Cinema Noi fan dell'horror Recensioni

X – A Sexy Horror Story: la recensione del film di Ti West

Pubblicato il 11 luglio 2022 di Lorenzo Pedrazzi

Il cinema di Ti West è sempre stato ricco di riferimenti agli anni Settanta, ma X – A Sexy Horror Story è il suo primo film effettivamente ambientato in quel periodo. Una scelta tutt’altro che casuale: gli anni Settanta, infatti, sono stati un momento decisivo sia per l’horror (con la rivoluzione del New Horror) sia per la pornografia (grazie alla legalizzazione e all’ascesa dell’industria a luci rosse, nella cosiddetta “Golden Age of Porn”). X risale alle origini di questo immaginario, e ne annoda le radici per mostrarne la vena sovversiva e anarchica, comune a entrambi i generi.

Siamo nel 1978, quando l’aspirante produttore Wayne Gilroy (Martin Henderson) guida la sua troupe in una remota fattoria del Texas per girare un film a luci rosse, The Farmer’s Daughters. La sua ragazza Maxine Max (Mia Goth) è la protagonista insieme a Bobby-Lynne (Brittany Snow) e Jackson Hole (Scott Mescudi), mentre il regista è un cinefilo con velleità artistiche di nome RJ (Owen Campbell). La sua fidanzata Lorraine (Jenna Ortega) completa il gruppo in veste di fonica, ma non è affatto entusiasta di girare un porno. Comunque, le riprese partono subito con il piede giusto, e Wayne è convinto di avere fra le mani un grande successo. Non ha fatto i conti, però, con Howard e Pearl, gli anziani proprietari della fattoria: quando Pearl comincia a nutrire un morboso interesse per i giovani ospiti – e soprattutto per Maxine – la situazione deraglia in una spaventosa mattanza.

Ti West è abilissimo a gestire una tensione che monta per gradi, puntando sullo slow burn e sui parossismi dello slasher, con un grande utilizzo di effetti pratici che rimandano ai maestri del genere. Allo stesso tempo, però, costruisce un horror solo apparentemente nostalgico, dove i topoi del New Horror vengono filtrati da una sensibilità contemporanea. Risulta evidente già dalla caratterizzazione dei personaggi: pur mascherandoli dietro le solite macchiette, West dona loro uno spessore più ampio, che li emancipa dai vecchi cliché monodimensionali. Esemplare la scena – peraltro delicatissima – in cui Bobby-Lynne canta una splendida versione di Landslide, accompagnata alla chitarra da Jackson; o l’inatteso coinvolgimento di Lorraine nella produzione, lei che risponderebbe ai classici requisiti della final girl.

Il cuore di X – A Sexy Horror Story coincide però con Maxine, ed è attraverso di lei – o meglio, attraverso il doppio ruolo di Mia Goth – che Ti West sviluppa il suo discorso. Più che il rispettivo “doppio”, lei e Pearl sono l’una il rovescio dell’altra, poiché cresciute in epoche radicalmente diverse. L’invidia di Pearl è certamente di stampo anagrafico, e la pone sulla medesima scia di molte predatrici assetate di giovinezza nella storia del cinema horror (pensiamo a Giselle/Alessandra Canale ne I vampiri di Riccardo Freda, ad esempio); ma è anche un sentimento generazionale, nei confronti di una ragazza che – nonostante le sue origini, o forse proprio in reazione a esse – ha potuto esprimere la propria sessualità in modo ben più libero. Mentre un predicatore cristiano ultraconservatore sbraita la sua retorica in TV, la rivoluzione è già in atto, e non può essere fermata. In fondo, la stessa libido di Pearl dimostra che la repressione culturale non può nulla contro gli impulsi carnali, e X – A Sexy Horror Story ha il raro pregio di tenere in considerazione il sesso nella terza età.

Rompendo quello che, a conti fatti, è un vero e proprio tabù, Ti West attribuisce una motivazione inedita ai carnefici, e vi oppone lo slancio vitale di una ragazza che vive al massimo, senza per questo bruciarsi presto. Non c’è alcuno sguardo giudicante su Maxine, che altrove sarebbe forse la prima vittima sacrificale del “mostro” (sesso e droga sono sempre stati un cocktail mortale per i protagonisti degli horror). In tal senso, West è meno populista di altri suoi colleghi, e non ha paura di scrivere un personaggio femminile ruvido e sfaccettato. Di certo la sua sceneggiatura non inanella moltissime sorprese, ma vanta il merito di rielaborare i codici dello slasher in una prospettiva diversa, dove la consapevolezza postmoderna non è un mero trucchetto per iniziati. Gli omaggi cinefili (a Non aprite quella porta, Shining, Alligator, Psycho…) sono sottili, mai invadenti, e rispecchiano l’autocoscienza di un genere che non può prescindere dai suoi modelli. L’importante è trovare loro una nuova collocazione, e Ti West ci riesce benissimo.