Elvis al cinema. Una lunga storia d’amore

Elvis al cinema. Una lunga storia d’amore

Di Giulio Zoppello

Senza ombra di dubbio Baz Luhrmann può rivendicare di aver portato sul grande schermo un biopic dotato di grande potenza visiva, completamente appoggiato su una performance attoriale di grande visceralità e potenza da parte di Austin Butler. Assieme al sempre carismatico Tom Hanks, ci ha trasportato al tempo in cui il ragazzo di Memphis cambiava per sempre non solo la storia della musica, ma la storia della società, della cultura pop, e apriva orizzonti inesplorati. Il cinema per Elvis fu una seconda casa, ma è stato anche dopo la sua morte dove si è cercato di raccontare tanto il mito, il lascito di questo ragazzo incredibile, capace con una voce e una chitarra di diventare un mito senza tempo.

QUI trovate la nostra recensione di Elvis


Il sogno di Hollywood di Elvis



Già nei primi anni ‘70 uscirono diversi documentari dedicati al Re del Rock, di cui si intuiva già il declino all’interno di quella enorme sontuosa gabbia dorata che gli era stata costruita nella sua Las Vegas, il tempio kitsch e pacchiano in cui illuminò il mondo con gli ultimi sprazzi del suo genio musicale. 
Ma in realtà Elvis il cinema lo amava veramente, era stato uno dei grandi protagonisti del musical e del cinema di intrattenimento in generale a partire dagli anni ‘50, sia seguendo i consigli del suo manager, spaventato dalle critiche e persecuzioni verso il suo protetto, sia per l’incredibile fascino che su di lui esercitava il mondo della settima arte.


Occorre dire però che, a parte qualche raro titolo, Elvis non riuscì mai a centrare quella pellicola che lo consegnasse ai posteri non solo come un grande musicista, ballerino e performer, ma anche come grande interprete, come quel James Dean che lui osannava.


A conti fatti i film migliori che Presley mise a segno furono Viva Las Vegas, Fratelli Rivali, Blue Hawaii, Kid Galahad, Love Me Tender e soprattutto King Creole. Ancora oggi rimane il dubbio, perplessità, su quanto in realtà la prudenza di chi lo gestiva ma soprattutto la volontà di cavalcare comunque la sua identità di cantante amato dal pubblico giovanile, gli avesse impedito di esplorare fino in fondo il suo talento recitativo, che soprattutto in King Creole e Kid Galahad, si palesò come tutt’altro che inconsistente.


Certo, non sarebbe mai stato sicuramente un Marlon Brando o un Paul Newman, ma permane il rammarico connesso alla visione oscurantista, così come all’ottusità con cui l’industria cinematografica cercò bene o male di sfruttarne il nome per progetti che, via via si dimostrano sempre più sterili e di scarsa rilevanza, se non proprio terribili. Tuttavia, la settima arte se non altro ha onorato il Re del Rock grazie ad alcuni registi ed interpreti che hanno saputo coglierne l’essenza e la tragica iconicità in modo originali.

Tra omaggi atipici e affettuosi



Solo due anni dopo la morte, il grande John Carpenter diresse un giovane Kurt Russell in Elvis, il Re del Rock, biopic per la televisione con cui omaggiare quel ragazzo che era stato distrutto della sua stessa fama e da chi lo circondava.


Per Carpenter, da sempre grande fan di Elvis, il film su qualcosa di molto personale, di molto intimo, ma lo stesso per Kurt Russell, che ad appena 12 anni aveva condiviso il set proprio con il ragazzo di Memphis, in Bionde, rosse, brune… del 1963. Ad oggi nessuno quasi si ricorda di questo film, che di base fermò gli eventi al 1970, risparmiando al pubblico il calvario finale, quando il loro idolo ormai appariva irriconoscibile sul palco, però rimane un film onesto e coerente, con Ronnie McDowell che dette buona prova di sé nell’interpretare le canzoni di Elvis. 
Dopo fu la volta di This is Elvis, sorta di film a metà tra documentario e fiction, scritto e diretto da Andrew Solt e Malcolm Leo, narrato dal cantante Ral Donner e presentato nel 1981 al Festival di Cannes.
Fu accolto discretamente della critica, che lodò se non altro la volontà di andare oltre il già visto e il canonico, utilizzando ben quattro attori diversi per riportare in vita il Re del Rock, nonché l’utilizzo di un gran numero di filmati inediti. 
Qualcosa poi arrivò anche dall’Italia, se non altro un omaggio affettuoso ed ironico, su quanto il mito di Elvis fosse diventato mondiale, a dispetto del suo non aver mai lasciato il suolo patrio. Fu Carlo Verdone nel 1998 a interpretare un fantomatico “Fijo naturale de Elvis”, nel suo Gallo Cedrone, parodiando i tanti sosia, aspiranti imitatori e milioni di fan per i quali Presley non è mai morto veramente.

Tra rapine e mummie egizie

Poi nel 2001, quel matto di Demian Lichtenstein, prende Kevin Costner, Kurt Russell, Courtney Cox, Kevin Pollak e Ice-T per creare 3000 Miles to Graceland, un heist movie selvaggio e indiavolato, ambientato a Las Vegas nei giorni della commemorazione al Re del Rock. 
Tra tanti sosia e canzoni, volano proiettili e sangue, con scene d’azione adrenaliniche e soprattutto una chimica e contrapposizione tra Russell e Costner di enorme intensità, quasi a rappresentare le due anime e due vite di Elvis, quella romantica e quella caotica e irrazionale.


Purtroppo il film fu un flop al botteghino ma rimane uno degli omaggi più fantasiosi, strani, affascinanti e atipici alla figura di Elvis, alla sua Las Vegas, ai Casinò che lui contribuì a rendere luoghi di una libertà totalizzante ma falsa, che qui esplode in una sequenza finale tragica e malinconica come certe ballads del Re del Rock. 
L’anno dopo, arriva un altro gioiellino chiamato Bubba Ho-Tep – il Re è qui, creato da Don Coscarelli, con Bruce Campbell nei panni di un Presley invecchiato in un ospizio nel Texas, con il nome di Sebastian Haff. Ha finto la sua morte con il vero Haff per riavere la sua libertà, ma in breve si troverà coinvolto in una serie di delitti misteriosi, tra mummie egizie e black humor. Gioiellino di genere folle e simpaticissimo, è ammantato da una riflessione non da nulla sul concetto di immortalità. 
Per finire, Elvis & Nixon, con Kevin Spacey nei panni di “Dick The Trick” e Michael Shannon in quelli di Presley, nel momento di maggior instabilità emotiva del cantante, quando toccò una deriva reazionaria non da nulla. Rievocando lo storico incontro tra i due nel 1970 alla Casa Bianca, il film si pone a metà tra commedia grottesca e film storico, ed è soprattutto un omaggio al concetto di unicità.


Perché unici quei due uomini che hanno fatto la storia lo furono sul serio, sposando il sogno americano come miraggio per gli ultimi del “Grande Paese”. Shannon ci dette l’Elvis alienato e spezzato del tramonto, Spacey un Nixon iracondo eppure vulnerabile. Di certo un film da recuperare.

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