Elvis, il nuovo film di Baz Luhrmann dedicato al leggendario Re del Rock, uscirà in Italia il 22 giugno, ma è stato presentato nei giorni scorsi al Festival di Cannes. La stampa estera si è divisa tra chi ha amato il film e chi invece l’ha trovato l’ennesimo biopic. Quasi tutti, però, sono d’accordo su una cosa: Austin Butler nei panni di Elvis Presley è una rivelazione.
Phil de Semlyen di TimeOut descrive il film come il migliore di Luhrmann da vent’anni a questa parte. Un inno al Re “larger-than-life, energizzante ed estremamente divertente”, che “non tenta mai di fare troppo” e immerge lo spettatore “in una origin story musicale che paga giusto pegno alle radici afro-americane delle sue canzoni”. Butler è descritto come “francamente sbalorditivo”: “Quando Butler scuote i fianchi nel primo concerto di Presley” è come “guardare nascere due stelle”. Il punto debole del film è sorprendentemente Tom Hanks, nei panni del manager di Elvis, il Colonnello Tom Partker, che l’attore interpreta come “un personaggio da cartoon”.
Justin Chang del Los Angeles Times è d’accordo sull’interpretazione di Hanks, “gigionesco, irritante e sregolato”. Ma, per quanto il film si accontenti di raccontare la storia “convenzionale” dell’ascesa e caduta di un artista, le scene in cui Elvis/Butler si esibisce “scoppiano di tensione elettrica”. “Lamentarsi che Elvis è in pratica una compilation di convenzioni dei biopic musicali è un po’ come lamentarsi di un album greatest hits”. La forza di Luhrmann è “la sua abilità di pervadere i cliché di sincerità, energia e feeling”.
Per Steve Pond di The Wrap, Elvis si situa a metà strada tra “Bohemian Rhapsody, che pretendeva di raccontare la vera storia di Freddie Mercury ma non lo faceva, e Rocketman, che ammetteva sin dall’inizio di voler trasformare la storia di Elton John in una fantasia. Si ha l’impressione che Luhrmann avrebbe voluto prendere fino in fondo la direzione della fantasia, ma forse Elvis era troppo importante, troppo famigliare e troppo sacro per permetterglielo”.
Secondo Andy Lea del Mirror, Austin Butler “Azzecca le mosse, i vezzi, la voce profonda e in qualche modo anche il carisma dell’icona”, in una performance che lo renderà una star. Il problema è la scelta di raccontare la storia attraverso il punto di vista di Tom Parker: ciò non permette di “entrare sotto la pelle dell’icona”. Ma, per il resto, il film è “il testamento di un pioniere della musica” e farà “tenere il tempo con i piedi e venire i brividi lungo la schiena” agli spettatori.
“Il biopic tradizionale ma estremamente divertente diretto da Baz Luhrmann ha spavalderia da vendere”, scrive Jordan Farley di Total Film, “e una performance centrale di Austin Butler che lo renderà una star”. Anche Farley definisce Elvis una via di mezzo tra Bohemian Rhapsody e Rocketman, “una via di mezzo inoffensiva e rassicurante” che “si accontenta di presentare e preservare il mito di Elvis”.
Decisamente più negativa la recensione di Peter Bradshaw di The Guardian, che definisce Elvis un film “Privo di curiosità eppure frenetico”, che somiglia più a un “trailer di 159 minuti per un film intitolato Elvis“: “un montaggio senza sosta, frenetico e pacchiano, epico eppure trascurabile allo stesso tempo”, con un protagonista che “incespica nelle sue blue suede shoes“.
Per Richard Lawson di Vanity Fair, Austin Butler regala una grande performance, sprecata però da Luhrmann in un film “rumoroso e costantemente in movimento”, che “strattona e sobbalza” in ogni direzione, “in cerca di uno scopo ma senza trovarlo. “Elvis presenta lo spettacolo, ma ha ben poco da dire quando le luci si spengono e resta l’uomo”.