Le voci sole è una testimonianza dei nostri tempi

Le voci sole è una testimonianza dei nostri tempi

Di Lorenzo Pedrazzi

Un giorno ci guarderemo indietro, e vedremo con maggiore limpidezza quanto alcune opere siano davvero una testimonianza dei nostri tempi. È successo dopo l’11 settembre, poi con la Grande Recessione, e ora sta accadendo di nuovo – più lentamente, essendo un processo tuttora in corso – con la pandemia di Covid. Si tratta di un fenomeno difficile da elaborare, essendo caratterizzato da uno sviluppo così estensivo: non a caso, gran parte dei film sceglie di ignorarlo, immaginando un proprio universo personale dove il virus non è mai esistito. È anche per questo che Le voci sole, esordio nel lungometraggio dei milanesi Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, sortisce un effetto così profondo e inquieto sugli spettatori. La storia che racconta è ambientata nella nostra realtà, e le sue conseguenze hanno qualcosa di riconoscibile: in un modo o nell’altro, tutti noi le abbiamo vissute sulla nostra pelle.

È proprio qui che risiede il valore del film, capace di immaginare una storia intima, racchiusa in un piccolo nucleo familiare, e trasformarla in qualcosa di universale. Giovanni (Giovanni Storti) è un gruista che ha perso il lavoro a causa della pandemia ed è stato costretto a emigrare in Polonia, dove molte aziende hanno delocalizzato le loro fabbriche. Dal clima fosco del suo appartamentino, resta in contatto con la moglie Rita (Alessandra Faiella) e il figlio Pietro (Davide Calgaro) tramite videochiamate. Quando Rita si offre di insegnargli a cucinare, Pietro carica on-line il video della loro prima “lezione” perché il padre possa rivederlo a piacimento, ottenendo un inaspettato successo virale: le schermaglie in cucina tra i due coniugi diventano subito famose, Rita viene persino fermata in strada dai fan, e i problemi economici sembrano allontanarsi. Ovviamente, però, la fama si rivela ben presto un’arma a doppio taglio per la coppia, e il tribunale della rete è lesto a dare le sue sentenze.

A impressionare fin dall’inizio è il fatto che Brusa e Scotuzzi trovino subito un loro linguaggio, dettaglio non certo scontato in un esordio come questo. Le voci sole è infatti scandito da una struttura molto rigorosa ed espressiva: le sequenze con Giovanni e Rita in videochiamata sono intervallate dalle inquadrature della fabbrica, spesso in campo totale, che mostrano l’assoluta spersonalizzazione degli operai sul posto di lavoro. Si genera così un’efficace contrapposizione fra l’intimità della vita familiare (dove l’individuo, con il suo carattere e le sue esigenze, ha un ruolo centrale) e l’anonimato della vita lavorativa, che pretende di eliminare ogni traccia di individualità per servire l’azienda. Non vediamo mai Giovanni in fabbrica, possiamo solo immaginare che stia manovrando la gru o che si trovi oltre i confini della diegesi, e la massima percezione che abbiamo di lui è nei messaggi vocali che sentiamo in sottofondo. Questa particolare scelta narrativa, oltre al singolarissimo uso delle musiche, imprime un senso di alienazione che sfocia quasi nell’assurdo, nell’ironia surreale e salvifica. La ripetitività della struttura, per quanto a volte possa sembrare eccessiva, serve anche a questo.

L’antitesi fra due luoghi chiusi e opprimenti, la casa da una parte e la fabbrica dall’altra, rievoca l’esperienza del lockdown come pochi altri film sono riusciti a fare finora. Le voci sole è stato concepito prima della pandemia, ma la produzione curata da Andrea Italia ha dovuto fronteggiare le esigenze del momento, incorporando la pandemia stessa nella storia. Il risultato è un film che si adatta al presente per rielaborarne le suggestioni, sia in termini economici (la delocalizzazione delle aziende, l’emergenza dei nuovi poveri) sia in termini sociali (la tecnologia come strumento per annullare le distanze, la virtualizzazione dei rapporti interpersonali). A destare qualche perplessità sono i vari passaggi del successo di Giovanni e Rita on-line, forse volutamente trascurati e semplificati per concentrarsi sul cuore della vicenda. Magari l’evoluzione della loro ascesa non è molto credibile, ma il punto di vista è quello di due sessantenni che vedono internet come uno strumento misterioso, e questo si riflette anche sul modo in cui interpretano le sponsorizzazioni (ovvero come le vecchie televendite, più che nello stile degli influencer).

In tal senso, Le voci sole ha il merito di ricordarci come la fama popolare – soprattutto in rete – trasformi le persone in personaggi, maschere stereotipate da cui il pubblico si aspetta sempre gli stessi cliché, le stesse reazioni, le stesse frasi a effetto. Ogni deviazione dalla macchietta viene percepita come un tradimento, e quelle che un tempo erano “voci sole” (ovvero le sparute voci critiche in un marasma di consensi) crescono fino a diventare un coro. La salvezza è negli affetti reali, coltivati nel tempo, che condividono i tumulti della vita quotidiana e si rafforzano nelle esperienze concrete. Un po’ retorico, forse, ma impossibile dargli torto.

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