Davvero difficile decidere che cosa è stato più importante, qual è stato il regalo migliore che George Lucas ci fece in quel 1977 creando la saga più importante della storia del cinema.
In questo Star Wars Day, però, se si dovesse cercare a livello di personaggi quale abbia la maggiore centralità e iconicità, inutile dire che sarebbe lui: Darth Vader, il caduto, il prescelto che doveva riportare l’equilibrio nella Forza, diventato invece l’arma finale di Palpatine, il villain più iconico della storia del cinema. Ma lo è davvero? Forse è il caso di guardare questo personaggio con occhi nuovi, di abbracciarne l’essenza e la complessità, che lo hanno reso qualcosa di molto più di un semplice cattivo ma anche di molto diverso da un antieroe.
Parlare di Darth Vader non è assolutamente semplice, soprattutto perché la sua stessa natura, la sua storia, fu un cantiere in fieri fin da dopo il primo film, quando Lucas decise che Vader doveva avere un background più ampio e solido, una personalità molto più complessa e centrale nel prosieguo della saga. La sua colossale e portentosa figura, concepita da Ralph McQuarrie, creata materialmente da Brian Muir, fu portata all’apice del fascino grazie alla fantasia di Leigh Brackett, che aiutò moltissimo Lucas per la sceneggiatura di quel L’Impero Colpisce Ancora, che lo fece diventare il mito che tutti conosciamo. Anakin Skywalker, grazie alla trilogia prequel, ebbe un volto umano, un’origine, in grado di farci comprendere il concetto di dannazione e quanto questo differenzi un cattivo da un maledetto. Perché se il primo è tale e senza alcuna possibilità di scampo, fiero della suo abbracciare le tenebre in tutto e per tutto, del male che provoca negli altri, con il secondo la storia è diversa. Il maledetto sovente lo è per sfortuna, la malasorte si sarebbe detto un tempo, a causa di un qualche fattore esterno, ma non è detto che sia irrecuperabile, fa più tristezza che rabbia vederlo affondare in un male che cerca di condividere con il resto del mondo. In questo Vader ha molti punti in comune con ciò che sono stati la Creatura di Frankenstein, il Capitano Nemo o Bois Guilbert in “Ivanohe”. Fin dal primo episodio di quel 1977, egli atterrì per il carisma, l’incidere possente e guerresco, l’efficienza metodica e spietata, per quell’armatura nera. Sapeva instillare il più incredibile terrore reverenziale per i suoi straordinari poteri, per il suo essere in tutto e per tutto una nemesi molto diversa da quella a cui ci si era abituati fino a quel momento il grande schermo. Vader non è un vigliaccio, non è sleale, è un gigantesco uragano fatto di violente passioni che a malapena riesce a controllare. Spesso egli è stato descritto come una sorta di vuoto ardente, una voce graffiante e terribile che si muove sotto una maschera funebre, il cui corpo, la cui fisicità, racchiudono una miriade di significati, culture ed epoche storiche differenti dell’uomo.
Ovviamente il profondo legame di Star Wars con La Fortezza Nascosta di Kurosawa, non può non avere influenzato il design del personaggio. La stessa maschera in realtà ricorda quelle usate in battaglia dei Samurai, così come anche l’elmo, l’armatura, da certi punti di vista anche il suo stile di combattimento. Lo stesso dicasi per il credo che lo anima per quasi tutta la trilogia, dove agisce come fedele servitore di un’entità oscura, che è grosso modo una sorta di Shogun del Giappone medioevale. Allo stesso tempo ha molto del templare del guerriero animato da una fede incrollabile in ciò per cui lotta, della sicurezza per cui la sua spada laser rossa è il manifestarsi di un qualcosa di ultraterreno, di quel Lato Oscuro che lui vede come l’unica vera potenza, l’unico vero fattore in grado di cambiare le cose, di portare quell’ordine nella Galassia che già a suo tempo metteva al primo posto, mentre parlava con l’ignara Padmè.
