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Studio 666: un divertente regalo ai fan dei Foo Fighters – La recensione

Pubblicato il 27 giugno 2022 di Marco Triolo

Non sono un fan dei Foo Fighters. Lo dico a scanso di equivoci e per scusarmi in anticipo in caso di strafalcioni. Sono fermamente convinto che Studio 666, il film prodotto e interpretato da Dave Grohl e soci, si apprezzi meglio se si è fan della band, perché è un prodotto chiaramente mirato a chi conosce e segue i Foo Fighters e ha famigliarità con le loro personalità e dinamiche. I sei protagonisti – o per meglio dire Dave Grohl e i cinque co-protagonisti – sono archetipi, versioni fittizie di loro stessi che estremizzano i loro principali tratti caratteriali. Conoscendoli in partenza, probabilmente, l’esperienza è di tutt’altra portata.

Il lato positivo di Studio 666, però, è la sua capacità di trascendere il compitino per fan e diventare una commedia horror (quasi) a tutto tondo, godibile anche per chi, come me, non sacrifica ogni sera un capretto all’altare dell’ex Nirvana e dei suoi compari. La band sa prendersi con grandissima ironia, non disdegnando un body count che, entro la fine, manda precocemente in pensione quasi tutti, per sfociare in un finale beffardo tipico del cinema horror più auto-consapevole. Se, insomma, vi aspettavate che, entro la fine, una magia avrebbe riportato in vita tutti, ripensate le vostre aspettative.

Caviamoci subito il sassolino dalla scarpa: sì, dopo l’inaspettata morte di Taylor Hawkins, è più difficile vedere certe scene e riderne come era intenzione della band. Studio 666 è un film che scherza sulla morte, sull’immortalità delle rock star, ed è un peccato che da noi sia uscito dopo una circostanza così triste. Qui i Foo Fighters appaiono affiatati e sereni, tristemente inconsapevoli che quel forte legame (qui sottolineato in una scena) sarebbe stato presto spezzato da un evento drammatico. Fa impressione, ma tocca conviverci.

Dietro la macchina presa di Studio 666 troviamo BJ McDonnell, regista di Hatchet III e di svariati videoclip metal (degli Slayer, soprattutto). Il curriculum perfetto per prestarsi a questo tipo di operazione: McDonnell è a suo agio nel riprendere una band al lavoro, ma ha anche esperienza in campo horror. Fondamentale, perché effettivamente il film tenta di non buttare proprio tutto sullo humour e l’auto-ironia, azzeccando qualche breve scena inquietante al punto giusto. È questo che distingue le commedie horror dalle parodie, e McDonnell e i Foo Fighters lo sanno.

Il regista affianca alla band anche qualche attore professionista – Whitney Cummings, Will Forte, Jeff Garlin, Leslie Grossman e l’ormai onnipresente Jenna Ortega – senza far troppo sfigurare i membri dei Foo Fighters. Sia chiaro, i momenti di inadeguatezza ci sono, eppure McDonnell riesce a dirigerli piuttosto bene e soprattutto a sfruttare le alchimie naturali tra di loro, scegliendo – anche grazie al soggetto di Dave Grohl, probabilmente – chi debba morire prima e chi invece debba sopravvivere più a lungo per creare accoppiamenti funzionali e interessanti. In particolar modo quello tra Pat Smear e Nate Mendel, ritratti come dei Gianni e Pinotto alle prese con orrori indicibili, è molto azzeccato. Grohl, da parte sua, dimostra anche di avere un certo talento naturale per la recitazione.

C’è spazio per degli ottimi effetti pratici, degni delle migliori produzioni horror di oggi. E non dimentichiamo che il tema portante della colonna sonora è firmato da John Carpenter, Cody Carpenter e Daniel Davies. John Carpenter si riserva anche un cameo nei panni del tecnico del suono (accreditato come Rip Haight, uno dei suoi numerosi pseudonimi). La sua presenza è ben poco casuale: il film si apre con dei titoli di testa in Albertus, il font prediletto di Carpenter. È immediatamente chiaro quanto Dave Grohl ami l’horror, e infatti, nella prima scena, il frontman cita alcuni dei suoi film preferiti.

Studio 666 gioca anche con l’immagine “satanica” di cui spesso il rock si ammanta, citando apertamente i Led Zeppelin e le celebri sessioni di registrazione di Headley Grange. Ma c’è anche un rimando esplicito al passato di Dave Grohl: la villa in cui il gruppo si ritira per registrare il decimo disco è posseduta dallo spirito di un musicista che si è suicidato lì negli anni ’90, un riferimento non troppo velato a Kurt Cobain. Il film è, insomma, decisamente “meta” e citazionista, anche se questo aspetto non appesantisce la visione. Questo perché Studio 666 cerca di costruire prima di tutto una storia coerente, con premesse solide che non vengono tradite.

Nonostante un finale di troppo e una durata che avrebbe tranquillamente potuto essere sforbiciata, Studio 666 è un film onesto, che trasuda passione per l’horror, in cui i Foo Fighters si mettono al servizio della storia e non viceversa (il rischio maggiore per operazioni di questo tipo). Al cinema vi ci trascinerà probabilmente il vostro amico fanatico della band, ma andate tranquilli: non vi annoierete.