Il rapporto tra il cinema e la musica heavy metal è sempre stato molto strano, come anche quello tra il metal e la scena musicale mainstream. Certo, alcune band metal riempiono gli stadi e scalano le classifiche, ma il misto di vestiario denim and leather, satanismo reale o immaginario e culto del tecnicismo connaturato alla musica metal la rende, agli occhi dei non iniziati, quasi una setta, un qualcosa di folkloristico da deridere e, allo stesso tempo, tenere lontano dai quartieri residenziali.
Il cinema ha sempre calcato la mano su questi aspetti controversi e peculiari, il più delle volte scherzandoci su e deformandoli fino alla parodia, a volte con affetto (This Is Spinal Tap), ma più spesso con l’aria di superiorità tipica dei “normali”. L’esempio forse più emblematico del trattamento della musical metal nel cinema mainstream americano è Rock Star, commedia con Mark Wahlberg uscita nel 2001 in cui, già dal titolo, era evidente il tentativo di “normalizzazione” del metal. Nel film, ispirato alla vera storia del secondo cantante dei Judas Priest, l’arco narrativo di Izzy, il personaggio di Wahlberg, tradiva questa agenda: nel finale, dopo aver lasciato la band, Izzy trovava se stesso tagliandosi i capelli e suonando in un duo di rock alternativo acustico nei locali. Una visione del metal come nemico dell’autenticità e dell’arte profondamente borghese e banale.
In tempi più recenti, le cose sono migliorate: principalmente grazie a un film come Deathgasm, che restituiva la gioia di suonare un assolo incendiario alzando le corna al cielo – e dunque l’aspetto più positivo e catartico che fa avvicinare tanta gente al metal. Sound of Metal ha addirittura portato quella tanto temuta parolina nel titolo di un film indie “d’autore”. Il metal è stato sdoganato, anche se spesso c’è ancora tanta superficialità e confusione nelle scelte e nei riferimenti musicali: tra i poster delle camerette dei metallari del cinema campeggiano onnipresenti i Black Sabbath (perché li conosce anche tua nonna) e una pletora di nomi abbinati a casaccio. A cosa serve fare ricerca? Tanto questi sono degli zoticoni che ascolterebbero la qualunque, a patto che le chitarre urlino.
Tutto questo cambia con Metal Lords, scritto dal co-creatore di Game of Thrones D.B. Weiss che, evidentemente, e a posteriori non poteva che essere così, è uno che il metal lo mastica per davvero. La cartina di tornasole è l’inevitabile name-dropping di ordinanza che ogni film sul metal deve avere: in questo caso è fatto bene, è tutto giusto, sciorina nomi che solo i veri defenders conoscono (Slayer, Opeth, Emperor). Il film trasuda amore, amore vero, per il metal, tutti i suoi vezzi, le sue assurdità e i controsensi (c’è tutta una tirata sui sottotesti gay del metal che è una vera gioia). Ma, anziché usare questi elementi per farsi beffe del genere e della sua pomposità, utilizza il metal come metafora positiva di crescita personale e scoperta di sé.
Metal Lords è, a guardarne la struttura, l’ennesima commedia coming-of-age musicale su un gruppo di teenager impopolari e sfigati che si incontrano, fanno amicizia e, costituendo una band, trovano la rivalsa sociale che stavano cercando. È tutto già visto (anche di recente, pensiamo a Sing Street, ad esempio), ma sostituendo il metal con generi più accettati, e ribaltando il punto di vista per trasformare una musica maledetta in un credo da rispettare e persino ammirare, Weiss e il regista Peter Sollett (Freeheld, Nick & Norah) infondono una certa originalità alla formula.
Metal Lords è l’anti Rock Star: laddove la parabola di Izzy lo portava a scoprire se stesso una volta lasciatosi alle spalle quella musica brutta e ignorante, qui il protagonista Kevin (Jaeden Martell di It) ha una crisi di identità che, però, si risolve con l’accettazione della sua natura di metallaro. A un certo punto, un cameo clamoroso si fa portavoce del messaggio del film, ed è un messaggio di altruismo, empatia e umanità. Senza dimenticare di alzare l’amplificatore a 11.
Certo, Metal Lords non è un capolavoro, e ha tutti i problemi dei film sui teenager di oggi scritti da cinquantenni, in primis il fatto che i riferimenti culturali sono spesso improbabili (Kevin cita Speed, siamo sicuri che un sedicenne lo farebbe?). Viene anche da chiedersi se, al di fuori degli appassionati della musica di Satana, il film verrà capito o piacerà. Ma è sorretto da un cast di giovani attori bravissimi (Martell, Adrian Greensmith e l’eccezionale Isis Hainsworth), ed è indubbio che sia un figlio dei tempi che corrono: nel mondo globalizzato è quasi impossibile prendere di mira una sottocultura – o una minoranza, o un gruppo etnico, quello che volete – e sbeffeggiarla come si faceva un tempo. Netflix arriva ovunque e tutti vogliono potersi riconoscere e trovare storie che parlino di loro senza pregiudizi. E questa è una delle grandi conquiste della nostra epoca: piuttosto che denunciare il politicamente corretto, dovremmo essere grati di avere a disposizione così tanti nuovi spunti per storie che, così, non erano mai state raccontate prima.
Metal Lords è disponibile su Netflix. QUI ne potete vedere il trailer.