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Doctor Strange nel multiverso della follia, la recensione SENZA spoiler: Sam Raimi unleashed

Pubblicato il 04 maggio 2022 di DocManhattan

Io me lo immagino. Giuro, me lo immagino Samuel Marshall Raimi, detto Sam, che si aggira compiaciuto sui set e in mezzo ai greenscreen di Doctor Strange nel multiverso della follia, con alle calcagna uno stuolo di produttori esecutivi lì a ricordargli che sta girando un film dell’MCU. Che ogni dieci minuti ci va una gag, perché è quel che vuole Kevin Feige, che certi jumpscare in un film del grande universo condiviso Marvel, e cioè per famiglie, non ce li puoi mettere. Me lo immagino. Nel senso che mi immagino l’esatto momento in cui il regista del Michigan sorride, rassicurante, e poi fa esattamente quello che vuole.

TENEBRE ARMATE

Benvenuti: questa è una recensione SENZA SPOILER del secondo film del Dr. Strange, e quello di cui parliamo oggi è un angolino – mica tanto – dell’MCU che Sam Raimi, il regista de La Casa, de L’armata delle tenebre e di Darkman, prima che dei tre Spider-Man degli anni Duemila, ha plasmato a gusto proprio.

C’è questa cosa che ormai dai film dell’MCU ci aspettiamo sempre ed esattamente il medesimo tipo di impostazione e contenuto. Come mangiare nello stesso locale e ordinare pizze buone, ma dal sapore sempre molto simile. E se lo guardi in filigrana, anche Doctor Strange nel multiverso della follia sposa quel tipo di struttura. E non potrebbe essere altrimenti: un episodio di una serie TV, anche il più strano – appunto – non può allontanarsi eccessivamente dal resto della serie. E l’MCU è un gigantesco show le cui puntate costano duecento milioni di dollari.

E allora c’è un certo tipo di percorso del protagonista, c’è un cattivo, ci sono i comprimari, ci sono le sorprese, e sì, ci sono le battute. Ché senza non si può proprio fare. Il punto, però, è tutto il resto. Al di là di quello che succede sullo schermo, di questo secondo film del Dr. Strange è interessante proprio il come succede.

DRAG ME TO HELL, DISSE L’MCU

Sam Raimi era lontano dalla regia da nove anni (Il grande e potente Oz) e non frequentava il circo dei super-eroi dal suo Spider-Man più svantaggiato, il terzo: fanno quindici anni fa. Tornato a giocare con i metaumani, Raimi si è chiaramente divertito come uno che torna sul campo di calcetto dopo una vita di dolori alla schiena, e nel farlo ha deciso di arredare il tutto a modo proprio. Non solo arredando la prima mezz’ora con tutta una serie di strizzate d’occhio ai suoi Spider-Man, ma andando a pescare a piene mani da tutto il suo curriculum.

Doctor Strange nel multiverso della follia non è un film dell’MCU che ha qualche elemento tipico del cinema di Raimi: è un film al 350% di Sam Raimi, che incidentalmente ha a che fare con quella roba del multiverso e con alcuni personaggi dell’MCU. È nominalmente il seguito del primo film di Strange, ma per quanto diversi elementi della trama si ricolleghino com’è ovvio al film diretto nel 2016 da Scott Derrickson, sono due pellicole completamente diverse. Il giorno e la notte. E questa è una notte piena di mostri.

Non si fosse capito, no, nell’MCU non si è mai visto niente di così nero.

THE DARK OF THE MATINÉE

Nella proiezione mattutina di oggi c’erano tanti bambini, accompagnati da genitori che non sapevano, o se sapevano sottovalutavano. E buoni incubi a tutti. Ecco, se lo chiedete a me, questa seconda sgambata personale del dottor Stephen Strange è a mani basse il film MCU meno adatto a dei bambini. Raimi l’ha fatto davvero: è riuscito a imbottire un film Marvel di citazioni horror, in gran parte dei casi esuberanti autocitazioni della sua saga di Evil Dead. Visive quanto narrative. E se un adulto su quei jumpscare e quei momenti, diciamo così, tetri sorride, a un bambino abituato alle gag degli eroi possono fare tutto un altro effetto.

Anche perché, per lunghi tratti, Raimi le gag neanche le utilizza. Non è quello che gli interessa, e allora se ne vadano al diavolo i produttori esecutivi che gli immaginiamo alle calcagna: è andato a briglie sciolte, per la sua strada, Raimi. Laddove Derrickson se l’era giocata sulla psichedelia, dando un tocco visivamente peculiare alle magie di Strange, qui c’è in ballo la stregoneria, la magia nera, il marcio più marcio, in tutti i sensi, del multiverso. Niente fricchettonate lisergiche, c’è da far assaggiare allo spettatore un po’ di tenebre, morte, oscurità.

Abbiamo detto per anni e anni che aspettavamo qualcosa di diverso nell’MCU, e soprattutto qualcosa che mostrasse davvero il tocco del suo regista, e beh, eccolo.

IL CULTO PRIMA DEL RAGNO

Poi, chiaro: a molti spettatori più giovani, o semplicemente spettatori a digiuno dei classici dell’horror, che quindi quei film di Raimi non li conoscono, il tutto potrà sembrare semplicemente una digressione più oscura dal sentiero. Una digressione che non cambia il percorso, in termini di tono, dell’universo cinematico Marvel, una parentesi bizzarra prima del ritorno del Thor buontempone di Waititi. Ma chi, come scrive, vive il culto di Raimi da ben prima che si occupasse di un nerd morso da un ragno radioattivo, sa. E sorride. E pensa che una roba del genere, parola, non credeva l’avrebbe mai vista nel parco giochi di Kevin Feige.

Sperando, appunto, che non sia un caso isolato. Facciamo le corna. No, non tu, Strange.