Arrivati al quinto episodio di Obi-Wan Kenobi, appare evidente che ci dovremo accontentare. Obi-Wan Kenobi non è The Book of Boba Fett, lo abbiamo ripetuto più volte, ma questo non significa che la cosa non sia frustrante. Perché da un lato abbiamo Boba Fett, un “non” personaggio gonfiato da decenni di fandom legati semplicemente al suo design, ma poco interessante nei fatti. Dall’altro abbiamo uno dei più grandi maestri Jedi della saga di Star Wars, interpretato da uno dei migliori attori di oggi. Era lecito aspettarsi qualcosa di più. O forse no.
Obi-Wan Kenobi è una side quest, un’avventura mai raccontata tra le parentesi della fuga di Obi-Wan su Tatooine e la sua prima vera apparizione in Episodio IV. Il problema è che è una side quest che però vorrebbe essere altro: vorrebbe essere un tassello mancante fondamentale, tira in ballo i pezzi da novanta della saga, si riallaccia ai prequel per sviscerare il rapporto conflittuale tra Kenobi e il suo ex Padawan caduto in disgrazia. Entrambi provano un forte risentimento, entrambi si sentono traditi dalla persona amata. Potremmo quasi dire che quella tra Kenobi e Darth Vader è la storia di una brutta rottura tra amanti con cui entrambi, ora, devono venire a patti. Sulla carta poteva essere interessante.
Ma c’è il problema della continuity. La serie sta facendo uno slalom controllatissimo tra potenziali incoerenze, creandone altre (il rapporto con Leia) e frenandosi moltissimo quando si tratta, appunto, di far interagire i due antagonisti. Finora li abbiamo visti sfidarsi in un duello estremamente timido, come è timida un po’ tutta la serie: ok, si sono detti Joby Harold e gli sceneggiatori, possiamo trascinare Obi-Wan in una nuova avventura, ma dobbiamo assicurarci che stia quasi tutto il tempo chiuso in cunicoli e caverne, perché teoricamente dovrebbe essere un latitante. Salvo poi farlo scoprire direttamente da Darth Vader, la sua nemesi, andando un po’ a smontare tutta la premessa di Star Wars: Kenobi è su Tatooine, il pianeta natale di Anakin Skywalker, ma nessuno gli sta dando la caccia perché nessuno sa se sia ancora vivo. Nel momento in cui il braccio destro dell’Imperatore ne ha conferma, indipendentemente da come questa serie andrà a finire, come faremo a crederci? Specie se persino Bail Organa lo riesce a trovare in pochissimo tempo.
È chiaro che parlare di “buchi di sceneggiatura” in una saga come quella di Star Wars è superfluo, forse persino dannoso. Stiamo pur sempre parlando di film e serie che citano la narrativa e il fumetto pulp, da Flash Gordon in giù, e quindi un certo tasso di ingenuità è connaturato al materiale. Ma qui si sta davvero rischiando grosso. Non nel senso di “rovinare la saga”, ma proprio di non prendere seriamente questa miniserie. Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: per convincere i fan dell’utilità di questa operazione, Joby Harold, Deborah Chow e la loro squadra avrebbero dovuto creare qualcosa di davvero forte, rendersi in un certo senso indispensabili. Oppure, all’opposto, avrebbero potuto puntare su una vera side quest, un’avventura superflua ma eccitante, senza grosse implicazioni mitologiche. Inizialmente il villain avrebbe dovuto essere Darth Maul: forse quella sarebbe stata un’idea migliore, un modo per chiudere il cerchio coinvolgendo due personaggi creduti morti, ai margini della saga. Tirare in ballo Darth Vader, l’Impero, la principessa Lei(l)a e la Ribellione è come approcciare nudi un alveare: se ti va bene, le api non ti pungono e ci ricavi il miele; se ti va male, finisci all’ospedale. E allora in genere che si fa? Lo si approccia con indosso una pesante tuta imbottita. Ed è esattamente quello che fa Obi-Wan Kenobi: tutti gli spigoli sono stati imbottiti e rimossi, per creare un’esperienza sicura ma, purtroppo, immediatamente dimenticabile.
Spiace dirlo, anche perché questo quinto episodio, come ogni episodio che lo ha preceduto, ha i suoi momenti, e “si fa guardare” (che brutta espressione, quando si parla di Star Wars). Eppure, nei momenti chiave – come ad esempio un grosso colpo di scena che, pur avendo pochissimo senso, dovrebbe far rileggere completamente uno dei personaggi principali sotto una nuova luce – anche qui Deborah Chow dimostra di non saper gestire l’epica. Anche per colpa di uno script – di Joby Harold e Andrew Stanton, regista di Alla ricerca di Nemo e John Carter – che incappa in una serie di scelte frettolose e a rischio di ridicolo.
Ewan McGregor ce la mette tutta, ma Obi-Wan Kenobi ha sempre più il sapore di quello che temevamo sarebbe stata: un tuffo nostalgico senza troppe pretese, in attesa di serie migliori (quelle di Dave Filoni).