Ma quell’elmo è però anche l’elmo della rinascita del Terzo Reich, dei cavalieri neri di Hitler, che come lui furono tanto straordinari sul campo di battaglia, quanto in fin dei conti legati ad un patto maledetto con un essere demoniaco, con il male stesso per definizione.
Inutile negare che la commissione tra tenebra e qualche spiraglio di luce, il suo essere un cattivo inesorabile, determinatissimo, coraggioso e intelligente, lo rendono unico agli occhi del pubblico da più di 40 anni, il simbolo stesso di tutto ciò che in fin dei conti troviamo di affascinante nel lato sbagliato della barricata della storia. La stessa trasformazione di Anakin in Darth Vader, rappresenta al meglio il concetto stesso di male nel mondo, perché edificato sulle migliori intenzioni, ma nel suo caso si unisce anche ad una rabbia incontrollabile, ad una sensazione di impotenza che abbraccia l’universo intero, dell’incapacità di avere un reale controllo sulla propria vita. Viene distrutto dalla paura di perdere Padmè? Si ma non solo. Non può non vedere come sempre meno efficace e troppo strangolata dalla burocrazia la sua Repubblica, come i Jedi siano ormai staccati dalla realtà, spesso dà l’impressione di sentirsi diverso dagli altri dell’Ordine. La morte della madre è il primo passo, il distacco da Ashoka un altro momento fondamentale.
Vader è il simbolo di un mancato equilibrio, del fallimento a controllare le nostre pulsioni, la negazione di un perfezionismo impossibile. Il suo stesso stile di combattimento, basato sulla famosa Forma V (Djem So altrimenti) ne rappresenta in modo perfetto la personalità: aggressiva, impaziente, possente ma portata anche con facilità allo squilibrio, al sopravvalutarsi, alla cecità riguardo alla verità in favore di una visione egocentrica. Proprio per questo forse, Darth Vader è il vero, grande, protagonista di Star Wars, molto più del suo vecchio amico e maestro Obi Wan Kenobi, più anche del figlio Luke.
Anakin diventa Vader, poi torna ad essere Anakin in punto di morte, riscattandosi. Egli è nascita, morte e resurrezione, peccato originale e redenzione. Nella sua vita, nella sua figura, rivivono elementi dei miti del mondo antico, così come quelli dell’Antico Testamento, della Fede che trionfa sulla logica, del sacrificio personale come espiazione e salvezza del mondo. Allo stesso tempo la sua essenza è quella di una figura legata al dolore in modo imperscrutabile. Anakin è cresciuto come schiavo, costretto ad arrangiarsi fin da piccolo, a separarsi da una madre che ritroverà solo per vederla morire. Condizionato da dover amare in segreto Padmè, dalla sensazione di impotenza verso la Guerra, viene ingannato da una figura in cui cerca un qualcosa del padre che non ha mai avuto, distrutto dal senso di colpa per il pensiero di avere ucciso l’amata e con lei la sua progenie. Eppure, nell’istante stesso in cui si rende conto di chi è Luke, qualcosa in lui cambia ed è il duello con il figlio nel secondo episodio della saga originale, forse il più iconico di tutti, a mostrarci non tanto quanto Luke sia talentuoso ma palesemente inferiore a lui, quanto la lacerazione interiore di Vader.
Vader che si rivela, che gli offre di governare assieme la Galassia, è il primo tassello di un’umanità che riaffiora, per quanto titubante e contraddittoria, ma che lo porta anche a mentire all’Imperatore che teme e riverisce. Poi verrà il sacrificio, il suo morire rinascendo, una contraddizione che è solo l’ultima nella vita di una figura sicuramente contorta, eppure allo stesso tempo coerente, che solo lì, nel finale, riesce infine a trovare la risposta alle sue domande, il senso della sua vita e di tutte le cose che aveva sempre inseguito: l’altruismo.