino scomodo e tenebroso: come gli artisti a cui si riferisce in modo implicito (Gina Pane, Orlan, ma anche le orecchie trapiantate di Stelarc), Cronenberg è ancora capace di farci provare un disagio sottile e indefinibile, rendendoci ospiti di un mondo per il quale non siamo ancora pronti.