The Doc(Manhattan) is in FantaDoc
Prima dei meme su J. Jonah Jameson e sugli occhiali di Peter Parker. Prima del – bellissimo – secondo film e del – dimenticabilissimo – terzo capitolo. Prima che il ritorno di Tobey Maguire nei panni di Spidey per No Way Home generasse in sala quell’Awwww di nostalgia. Seguito da un “Come si vede che è invecchiato, Tobey”, seguito a sua volta da “Va’ che è del ’75 pure lui, ha la mia stessa età”, che precedeva un “Appunto”. Prima, insomma. Sono passati vent’anni dall’uscita del primo Spider-Man di Sam Raimi. Venti. Il tempo vola, quando ti diverti a vivere metà della tua vita.
Vent’anni (20). Sembra ier… no, col cavolo. Me li sento tutti addosso. Era il 3 maggio del 2002, negli USA: da noi sarebbe arrivato poco più di un mese dopo, il 7 giugno. Lo ricordo molto bene, per il semplice fatto che era un film che aspettavo da oltre dieci anni. Io come ogni altro fan dell’Arrampicamuri lì fuori.
Questa sorta di miraggio, il film di Spider-Man, di cui avevamo letto per anni nei redazionali dei fumetti e sulle riviste di cinema. In differita a volte di un, due, tre (stella) mesi rispetto agli States. La circolazione delle notizie, ai tempi, era così dannatamente analogica. Ritardi, passaggi di mano, casini assortiti.
Quel malestrom di fallimenti e script mai andati in porto. Quella girandola di nomi: James Cameron, la Cannon, la Carolco, DiCaprio. Come un’oasi inesistente nel deserto, sempre alla stessa distanza. A un certo punto sembrava che questo film non sarebbe uscito mai. Come se il Nicholas Hammond della serie TV anni 70 fosse destinato a restare l’unico Peter Parker in carne e ossa mai esistito. Per sempre.
(Ho scritto Peter Parker, Supaidāman non conta).
Poi, all’improvviso, Columbia compra quei diritti, e l’anno dopo ingaggia Sam Raimi. Sciarpata della curva dei suoi ultrà, cioè noialtri fan di Ash e del suo reparto ferramenta, cresciuti riguardando a nastro, letteralmente, la trilogia de La Casa e Darkman (col senno di poi la prova generale, prima di avventurarsi nel Marvel Universe). Se siete finiti pure voi in un cinema a guardare La Casa 5, nel ’90, tragicamente convinti che avesse a che fare con la saga di Evil Dead, abbracciamoci forte.
L’abbiamo già detto che la circolazione delle notizie, allora, era decisamente meno efficace.
E poi ci siamo, arriva davvero. Anzi, no, aspetta, ché il mondo fa giusto in tempo a impazzire, succede l’11 settembre e devono cancellare in extremis le Torri Gemelle (viste nel teaser con la ragnatela acchiappa-elicotteri) dal film. Lo ricordate il brivido, in quel torrido giugno del 2002, all’ingresso in sala? Non era emozione, era paura. Ho aspettato quasi dieci anni, e se poi è brutto?
Fortunatamente, non lo era.
Quell’estate ho visto Spider-Man al cinema tre volte. E ogni volta continuavo a ripetermi che era successo davvero. E che, cavolo, era valsa la pena di aspettare tutto quel tempo. Non era un film perfetto: non mi piaceva quel Green Goblin scappato da una serie dei Power Rangers, e no, non mi piaceva neanche il costume di Spidey, se è per questo. Ma il mondo non era pronto, certo: erano ancora i tempi in cui gli X-Men dovevano sembrare dei biker e i costumi dei super-eroi robe in pelle dai colori sempre scurissimi, ché tutti sembrava si vergognassero dei film sui super-eroi. La tuta di gomma con le ragnatele a rilievo, insomma, era il meno. Dettagli.
Oh, era il film di Spider-Man, signore e signori. IL FILM DI SPIDER-MAN.
C’era MJ, e amavamo tutti MJ. C’era Harry. C’era la vecchina della candeggina, o forse era zia May, non ricordo. C’era forse anche il vecchio Ash, Bruce Campbell? Oh, certo che c’era. C’era pure Lucy Lawless in versione punk, se non sbattevi le palpebre nel momento sbagliato. Si erano ricordati perfino dei brevi trascorsi sul ring del Peter tracotante degli esordi, e gli avevano pure messo di fronte uno dei miei wrestler preferiti di quando ero ragazzino, Randy Savage. E per quanto le ragnatele organiche al posto dei lanciaragnatele meccanici fossero state riprese dallo sceneggiatore David Koepp dagli script di James Cameron, ci vidi un’influenza evidente da parte dello Spider-Man 2099 di Peter David e Rick Leonardi. Questo Peter Parker aveva pure i mini-artigli sui polpastrelli, dopo tutto.
Comprai il poster gigante (ce l’ho ancora). Comprai il CD della colonna sonora (forse pure quella, ma non ne sono così sicuro). Soprattutto, impressi nelle retine la lunga scena dello spenzolamento finale tra i grattacieli di Manhattan.
Il film non si chiude con quel “Chi sono? Sono Spider-Man”. Quello sarebbe stato magari il finale se il primo Spider-Man fosse stato un film dell’MCU. Raimi, invece, fa pronunciare quelle parole a Peter Parker prima, quando si allontana dalla lapide, dando le spalle a Mary Jane. Poi lo spenzolamento tra i grattacieli è accompagnato soltanto dalle note di Danny Elfman. Un dialogo muto tra lui e Manhattan, il consolidamento di un patto, la promessa di nuove, grandissime avventure da vivere insieme.
All’epoca pensavo che quei trenta secondi esatti fossero la singola scena più figa che avessi mai visto in un film tratto da un fumetto. Venti anni tondi più tardi, sapete, lo penso ancora.