Resident Evil, la serie TV: ve lo meritate Alberto Wesker

Resident Evil, la serie TV: ve lo meritate Alberto Wesker

Di DocManhattan

C’è questa cosa bellissima di Resident Evil, della nuova serie TV di Resident Evil arrivata su Netflix la settimana scorsa. Ed è l’enorme cartellone pubblicitario in 3D utilizzato a Time Square, NYC, con un licker che sembra uscire dall’insegna (lo Squalo in 3D di Ritorno al futuro – Parte II è ormai praticamente dietro l’angolo). Il punto è che questa riuscita trovata pubblicitaria non è una delle note positive della serie di Resident Evil, ma per quel che mi riguarda l’unica cosa piacevole saltata fuori da questo progetto. Una serie TV che viene dopo i giochi e poggia, a grandi linee, sulla storia di questi ultimi… Più o meno.

Resident Evil la serie Stagione 1

V COME VULCANO, E MILLE ALTRE COSE

Lo show si snoda su due distinte linee temporali: il passato del 2022, in cui le sorelle Billie e Jade vanno a vivere insieme al padre, Albert Wesker, nella nuova Raccoon City costruita dalla Umbrella, e il presente del 2036, quattordici anni dopo, quando una delle due sorelle, Jade, si muove in una Terra popolata quasi interamente da zombie. I 300 milioni di esseri umani superstiti vivono in delle città fortificate, ovviamente sotto il controllo della stessa Umbrella Corporation.

Ora. L’idea di incentrare la storia su uno dei principali villain della serie, Albert Wesker (“Ma non era crepato in un vulcano in Resident Evil 5?”, vi starete chiedendo…), facendogli vestire i panni del padre premuroso ma con la sua bella dose di scheletri nell’armadio, era interessante. Idem quella di spostare la storia dopo gli eventi di tutti i giochi, facendo vedere cosa ne è stato del mondo in preda al T-Virus, cosa sta facendo ora la Umbrella, e cosa si può fare per cercare di guidare in una qualche direzione sei miliardi di mostri cannibali ferocissimi.

Peccato che i buoni propositi siano diventati, beh, questo. Una fiacca sottotrama su due sorelle che giocano a fare gli Hardy Boys contro Big Pharma da un lato, un blando mondo post-apocalittico come quelli che si trovano nel cestone del 3×2, con un budget da prima comunione, dall’altro.

Resident Evil la serie Stagione 1

ZERO(ES) ZOMBIE

Senza contare che per essere una serie che cerca di inserirsi nel canone di Resident Evil, o quanto meno di poggiare le sue basi narrative su due decenni e mezzo di trame della saga videoludica, l’approccio ad alcuni elementi chiave è stato piuttosto, come dire, disinvolto. Gli zombie, la pietra angolare di  Resident Evil, non ci sono più, sostituiti da sei miliardi di “zeroes”, mutanti cannibali veloci come quelli di 28 giorni dopo di Danny Boyle. Attirati dal sangue, e non dalla semplice vista di carne vivente.

I pezzi che non s’incastrano sono in realtà tanti, e l’etnia di Wesker, che ha fatto inalberare i soliti soggetti privi di veri crucci nella vita, è davvero l’ultimo dei problemi. La verità è che se il tutto si fosse chiamato in un altro modo, se la Umbrella fosse stata la malvagia multinazionale farmaceutica Pinella, e la famiglia Wesker avesse avuto un altro cognome, che so, Veltri, non sarebbe cambiato assolutamente nulla.

Avremmo avuto la stessa serie: una serie sugli zombie per nulla originale, con dei protagonisti stereotipati (le due ragazze sono detestabili dal primo secondo in cui appaiono sullo schermo), con tante idee bislacche sul piatto e grossi problemi di pacing. Il salto da una linea temporale all’altra, che dovrebbe generare curiosità nello spettatore, ha l’unico effetto di annoiarlo e non farlo affezionare a nessuno dei due racconti. Un classico caso di ambizioni schiacciate dalla scarsa messa a fuoco di quelle idee.

Resident Evil la serie Stagione 1

NOSTALGIA DI RACCOON CITY

I collegamenti con la saga, le strizzate d’occhio per accattivarsi il popolo del pad, non mancano: oltre alla vecchia Raccoon City vengono citati diversi nomi del passato di Resident Evil (indizio per uno dei possibili esempi: tre lettere, nome femminile palindromo). Ma quello che ogni fan della saga sa è che non basta infilare qualche mostrone figlio del T-Virus per divertirlo, quando i film di Resident Evil hanno già fatto di tutto, e praticamente in tutti i casi decisamente meglio. Tutti i Resident Evil della saga di Paul W. S. Anderson hanno preso e plasmato il materiale originale a modo proprio, allontanandosene tantissimo, consapevoli del fatto che la storia da cui tutto è partito è un mescolone di temi horror sorretto, nel primissimo gioco, da una trama e da sequenze live action iniziali da film di serie D. Pasticciato per quanto pasticciato fosse il finale di quella saga, The Final Chapter, era in più di un senso una chiusura del cerchio.

Anzi, se proprio dobbiamo dirlo, forse il pregio maggiore della noia generata da questi otto episodi è l’avermi fatto rivalutare un minimo il film dello scorso anno. Perché al di là dei suoi sfacciati omaggi ai primi, storici giochi della saga, alla villa Spencer e alla stazione di polizia di Raccoon City riprodotte 1:1, Resident Evil: Welcome to Raccoon City era un film brutto, sia chiaro. Ma di un brutto quanto meno un minimo divertente, se guardato a cervello spento.

Questa prima stagione del Resident Evil di Netflix non fa neanche quello.

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