Ci sono dei momenti, e non sono neanche rari, in cui la visione di The Umbrella Academy diventa per me abbastanza frustrante. Succedeva nella prima stagione, succedeva nella seconda e inevitabilmente accade anche nella terza, arrivata su Netflix lo scorso 22 giugno. La struttura di base di ogni stagione è infatti sempre la stessa: c’è un mistero da risolvere, e soprattutto una crisi apocalittica da sventare, ma per i dettagli sull’esatta natura del problema e il confronto con questa minaccia devi aspettare l’ultima puntata, perché prima c’è da fare una lunga deviazione per portare avanti le sottotrame di tutti i membri di questa bizzarra famiglia di super-eroi.
E alcune di quelle sottotrame sono anche molto belle, addirittura toccanti – ci arriviamo tra un attimo – ma non riesco a fare a meno di vedere in filigrana lo schema sempre uguale che si ripete. E sì, è frustrante. Ma per fortuna c’è anche tutto il resto. Se sono ancora a bordo, e guarderò anche la stagione 4 se-e-quando-arriverà, è per tutto quel resto. Per il fatto che, essenzialmente, The Umbrella Academy riesce sempre a seguire una sua via molto personale alle avventure live action dei supertipi. Seguono spoiler sulla stagione 3.
L’introduzione alla fine della stagione 2 degli Sparrow, squadra speculare rispetto agli Umbrella, è il punto di partenza di una stagione che mescola ancora più delle precedenti azione (con scontri spesso posticci, giusto per), sentimenti, gag-di-ridere e mistero. Fatto salvo che gli Sparrow hanno scritto in fronte “sacrificabili” dal primo momento in cui li vediamo sulla scena, questa dimensione alternativa in cui la disfunzionale famiglia Hargreeves si è ritrovata, questa situazione da Nuovi Mutanti contro Satiri dei fumetti degli X-Men, dà una bella scossa allo status quo.
Una scossa in seguito alla quale le vite dei singoli membri dell’Umbrella cercano di riassestarsi. Luthor mette via il muso e trova l’amore, Diego scopre il concetto di famiglia, Vanya diventa Viktor, in una transizione che segue quella del suo interprete, Elliot Page. E ancora: Allison diventa la versione Dark Phoenix del personaggio, Cinque continua a borbottare teorie curvo nella sua giacchetta e Klaus lo scoppiato continua ad essere il personaggio migliore dello show, nonché uno dei più riusciti in generale, fra quelli sfornati dalla TV negli ultimi tre anni. Un cialtrone livello Jack Sparrow, ma con un cuore enorme.
Ah, e siccome il milionario alieno Reginald è, trattandosi di una linea temporale differente, un altro Reginald, ci sarà da fidarsi stavolta di lui? (Ma figurati).
Le storie, come detto, procedono in parallelo, e a qualcuna ci si affeziona di più, ad altre molto meno. Le vicende personali e familiari di Allison e Viktor dovrebbero dar vita ai momenti più emotivamente profondi della serie, ma non riescono appieno nel proprio intento, vuoi per come sono raccontate (Allison, se mi diventi una stronza, che empatia puoi mai chiedermi?), vuoi perché il tempo a disposizione è sempre pochissimo. The Umbrella Academy ti dà sempre e costantemente, infatti, l’impressione di avere troppa carne al fuoco. Qui più che mai, tra scimmie biker e robot che si danno al fanatismo religioso. Detto questo, nei suoi ultimi episodi questa stagione riesce finalmente a focalizzare la propria attenzione sul plot principale, e ad arrivare fino in fondo, spiegando cosa cavolo è questo Hotel Obsidian e qual è il piano di Reginald (alla fine della fiera, un Gendo Ikari di noialtri).
Poi, certo, parte del successo di The Umbrella Academy si deve all’originalità della confezione. Al suo modo, dicevamo personalissimo, di presentare dei tizi in costume in TV. La scena della dance battle, al di là del motivo per cui accade, ne è un esempio perfetto. Così come quella del karaoke, in cui una famiglia si riconcilia cantando Total Eclipse of the Heart in una festa alcolica alla fine del mondo. E anche se le persone continuano a crepare male, non ci si prende mai troppo sul serio. Si ride, ci si rattrista, si lotta, si balla, si canta e scorre il sangue, come solo a Bollywood o ad Amici di Maria De Filippi.
E una volta capita la natura dell’hotel e cosa c’è dall’altro lato, il finale ti pianta lì, lasciandoti ovviamente con la curiosità di capire cosa succederà dopo. Nel prossimo giro di giostra, sperando che non finisca il carburante apocalittico a metà strada. Perché ormai è chiaro che l’itinerario è sempre lo stesso, una nuova fine del mondo che i ragazzi di The Umbrella Academy cercheranno disperatamente di scongiurare, inanellando casini e paradossi. Una quarta stagione dello show non è ancora stata annunciata, ma il mese scorso il suo showrunner, Steve Blackman, ha dichiarato che, nel caso, sarà l’ultima. C’è infatti da riannodare tutto il riannodabile e portare a conclusione tutte le sottotrame, magari inventandosi, ecco, un plot di base che non sia l’ennesima apocalisse.
Più volte, nella stagione 3, e soprattutto nel suo finale, Luther e gli altri si sono detti stanchi di questo loro sbattere continuamente la testa contro un’apocalisse. E se sono stanchi loro, figurati noi. Diamo un bel finale a questi ragazzi, Netflix. E poi uno spin-off tutto su Klaus, sì? C’è la sua miniserie a fumetti (Sembri la morte – Racconti di Umbrella Academy, di Gerard Way e Shaun Simon, pubblicata in Italia da Bao) già bella che pronta. Su.