A 15 anni esatti dall’uscita in sala, Harry Potter e l’Ordine della Fenice rimane uno dei film più amati dai fan, come dimostrato anche degli incassi, dal momento che è al terzo posto, con quasi un miliardo di dollari incassati in tutto il mondo. Ma già all’epoca la critica sottolineò l’atmosfera mutevole e via via sempre più drammatica di un episodio che, di fatto, è uno spartiacque tra la prima e la seconda parte della Trilogia. Detto questo, bisogna riconoscere che per una volta David Yates si dimostrò capace di una certa audacia, ma soprattutto che il film abbandonava i toni più morbidi da teen drama classico, per abbracciare un’escalation drammatica e dai significati tutt’altro che superficiali.
Questo quinto capitolo delle avventure dedicate al maghetto più famoso di sempre, arrivava esattamente dopo il Calice di Fuoco, dopo il Torneo Tremaghi, con la resurrezione di Voldemort e la morte di Cedric, nonché con la scoperta di una massiccia cospirazione atta a ricreare l’orda oscura che aveva permesso al cattivo per eccellenza di accumulare un potere mai più visto in precedenza.
Harry Potter rischiava all’inizio non solo di venire espulso da Hogwarts per esserci semplicemente difeso nel mondo “normale” da due Dissennatori, ma si trovava a fare i conti con un clima di sospetto, emarginazione ostilità da parte di quasi tutti gli altri studenti, perseguitato da una macchina mediatica cieca e diffamatoria, portata avanti dalla Gazzetta del Profeta. Ed ecco materializzarsi l’Ordine della Fenice, un’organizzazione capeggiata da Silente, e comprendente Sirius Black, Remus Lupin, Severus Piton e diversi altri che da molto tempo lottano contro l’oscuro signore e per il mantenimento dell’equilibrio tra i due mondi. Da notare soprattutto come il film ci proponeva questa volta un villain totalmente diverso da quelli a cui eravamo stati abituati in precedenza, nelle vesti di una spietata burocrate, che ha il viso pettegolo e impertinente di Imelda Staunton, nei panni della detestabile Dolores Umbridge. Da nuova insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, diventerà infine la Preside di Hogwarts, instaurando un vero e proprio regno di bigottismo e terrore tra gli studenti, e assurgendo sostanzialmente a simbolo di tutto ciò che di odioso un’istituzione scolastica può rappresentare, tra paternalismo, ipocrisia e violenza. In poche parole Harry si trova assediato su due fronti, all’interno della scuola che era sempre stata bene o male un rifugio sicuro, e all’esterno dove i Mangiamorte cercano in tutti i modi di attirarlo in trappola, al cospetto dell’Oscuro Signore, che altro non desidera che vendicarsi su chi lo ha portato ad una ignominiosa sconfitta ancora neonato.
Il segreto dietro il perfetto equilibrio di questo film, risiede nella sceneggiatura di Michael Goldenberg, capace di compiere veri e propri miracoli di equilibrismo tra il materiale originale della Rowling e la necessità di adattarlo al medium cinematografico. Se pensate che sia qualcosa di facile, basta vedere come i tanti film dedicati all’universo magico creato della scrittrice britannica, ad un occhio freddo e neutrale, appaiono incredibilmente incostanti in termini di qualità e ritmo, a dispetto del loro status di icona transgenerazionale. In Harry Potter e l’Ordine della Fenice invece funziona tutto quanto la perfezione, fin dall’inizio si è catturati da un’atmosfera che fa del mistero il motore principale, con cui non dare particolari certezze allo spettatore, aumentando la curiosità e soprattutto l’empatia verso i personaggi.
Ma come ricordato da molti, questo quinto film della Saga è stato soprattutto quello in cui si è riusciti a mettere in atto una metamorfosi molto importante, in cui il ritorno di Voldemort era fautore di una totale cesura rispetto a ciò che era la saga fino a poco prima, con l’aumento della drammaticità, dei pericoli, e l’inizio di una connessione profonda con un’atmosfera di morte, tragedia e claustrofobia che poi troveranno probabilmente il climax nel Principe Mezzosangue. Si tratta anche del capitolo in cui trova la morte Sirius Black, senza ombra di dubbio la vera figura paterna di riferimento per Harry Potter, nonché uno dei personaggi più amati della saga. Si tratta ancora oggi di un momento importantissimo perché segna anche la perdita definitiva dell’innocenza già incrinata dalla morte di Cedric, non solo per il suo protagonista ma anche per tutti gli altri. Ma Harry soprattutto si vedrà qui connesso ad un sentimento di senso di colpa profondo per la sensazione di averla anche solo indirettamente causata. Tra questo, la ricerca di prove sul perché dell’evidente connessione tra Harry Potter e Voldemort, il film appare una gigantesca caccia al tesoro, ma sarebbe forse più corretto dire un thriller. Ben più di altri film, questo assomiglia ad una sorta di giallo fantasy in cui Harry ed i suoi amici seguono una pista in cerca di una verità, che poi alla fine si rivela essere foriera di una conclusione alquanto sinistra: uno tra lui e Voldemort Dovrà per forza morire.
Al contrario di altri film della saga, in particolare degli ultimi due episodi, Harry Potter e l’Ordine della Fenice ha una regia molto efficace, suggestiva, capace di grande incisività sia per quello che riguarda le scene in interni, sia per i momenti più spettacolari, in particolare duello tra silente e Voldemort, forse quello più esaltante della Saga.
Di fatto però Harry Potter diventa qui un ribelle per la prima volta, è un sovversivo contro un sistema che è stato contagiato dall’interno dei servitori di Voldemort, e che in più di un’occasione strizza l’occhio al peggio del Fascismo e del totalitarismo.
Dolores Humbridge non ha poi molto da invidiare come linguaggio e caratteristiche, a certi gerarchi che anche la cinematografia ci ha ricordato essere soprattutto persone mediocri, squallide, che cercano il rimedio alla propria insicurezza tramite l’esercizio del potere più totalizzante.
In più di un’occasione, l’insieme quando è ambientato all’interno di Hogwarts, e quando ci parla della ribellione degli studenti contro questa insegnante corrotta e crudele, strizza l’occhio a l’Attimo Fuggente di Peter Weir, con la Stanza delle Necessità che ci ricorda un po’ quella caverna in cui la società dei Poeti Estinti si riuniva per esercitare la creatività e il libero arbitrio.
Il che può risultare da certi punti di vista anche una variazione del genere teen drama, che ha avuto una marea di film incentrati sulla volontà degli studenti di andare oltre le rigide e sovente ottuse regole dell’istituzione educatric.
Il tutto però non può mettere da parte il fatto che questo sia forse il primo film in cui Harry Potter è veramente solo, deve affrontare prove non indifferenti che mettono in dubbio la sua fede in se stesso e anche il suo rapporto con Silente. Deve soprattutto muoversi all’interno di un universo in cui non sa di chi può fidarsi. A 15 anni di distanza, il vero rammarico è fatto che se si esclude Il Principe Mezzosangue, Il gran finale della saga non ha imitato questo film nella capacità di donare quella qualità che ci si aspettava per un universo narrativo così importante e così amato.