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Riguardando la Justice League di Snyder su Netflix

Pubblicato il 21 aprile 2022 di Giulio Zoppello

Arriva su Netflix la Justice League di Zack snyder, il progetto a cui ha dedicato assieme ai suoi fan gran parte degli sforzi per convincere la Warner a sborsare qualcosa come 40 milioni di dollari, per poter riprendere il discorso da dove L’aveva lasciato, quando era stato costretto dai drammi personali a lasciare il timone al contestatissimo Joss Whedon. 
Il successo dell’operazione su HBO MAX fu totale, basti pensare agli Oscar Fan Favorite che Snyder si è aggiudicato, alla faccia dello Spider-Man di quartiere per cui tutto questo era stato creato, sottovalutando il suo fandom, pensando che incassi e fedeltà del pubblico sui social fossero la stessa cosa. Ora però è arrivato anche forse il momento di interrogarsi su questa Justice League, sul suo cinema supereroistico e se abbia o meno un futuro.

Un regista divisivo e riconoscibile

La prima cosa di cui bisogna prendere atto, è il fatto che Zack Snyder senza ombra di dubbio sia un regista simbolo della generazione millennial, di quando il cinema ha cominciato a parlare di fumetti. 
A conti fatti è sembrato per molto tempo un nerd che forte di budget faraonici, omaggiava i maestri dei comics con uno stile molto particolare, vivido, sovente cupo, che raggiunse l’apice del successo soprattutto con 300 di Frank Miller, per quanto svuotato di alcune delle tematiche più importanti e reso secondo molti un inerte contenuto testosteronico.


Più alto invece l’esito di Watchmen, forse l’apice del vecchio mondo dei cinecomic, dominato dal suo stile registico fatto di slow motion, speed ramping e l’amore per i colori primari, per un tono in generale oscuro da dare alle sue opere, in netto contrasto con ciò che dal 2008 in poi il cinema ha offerto al pubblico generalista tramite i film della Marvel.


Forse il punto fondamentale per comprendere quanto Zack Snyder sia quanto di più lontano da un cineasta universale è proprio nella sua cifra stilistica, che si fa portatrice di una visione semantica unica, riconoscibile, nel bene nel male. 
Perché la realtà è che Zack Snyder è come Michael Bay o John Woo o Tim Burton, è un regista che ha uno stile proprio, una personalità, una certa visione del racconto e delle immagini che lo devono popolare. 
Man of Steel anche per questo è forse il suo film più amato dai fan e quello che i suoi detrattori utilizzano dalla mattina alla sera per descriverne deficienze e mancanza di prospettiva. Il suo Superman è ben distante dall’essere un simbolo di ottimismo, il Gesù Cristo con mantello rosso e i superpoteri arrivato per mostrarci la perfezione. Per Snyder fu un individuo dilaniato, senza un’identità sicura, si muoveva in un mondo ostile e in cui non sapeva né chi era né quale fosse il suo posto. 
Azzardato? Forse ma anche necessario, coerente con un mondo dilaniato dal terrorismo e crisi economica, crisi di valori in generale, distante dall’ottimismo anni ’90 che fa finta di voler inseguire.

Tra avventatezza e confusione

Zack Snyder a conti fatti dimostrò sicuramente un coraggio non da nulla ma anche avventatezza nel toccare una vera e propria divinità dell’immaginario collettivo, e come tutte le divinità Kal-El per il grande pubblico doveva bene o male rimanere un simbolo di speranza, non di sofferenza. 
Eppure, a conti fatti, forse il suo vero problema risiede nel fatto di essere arrivato in un momento in cui la Marvel ormai era lanciata verso un successo incredibile, portando leggerezza, ironia, desacralizzazione della figura del supereroe in un multiverso che anche dal punto di vista produttivo di economico, era qualcosa con cui Snyder non poteva competere. Nessuno poteva. 
La sua Justice League nacque di base già come tentativo di compensazione per gli squilibri di Batman v Superman, di un film che per quanto affascinante dal punto di vista visivo, denunciò anche in modo palese le sue carenze in fase di scrittura, in particolare per il suo over writing, il condensare in tutto e per tutto troppi elementi, anche a costo di cozzare con la sospensione dell’incredulità e l’armonia interna.


