Se ricordate Lost, probabilmente rammentate anche gli affannosi tentativi di replicarne il successo da parte di molti network americani. La corsa al mystery fantascientifico tra la seconda metà degli anni Zero e i primi anni Dieci inanellò un fallimento dietro l’altro, con serie come Flashforward, The Event, Surface, Invasion e Alcatraz cancellate dopo una sola stagione (non sempre per demeriti creativi). Ebbene, il soggetto di Night Sky sembra un prodotto di quell’epoca, anche per la struttura corale e l’approccio slow burn della trama. La differenza è che siamo nel 2022, e Amazon Prime Video – come tutte le piattaforme streaming – predilige il formato della miniserie, pur non raccontando una storia autoconclusiva.
In effetti, si può intuire fin dal primo episodio che i piani del creatore Holden Miller siano decisamente a lungo termine, e quindi improntati alla serialità. Al centro della storia troviamo Franklin (J.K. Simmons) e Irene York (Sissy Spacek), coppia della provincia americana che vive un’esistenza apparentemente ordinaria. Dietro questa facciata, però, c’è un segreto: circa vent’anni prima, Franklin e Irene hanno scoperto una stanza sotterranea nel loro giardino che conduce a un altro pianeta. Si tratta di un mondo roccioso e deserto, ma che offre uno spettacolo mozzafiato dalla camera panoramica in cui la coppia ama ritirarsi per contemplare il paesaggio. Il loro vicino Byron (Adam Bartley) intuisce che nascondono qualcosa, e comincia a indagare. Il mistero s’infittisce quando un ragazzo di nome Jude (Chai Hansen) entra nelle loro vite, finendo per coinvolgere anche Stella (Julieta Zylberberg) e sua figlia Toni (Rocío Hernández), che vivono isolate tra le montagne in Argentina.
Illustrare i rapporti tra questi personaggi significherebbe rivelare troppo, e sarebbe dannoso per una serie mystery del genere. Il punto, però, è che l’espansione dell’intreccio si dimostra controproducente: Night Sky diluisce la trama in una narrazione corale che troppo spesso gira a vuoto, perdendo di vista il nucleo della questione. Per sostenere un arco di otto episodi (lunghi più di 50 minuti ciascuno), Miller e la sua writers room li costellano di momenti riempitivi che senza dubbio servono ad approfondire i personaggi, ma contemporaneamente ci allontanano dal fascino dell’intrigo, sacrificando così la tensione. A guadagnarne sono allora i protagonisti, quasi tutti ben caratterizzati, soprattutto perché dotati di un passato che ne delinea la personalità. Ma ce ne importa davvero qualcosa? È difficile prendere sul serio Night Sky quando cerca di essere un character study, poiché l’interesse si concentra altrove: ovvero, su quella stanza dove i personaggi non si recano quasi mai.
È assurdo ignorare il richiamo dell’ignoto, mascherandolo dietro ambizioni psicologiche e intimiste. Il problema della serie è proprio questo: nonostante un soggetto tanto carico di promesse, ciò che manca è il senso della meraviglia. L’intera stagione pare un lungo prologo (a tratti estenuante), che diviene coinvolgente solo nell’ultimo episodio, quando le strade dei protagonisti convergono nel medesimo punto. È lì che Night Sky recupera l’entusiasmo della scoperta, il potere della suspense, la seduzione dei finali sospesi. Ma ormai è troppo tardi.
Certo, le premesse per l’eventuale seconda stagione sono buone, soprattutto se lo show troverà un maggior equilibrio tra l’individuale (i personaggi con i loro turbamenti emotivi) e l’universale (il mistero con le sue implicazioni globali). Peccato solo che arrivare all’epilogo sia abbastanza faticoso. La regia, indubbiamente professionale ma un po’ anonima e soporifera, fa molto poco per vivacizzare il linguaggio visivo, nonostante possa contare su cineasti dalla comprovata esperienza come Juan José Campanella, autore de Il segreto dei suoi occhi. È però notevole il contributo degli attori, che reggono quasi tutto il peso della serie sulle loro spalle, e sono ben valorizzati dal frequente impiego di primi piani. Sissy Spacek e J.K. Simmons sono una coppia di gran classe (raro caso in cui il ruolo di protagonisti viene assegnato a due attori maturi), e soprattutto quest’ultimo offre un’interpretazione molto sfumata. Merita il plauso, però, anche Adam Bartley nelle vesti apparentemente stereotipate del vicino ficcanaso, ma che guadagna sfaccettature grazie alla sua performance.
La seconda stagione – ammesso che Amazon decida di ordinarla – farebbe bene a ripartire da queste solide basi.