Cinema

Conan il Barbaro e i quarant’anni del segreto dell’Acciaio

Pubblicato il 14 maggio 2022 di Giulio Zoppello

Chissà se senza John Milius il fantasy sarebbe diventato il grande protagonista della narrazione cinematografica che è oggi, quando nel 1982 lancio nel firmamento cinematografico Arnold Schwarzenegger, ma soprattutto si pose come modello di riferimento ancora oggi insuperato nel parlarci del concetto di eroe e del significato di impugnare una spada. Conan il Barbaro senza ombra di dubbio rimane uno dei film più epici di tutti i tempi, una fusione di sangue, muscoli, emozioni semplicemente straordinaria, in grado di porsi non come racconto mitico ma soprattutto come racconto del mito, omaggio alla narrativa che fin dall’alba dei tempi ha cercato di spiegarci come dovremmo essere, perché abbiamo bisogno di eroi.


Il segreto dell’Acciaio



A guardare bene, Conan il Barbaro ha influenzato una quantità semplicemente straordinaria di film che si sono concentrati negli ultimi decenni nel parlarci del rapporto che miti, leggende e narrazioni hanno con la spada e con ciò che essa significa, della responsabilità che essa ci suggerisce risieda nel potere di sapere come togliere una vita. 
La spada rimane ancora oggi qualcosa di unico nella storia dell’umanità. Di base perché serve solo ed esclusivamente ad uccidere i propri simili. L’arco, la lancia, la balestra, possono essere utilizzate per la caccia o per difendersi dalle fiere, persino per sport; l’ascia, la mazza o i martelli, volendo per lavori domestici, anzi quasi sempre erano deputati a tale universo.


Ma la via dell’acciaio è diversa, essa ha separato gli uomini comuni da coloro i quali comandavano, nel bene nel male dai portatori di una forza e di un’autorità uniche nel loro genere, perché saper usare una spada, padroneggiare il segreto dell’acciaio, era qualcosa che richiedeva tutta una vita e forse anche di più. 
John Milius attorno alla spada seppe costruire un percorso di crescita e formazione personale, lungo il quale Conan avrebbe Imparato molte cose sul mondo, ma soprattutto su sé stesso, affrontando già da bambino una tragedia immane, conoscendo schiavitù e violenza, e quanto la spada potesse essere strumento di oppressione ma anche di liberazione. Dipendeva da chi la usava.


La spada, o meglio il segreto dietro di essa che Thulsa Doom cerca, uccide il padre e la madre, lo fa diventare una sorta di animale da soma, eppure sempre la spada gli garantisce fama e opportunità, infine la libertà, lo guida verso una riconquista del proprio destino e di vendetta. 
Non esistono quindi spade malvagie, ci spiega Milius, esistono uomini malvagi che la padroneggiano, come del resto gli ricorda il Thulsa Doom, il suo grande nemico, ma da certi punti di vista anche il suo grande maestro. Egli è colui il quale bene o male lo renderà portatore di una forza colossale, gli darà uno scopo nella vita, ma soprattutto gli spiegherà la realtà sul mondo, la realtà persino su stesso che egli a lungo non è stato capace di vedere.


Le tre conquiste dell’arte della spada

L’acciaio che Conan venera, è lo stesso in virtù del quale Thulsa Doom ha insanguinato il mondo in gioventù, ivi compresa la famiglia di Conan. Ma Doom capisce col tempo che non è la spada fare la differenza tra chi vince e chi perde, ma è l’abilità di chi la impugna il fattore chiave, è l’uomo il grande protagonista non la materia. Il che nelle mani di Milius diventa soprattutto una metafora sul concetto di conoscenza di noi stessi.


