Cinema Noi fan dell'horror Recensioni
Riportare al cinema Firestarter non significa solo riadattare L’incendiaria per le nuove generazioni, ma collocarlo in un contesto ben diverso rispetto al film di Mark L. Lester, uscito nel 1984. È un’operazione che torna alle radici dell’odierna industria culturale, o quantomeno di alcune sue tendenze: il romanzo di Stephen King contiene infatti varie intuizioni che sono state rielaborate in tempi recenti da film come Midnight Special o serie tv come Stranger Things, giusto per citare due esempi cristallini. Ovviamente King non ha creato nulla da zero (lui stesso ha rielaborato i modelli di Shirley Jackson, Richard Matheson e altri suoi numi tutelari), ma non c’è dubbio che il Re del Terrore eserciti un’influenza fortissima sulla cultura popolare dei nostri tempi.
I motivi sono rintracciabili soprattutto in quella particolare commistione di intimismo e raccapriccio che attraversa la sua opera, e che il regista Keith Thomas cerca di rispettare il più possibile. L’intreccio è il solito, pur con alcune variazioni: Andy (Zac Efron) e Vicky McGee (Sydney Lemmon) partecipano a un test governativo durante l’università, e ottengono incredibili poteri psichici – lui può imporre la sua volontà al prossimo, lei è telecineta – grazie a una droga sperimentale, il cosiddetto “Lotto 6”. Undici anni dopo, la coppia vive in clandestinità con la figlia Charlie (Ryan Keira Armstrong), dotata di pericolosissime capacità pirocinetiche. A dar loro la caccia c’è l’organizzazione responsabile dell’esperimento, la Bottega, che ovviamente non vede l’ora di studiare la bimba. Quando un sicario (Michael Greyeyes) uccide Vicky in casa loro, Andy è costretto a fuggire con Charlie, che sta ancora imparando a gestire le sue abilità.
Si parlava di un nuovo contesto storico per il ritorno di Firestarter, e infatti questo adattamento fa capolino proprio quando l’utopia dei superpoteri domina il nostro immaginario collettivo. «You could be a real life superhero» dice il Capitano Hollister (Gloria Reuben) a Charlie per convincerla a collaborare, ed è quello il momento in cui lo sceneggiatore Scott Teems riconosce che i tempi sono cambiati: le capacità sovrumane fanno subito pensare agli eroi dei fumetti, strumentalizzati dal potere per irretire i più giovani. Metafore a parte, la risposta esplosiva di Charlie simboleggia il rifiuto di giocare sul medesimo terreno dei cinecomic, la cui estetica viene accuratamente ignorata da Keith Thomas.
Piuttosto, il suo adattamento si rifà al New Horror degli anni Settanta, come dimostrano sia la fotografia caliginosa di Karim Hussain (un impasto nettamente démodé) sia l’ottima colonna sonora di John Carpenter, Cody Carpenter e Daniel Davies. Stesso discorso per gli effetti visivi, che evitano il più possibile la CGI in favore di soluzioni “pratiche”, fiamme reali e molti trucchi di montaggio. L’esito finale è onesto, ma non aggiunge moltissimo a quello che già conosciamo: le principali novità sono il maggior spazio riservato alla madre e i grossi cambiamenti nel terzo atto, chiaramente figli di una sensibilità diversa, più contemporanea. Ad aleggiare sul film è però uno spiccato disincanto, anch’esso molto lontano dallo spirito di Hollywood, e forse non è un caso che il tasso di scene gore sia più alto di quanto ci si potrebbe aspettare. Con la sua compattezza e il suo epilogo repentino, Firestarter rievoca il cinema del passato nel nostro presente, senza grandi scivoloni né straordinari picchi creativi.