Ma la realtà è che fu l’idea alla base della Warner ad essere totalmente sbagliata, Il pensare che si potesse fare un film collettivo sui supereroi, cogliere un successo convincente, senza aver approfondito i singoli personaggi come aveva fatto il MCU. 
Fu una sorta di motore cinematografico truccato, un’imitazione frettolosa da mercatino cinese che non aveva comunque speranza di successo, senza un background narrativo più ampio. 
Il fatto che per i tragici e noti motivi Snyder sia stato costretto a lasciare, di base gli ha fornito anche un alibi, inutile negarlo, perché quel film sarebbe stato comunque un fallimento, come lo fu Suicide Squad, che cercò di rinnegare il suo tono cupo sposando una sorta di dimensione da cinepanettone onestamente non potabile e non riuscita. Tuttavia bisogna dare atto che Snyder e le sue idee furono comunque distrutte dalla Warner, da dirigenti preoccupati solo di prendere i premi di produttività facendolo uscire in fretta, che permisero a Whedon di fare ciò che ha sempre saputo fare meglio: rendere la vita al suo cast impossibile. 



Il fantasma del cinecomic passato

Ma quindi com’è questa nuova Justice League? Solo apparentemente è una Director’s Cut, di base grazie a 40 milioni di dollari è un film anche molto diverso da quello che lui stesso aveva in mente di fare a suo tempo, con aggiunte e modifiche. 
Tuttavia riguardarla oggi su Netflix, non toglie comunque nulla ad una coerenza di fondo verso la sua visione dei supereroi che permane, con tutte le caratteristiche del caso. 
Narrativamente è intrigante, ma bene o male condizionato da una dimensione visiva desueta, lenta. Ormai il cinecomic insegue la velocità videoludica. Non che bisogna per forza sposare l’estremismo caotico e sperimentale di Michael Bay, ma pensare che ancora oggi lo slow motion, il rallenty opprimente abbiano uno spazio, è stato da parte di Snyder un eccesso di sicurezza.


Eppure il film in realtà funziona per quanto estenuante. Assomiglia in tutto e per tutto a quei film d’animazione che in questi anni hanno regalato le cose migliori ai fan con il DC Animated Movie Universe, un gioiello dark, complesso e innovativo.


Permane la sensazione che tutto porti a una versione upgrade di cosa era un cinecomic dei primi anni 2000, quando Kevin Feige non aveva ancora creato un nuovo punto di riferimento, qualcosa che in fin dei conti a Snyder e ai suoi fan non importa, lui fa un discorso a parte, lui è un Blockbuster Creator generazionale fiero di esserlo. Non si può negare che alcune sequenze siano incredibili, che Darkseid faccia sembrare Thanos uno dei servizi sociali, che soprattutto arrivi all’apice la sublimazione della visione degli Eroi per Snyder, da sempre profondamente connessa a quella del mito greco. 
Tragedia, lutti, prove da superare per quelli che sono a conti fatti dei titani, dei superuomini votati a superare delle fatiche tragiche. Il suo Batman, la sua Wonder Woman o Flash, non hanno nulla in comune con i portatori di mantello della Marvel, quelli che fanno le battutine o trovi nei fast food a mangiare. 
E questo è sicuramente un elemento di merito, un cercare di evitare il livellamento verso il basso e la monotonia. Unico problema: intanto sono arrivati Joker e il nuovo Batman, l’autorialità accessibile. Diffiicle che Snyder torni a ruggire come un tempo, ma in fondo forse lo sa anche lui.