D’amore e di tuono: la recensione di Thor: Love and Thunder

D’amore e di tuono: la recensione di Thor: Love and Thunder

Di Lorenzo Pedrazzi

La presunta autorialità nei film del Marvel Cinematic Universe è un argomento molto dibattuto, soprattutto da quando Sam Raimi ha diretto Doctor Strange nel multiverso della follia. È ovvio che per produzioni del genere, frutto di strategie predefinite e di un rigido controllo sulle proprietà intellettuali, a nessun regista sarà mai garantita una libertà assoluta: al massimo, la sua personalità potrà occupare gli interstizi lasciati vacanti dalla produzione, proprio come ha fatto Raimi, abile ad armonizzare il canovaccio dei Marvel Studios con l’unicità del suo sguardo. Il caso di Taika Waititi è abbastanza simile, per quanto il brillante cineasta neozelandese – al contrario del collega – abbia potuto lavorare su Thor: Love and Thunder fin dall’inizio, dandogli forma secondo la propria sensibilità. Così, persino gli scettici non potranno negare che questo blockbuster sia in gran parte un’emanazione del suo sguardo, e che il risultato finale sarebbe stato diverso se dietro la macchina da presa ci fosse stato qualcun altro. Anzi, se consideriamo l’impronta emotiva della cornice (palese nell’incipit e nell’epilogo), il film riflette molto bene la fase della vita in cui Waititi si trova in questo momento.

Paradossalmente è proprio Gorr, l’antagonista interpretato da Christian Bale, a innescare quell’ampio concetto di “amore” che dà il titolo al film. Sulla superficie desertica di un pianeta lontano, Gorr è l’ultimo seguace di un dio che ignora le suppliche dei suoi fedeli, e non si cura né del loro benessere né tantomeno delle loro perdite: sconvolto da un gravissimo lutto e dall’indifferenza del dio, Gorr entra in possesso della mitica Necrospada e giura vendetta su ogni divinità, entrando ben presto in conflitto con Thor (Chris Hemsworth) e gli Asgardiani. Il Dio del Tuono è reduce dalle sue avventure con i Guardiani della Galassia, e comincia a seguire la scia di sangue del Macellatore di Dei insieme a Korg (Taika Waititi). Per fermarlo, avrà bisogno dell’aiuto del nuovo Re di Asgard, Valchiria (Tessa Thompson), e della sua ex fidanzata Jane Foster (Natalie Portman), divenuta Mighty Thor dopo aver sollevato Mjolnir.

Quest’ultima novità, ispirata ai fumetti di Jason Aaron e Russell Dauterman, dimostra ancora una volta l’impegno di Waititi per svecchiare l’immagine delle eroine femminili. Come aveva già fatto con Valchiria in Ragnarok, il regista cerca di allontanarsi da quell’ideale monolitico e spigoloso che troppo spesso caratterizza il cinema d’azione, dove le donne guerriere paiono sempre dover trascinare il peso della serietà (come Xialing in Shang-Chi, per restare in ambito Marvel). L’evoluzione di Jane gli permette non solo di coinvolgerla nelle battaglie, ma anche di valorizzarne il lato comico, impacciato, a tratti persino fanciullesco: è ancora una supereroina in divenire, ma conosce già l’etica del sacrificio. Nelle sue scelte c’è il desiderio d’avventura di una donna che finalmente può vivere in piena libertà, non solo come vittima o comprimaria. I rischi che ne conseguono sono secondari: ciò che conta è aver vissuto.

Thor: Love and Thunder

In tal senso, Thor: Love and Thunder si allinea con le attuali tendenze hollywoodiane in termini di rappresentazione, ma quantomeno la sincerità di Waititi è al di sopra di ogni sospetto. Nessuno come lui è in grado di allestire uno spettacolo tanto sgargiante e queer, capace di attingere sia dall’immaginario della musica rock (soprattutto i suoi amatissimi Guns N’ Roses) sia dal sottogenere planetary romance, comprese le sue incarnazioni più camp come Flash Gordon. Cinema postmoderno, insomma, ma non schiavo del passato: la confezione è nostalgica, ma il contenuto è fortemente contemporaneo. Ne deriva una baraonda di suggestioni visive che passano dall’horror vacui di Omnipotence City alla severa essenzialità dello Shadow Realm, dove uno vibrante bianco e nero sfida i canoni estetici del MCU. La grande quantità di ambientazioni diverse, peraltro, non ostacola la compattezza del film, che si risolve nell’arco di due ore. La sceneggiatura sacrifica però qualcosina di troppo nella prima parte, trascurando alcuni passaggi come l’origine della Necrospada e le imprese iniziali di Gorr.

Ma siamo nel Marvel Cinematic Universe, dove gli eroi hanno un’importanza primaria rispetto ai cattivi, persino quando l’antagonista è un personaggio con cui è facile empatizzare. La tragedia di Gorr, reietto dal volto emaciato che si contrappone alla prestanza divina di Thor, desta effettivamente una grande simpatia, ma non leva spazio al cuore della vicenda: ovvero, i rapporti incrociati fra l’eroe norreno, la nuova Dea del Tuono, le rispettive armi “senzienti” e i loro compagni di scorribande. Thor: Love and Thunder interpreta l’amore come sentimento sfaccettato e universale, non solo romantico, ma genitoriale e amicale. Anche per questo, rispetto a Ragnarok, trova un equilibrio più stabile fra umorismo e dramma, goliardia e pathos, mitigando la coolness dei suoi protagonisti con una certa goffaggine (anche a costo di risultare ridicolo e di cercare troppo la battutina a ogni costo, in particolare nella prima parte).

È ovvio che Waititi non crede negli eroi tutti d’un pezzo, ma in quelli che si aprono alla solidarietà umana, e invitano il prossimo ad ascoltare il cuore. La centralità dei bambini – già fondamentale per Waititi in Hunt for the Wilderpeople, Jojo Rabbit e Reservoir Dogs – alimenta l’impressione di assistere a un film ricco d’innocenza, una fiaba d’avventura dove rabbia e vendetta vengono sostituite da comprensione e redenzione. Forse, diventare padri significa anche questo.

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