Per capirlo veramente, per riconoscere la straordinaria verità contenuta in questo film, nella supremazia della carne sull’acciaio, abbiamo dovuto aspettare un altro regista geniale, un’altra storia di spade e vendetta: Hero di Zhang Yimou, nella Cina dei 7 regni, con Senza-Nome che si chiede se uccidere o meno il Re di Qin, il nemico del suo popolo. 
“La prima conquista dell’arte della spada è l’unità tra uomo e spada. Quando la spada è nell’uomo e l’uomo è nella spada, anche un filo d’erba è un’arma affilata. La seconda conquista è che la spada è assente nella sua mano, ma è presente nel suo cuore. Anche a mani nude egli può abbattere il proprio nemico a cento passi. La conquista finale dell’arte della spada è l’assenza della spada nella mano e nel cuore. La mente aperta contiene tutto. L’uomo di spada è in pace col mondo. Egli non uccide, e porta la pace all’umanità” dice il Re di Qin, comprendendo infine la verità contenuta nell’elsa di una lama, ciò che padroneggia chi l’Acciaio lo riesce a comprendere veramente.


Ci si prepara tutta la vita semplicemente per abbandonarlo, per capire che non è quella la strada da percorrere o meglio che è la strada da percorrere per un certo tratto, quello che serve per poterne fare a meno e abbracciare il cambiamento. Conan per buona parte della sua esistenza insaguinata, insegue l’unità tra uomo e spada, la venera come venera quel Crom di cui non sa molto, apprende dai più grandi maestri come farne un prolungamento del suo corpo, diventando un guerriero a dir poco eccezionale. 
Solo alla fine, poco prima di consumare la sua vendetta, si renderà conto che ciò che contava era che essa fosse nel suo cuore, che la carne è più forte dell’acciaio, come diceva il suo grande nemico. E la terza conquista? Difficile che nel suo mondo, Conan possa veramente fare a meno dell’acciaio, ma per fortuna non sono mancati esempi per farcene comprendere la grandezza idealistica.

Il concetto di eroe e di libertà

A livello narrativo, forse il migliore è quello di Vinland Saga, manga diventato grazie a Wit Studio un anime capolavoro dal punto di vista visivo e narrativo. Thors, il padre del protagonista Thorfinn, non vuole più impugnare la spada, a cui ha dedicato tutta la sua esistenza persa tra battaglie, nemici uccisi e amici visti cadere al suo fianco. Egli infine ha fatto sua la terza conquista, ha posato la spada e vive in pace con il mondo, e cerca di farne capire l’importanza alla sua famiglia, al figlio che riuscirà solo ad avvicinarsi alla prima conquista. 
Ma rimane un uomo letale, e quando gli si presenta la necessità di combattere, dimostra che le sue mani, come quelle di Conan, come quelle di qualsiasi guerriero dall’alba dei tempi, sanno ancora uccidere.


In Jarhead, autobiografia dell’ex cecchino dei marines Anthony Swofford diventata uno dei migliori film di Sam Mendes, questo concetto viene esplicitato in modo perfetto: “Un uomo spara con un fucile per molti anni e va in guerra. In seguito, restituisce il fucile all’armeria e pensa che non dovrà mai più usarlo. Ma qualsiasi cosa quell’uomo farà con le mani, amare una donna, costruire una casa, cambiare il pannolino di suo figlio, le sue mani ricorderanno quel fucile”. 
Conan il Barbaro racchiuse tutta questa verità in quel racconto wagneriano, nel percorso di un eroe attraversato da ogni emozione umana, mentre si faceva largo più che attraverso i nemici, attraverso la sua vita, la conquista di un’identità e di un posto nel mondo che andasse oltre la vendetta verso l’oscuro Thulsa Doom. Per questo dopo 40 anni il film di John Milius è e rimane insuperato, anche al di fuori del panorama fantasy, nel parlarci del concetto di eroe, ma soprattutto di come questi da sempre rappresenti una metafora di come vivere la propria vita, di come non rimanere prigionieri del nostro passato. 
Il che naturalmente non può cancellare il fatto che ogni volta che vediamo il cimmero pregare il suo Dio prima della sua ultima battaglia, in noi scatti qualcosa di profondo, che non vi è tecnologia o storytelling pacifista che possa cancellare: il richiamo dell’Acciaio e di ciò che esso ha rappresentato per millenni.