Prime video viene molto apprezzata per la grande qualità dei suoi prodotti, da molti generalmente ritenuti, almeno fino ad adesso, più elevati di quelli offerti da Netflix.
Tuttavia sovente quando è andata oltre il canonico o il già visto, non è riuscita a convincere, in particolare per quello che riguarda generi cinematografici come il fantasy, fantascienza e action.
Ora però a risollevarne la reputazione in tale ambito, arriva la serie The Terminal List, tratta dall’omonimo romanzo di Jack Carr e con Chris Pratt nei panni del protagonista, all’interno di una produzione che fin da subito si segnala per la grande qualità estetica e l’abbondanza di mezzi messa a disposizione del nutrito numero di registi coinvolti, per gli 8 episodi di riferimento.
James Reece (Chris Pratt) è un Tenente al comando di una squadra di Navy SEALS, che ha come unico obiettivo quello di neutralizzare in Libia un pericoloso terrorista, tra i più ricercati del pianeta.
In seguito ad una soffiata ritenuta altamente attendibile, James ed il suo team vengono inviati a stanare l’obiettivo, ma il tutto si rivela una trappola orrenda, e nell’imboscata solo James e uno dei suoi compagni riescono a salvarsi, tutti gli altri rimangono uccisi.
Sconvolto dall’accaduto, James nel momento in cui viene chiamato a fare rapporto, si accorge che tra i suoi ricordi e le prove audio e video dell’assalto, vi sono delle piccole ma sostanziali differenze. A dispetto dell’essersi riunito con la moglie Laureen e la figlia Lucy, qualcosa non gli torna, ed inoltre il comportamento dei suoi superiori lo convince che vi sia qualche secondo fine dietro l’assalto in cui è stato coinvolto. Come se non bastasse, James comincia a mostrare disturbi che vanno oltre quelli normalmente associati allo stress post traumatico che colpisce tantissimi veterani di guerra. Quando la sua vita improvvisamente viene messa in pericolo, James scoprirà che i suoi sospetti sono tutt’altro che infondati, e che vi è un complotto che coinvolge fondi di investimento, spietati magnati, industrie farmaceutiche e naturalmente la parte più spietata e amorale della politica americana.
The Terminal List a molti potrà sicuramente ricordare per struttura e anche per tematiche Shooter, inteso sia come il film con Mark Wahlberg che la serie con protagonista Ryan Phillippe. Tuttavia il tema dell’eroe solitario in lotta contro il sistema è talmente usato e abusato all’interno della cinematografia e della serialità americane, che oggettivamente vi è solo l’imbarazzo della scelta. Ma nel cercare dei precedenti da connettere a questa serie TV lugubre, presaga di morte e sofferenza, bisogna però ammettere che sicuramente qui si riesce a vedere qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso dalla norma o da quella prevedibilità che ci assedia.
Una delle prime cose che salta all’occhio è sicuramente il budget, qualcosa che si nota sia nella messa in scena, nelle location e nelle maestranze, così come in generale nel nutrito cast, che annovera oltre a Chris Pratt, anche Taylor Kitsch, Jai Courtney, Riley Keough, Jeanne Tripplehorn, Matthew Rauch e J.D. Pardo.
Tutti loro sono chiamati a vestire i panni dei vari personaggi che si muovono attorno a questo veterano perseguitato da incubi, disturbi e sete di vendetta, ma incapace di arrendersi. La vendetta è il grande tema attorno a cui si sviluppa questa miniserie, di cui ancora non è chiaro se vi sarà un prosieguo per una seconda stagione, e che stranamente è stata accolta in modo molto freddo e severo dalla critica americana. Onestamente la mia opinione è che questo vada ricercato sicuramente nel modo in cui questa serie omaggia, ma ancor più in ultima analisi distrugge, il tema del vendicatore solitario, dell’uomo armato che porta giustizia e verità, del grimaldello anti-sistema che oggi pare essere diventato soprattutto un mito della destra più xenofoba ed eversiva, quella che bene o male ha assalito il Campidoglio e che coltiva il mito delle armi e della violenza fai da te come unica fonte di libertà.
Diciamo che è comprensibile visti anche gli ultimi fatti di cronaca, che un personaggio così possa risultare equivoco o fuori tempi massimo. Ma sarebbe un gravissimo errore perché in realtà The Terminal List è un viaggio disperato dentro un mondo da incubo, in cui non esiste alcuna verità e lealtà, in cui anche la solidarietà tra camerati, il mito della divisa come fucina di rapporti umani sinceri, viene completamente distrutto e infranto. Certo il tutto è sempre messo al servizio di universo connesso all’azione e al dinamismo e qui l’azione è sicuramente di altissima qualità, con sequenze di grande impatto ma anche scevre da ogni legame con il cosiddetto Rambismo o simili. Il tutto all’interno di un iter narrativo in cui non volano soltanto i proiettili, me vi è anche una complessità diegetica non indifferente, con dialoghi ben lungi dall’essere scontati o prevedibili e personaggi dalle mille facce. Emerge anche il tema anticapitalistico e l’importanza dell’informazione indipendente.
Il tutto è al servizio di lui, di Chris Pratt, che per l’ennesima volta veste il ruolo di un uomo in divisa, qualcosa che in fin dei conti calza perfettamente con il suo fisico massiccio e quell’aria da ragazzo americano di campagna che si porta dietro.
Tuttavia lo Star-Lord dei Guardiani della Galassia, dimostra una volta di più di essere in realtà un attore molto sottovalutato, limitato fino ad oggi da progetti cinematografici alquanto ripetitivi e soprattutto sbagliati, dal momento che è in possesso di una gamma espressiva tutt’altro che indifferente.
Il suo James Reece ad uno sguardo superficiale può sembrare un semplice emulo di certi ammazzasette che negli anni erano stati interpretati da duraccioni come Steven Seagal, Chuck Norris o Sylvester Stallone. Ma nella realtà, anche grazie alla sceneggiatura tutt’altro che banale, gli viene data la possibilità di mostrarci un uomo tanto forte e formidabile con un’arma in mano, quanto in realtà assolutamente incapace di confrontarsi con la cosiddetta vita civile, di andare oltre il proprio passato. Quasi un totem di ciò che sono stati i reduci della Guerra la Terrore, portatore di una dimensione esistenziale in cui tutto non si capisce che non tutto si risolve semplicemente con un fucile d’assalto o un’incursione notturna.
A fargli da spalla fino a quasi alla fine vi è il Ben di Taylor Kitsch, che sostanzialmente rimane da molti anni un oggetto misterioso e sottostimato. La sua carriera è stata prematuramente azzerata da quel colossale flop che fu John Carter, esattamente dieci anni fa. Da allora Kitsch è stato in molti film e serie TV tutt’altro che secondarie, eppure non ha mai sfondato come poteva, a dispetto di un talento e un’espressività che anche in The Terminal List emergono in modo preponderante. Soprattutto sul suo essere l’alter Ego, la doppia faccia del protagonista, si trovano poi alcuni dei momenti più interessanti di questa miniserie, che ha con sé un disperato e cinico sapore di sconfitta e decadenza morale. Qualcosa di sicuramente poco comune in un prodotto a stelle e strisce, qualcosa che sicuramente vorremmo vedere più spesso, se non altro per andare oltre una retorica incessante che la narrativa americana onestamente non può più concedersi.