Wolf Like Me: attenti al lupo ma anche no, la recensione

Wolf Like Me: attenti al lupo ma anche no, la recensione

Di Giulio Zoppello

Si fa presto a dire “al lupo al lupo!”, ma se invece poi il lupo non fosse poi quello che noi crediamo? Se poi si trattasse anche di quello mannaro, che tanto è stato esaltato dalla cinematografia, letteratura, i fumetti nel corso del tempo, come sarebbe possibile darne un’immagine diversa da quella solita? 
Wolf Like Me, miniserie scritta e diretta da Abe Forsythe per Peacock (in Italia disponibile su Prime Video) è la risposta a queste domande. Non stiamo certamente parlando di un capolavoro, ma di un prodotto genuino, creativo e originale sì, qualcosa che sicuramente riesce ad emergere da un mercato streaming e home video sostanzialmente saturato. Lo fa con idee, interpretazioni e significati. E quindi guardatevelo e basta.



Una Lupa Mannara poco sui generis



La trama è ambientata niente meno che in Australia, non esattamente una patria dell’horror gotico o simili, quanto piuttosto legata di solito al genere adventure o neo-western, ed è qui che facciamo la conoscenza di Gary (Josh Gad) e della figlia adolescente Emma (Ariel Donoghue). 
Ad Adelaide, una delle città più incantevoli del continente australe, dove i due cercano di ricominciare, in particolare Gary, al quale la perdita della moglie ha inferto un duro colpo al morale, costretto a prendersi responsabilità sicuramente più gravose di quelle di un padre qualsiasi.


Tuttavia a rivoluzionare la vita di entrambi arriva l’incontro fortuito con Mary (Isla Fisher). Dopo le prime, funamboliche, disastrose ed incidentate rispettive conoscenze, appare chiaro che quella ragazza strana ma propositiva, curiosa, è attratta da questo omaccione goffo, malinconico, un po’ troppo bonaccione. Ma per Gary lei potrebbe essere la giusta anima gemella, e anche una giusta madre per la giovane e complicata Emma. C’è solo un problema: Mary è un licantropo. 
Regolarmente ogni volta che cala l’oscurità è costretta a tornare a casa in fretta e furia, dove ad attenderla ci sono interi eserciti di polli e ovini, chiamati a sostituirsi agli inermi umani che rischierebbero di finire sbranati dalla Mary in pelliccia e zanne se uscisse in giro. 
In breve la relazione tra i tre subirà delle burrascose evoluzioni, in cui però si farà comunque spazio la certezza che nulla è perduto, che volersi bene costa fatica ma vale la pena, che non serve essere per forza uguali in tutto per funzionare. O quasi.

Wolf Like Me risulta senza ombra di dubbio una serie che ha al suo centro le relazioni ed i sentimenti, sia quelli più positivi come anche l’elaborazione di quelli più negativi, quali perdita, lutto e la capacità di ricominciare da zero. Li affronta con leggerezza ma senza superficialità, lo fa in virtù di una sceneggiatura curata da Abe Forsythe tutt’altro che prevedibile o scontata.

Wolf Like Me

Tra notti di luna piena e incomprensioni



Wolf Like Me sicuramente si segnala come una serie televisiva, anzi miniserie, di difficile collocazione a livello di genere, visto che è un mix tra commedia romantica, horror e mistery. 
A dominare in modo perfetto le puntate da 25 minuti l’una, è proprio il confronto tra i due protagonisti, tra un Josh Gad perfetto nella parte dell’uomo insicuro, addolorato e incapace di liberare la propria anima al futuro, di lasciarsi alle spalle un passato importante ma troppo doloroso, e lei, Isla Fisher.


La sua Mary è un personaggio sicuramente fuori dagli schemi, intanto per la sua natura di donna vegetariana convinta, costretta però fare i conti con tale scelta nel momento in cui l’altra sua personalità feroce e selvaggia chiede comunque un tributo di sangue. 
Gli animali  vengono scelti tra quelli già destinati ad essere macellati dai crudeli umani, ma di certo è interessante come la serie comunque proponga un’analisi morale di questo stile di vita, sempre più diffuso e da molti indicato come inevitabile per salvaguardare l’ambiente, oltre che altruista verso gli animali.


Ma lei stessa diventa un animale, anzi il predatore per eccellenza, persa in quella provincia australiana che strizza l’occhio all’America della televisione che fu, quella di Buffy, Desperate Housewives e co. Onestamente può lasciare effettivamente un po’ perplessi il fatto che l’Australia, un continente in cui la presenza di animali feroci o letali è così alta da essere diventata leggendaria, non veda la componente naturale utilizzata in modo massiccio, ma in fin dei conti è perfettamente coerente con la volontà di cucire un racconto intimista.


Wolf Like Me in realtà parla di conoscersi, di andare oltre le apparenze, di accettare l’altro per quello che è, ma soprattutto di accettarsi, con i propri pregi e difetti, con una vita che non è perfetta ma che può sicuramente migliorare, portando anche il tema del destino contrapposto a quello del libero arbitrio.

Una metafora forse troppo dimessa



Se si vuole trovare un vero difetto a questa miniserie, diretta con grazia e con una grande chimica tra tutti e tre i principali protagonisti, e forse nel ritmo, un po’ troppo lento, un po’ troppo autocompiaciuto. 
Tuttavia è un difetto minore che le si perdona facilmente, non fosse altro per come riesce a creare una variazione sul tema “licantropoesco” senza per forza scimmiottare i capisaldi del genere a stelle e strisce, e senza per forza abbracciare la parodia più vuota e volgare. 
Si ride in Wolf Like Me ma con gusto, senza esagerare, in certi momenti forse quasi con esitazione. Che poi è la stessa di Gary, a cui Josh Gad riesce a donare fragilità e umanità, senza però renderlo uno dei tanti perdenti condannati alla vittoria da cui è ammorbata la serialità televisiva dei nostri giorni.


Curioso come poi oltre a parlare in modo onesto di paternità ma anche di maternità da conquistare, Wolf Like Me si faccia anche specchio della società moderna, di come il rapporto tra i sessi si è quasi rovesciato.


Domina il tema della crisi del maschio moderno ma anche delle difficoltà della donna dei nostri giorni. 
Gary è quello che spesso può essere definito oggi in modo poco positivo un “mammo”, cerca di ripartire ma anche una persona con cui farlo per quanto in modo ossessivo. Mary invece è una donna di oggi, sicura di sé, indipendente, anche idealista, ma che non sa come comportarsi di fronte alla prospettiva di un legame sentimentale che la costringa ad uscire dalla sua doppia vita. 
Soprattutto nasconde un’aggressività e una ferocia che deve in qualche modo nascondere al mondo esterno ma anche sfogare quando inevitabile. 
Tutto questo arriva un po’ di sottecchi, forse senza quel colpo risolutore che avrebbe significato fare il decisivo salto di qualità, per un prodotto che comunque rimane gradevole. Vi è un qualcosa di quei B movie che ad oggi sono uno dei pochi rifugi di originalità e creatività, in un’industria cinematografica e televisiva sempre più votata all’eterna ripetizione. E bene o male Wolf Like Me di quest’ultima categoria non fa parte.

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