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Le Fate Ignoranti torna perché ne abbiamo bisogno, la recensione

Pubblicato il 08 aprile 2022 di Giulio Zoppello

Sono passati più di vent’anni da quando Ferzan Özpetek incantava il cinema italiano con il film che ancora oggi secondo molti è il suo più riuscito e forse anche più personale: Le Fate ignoranti.


Ora da quel film il regista turco ha tratto una serie, in arrivo su Disney+ il 13 aprile, con protagonisti Luca Argentero, Cristina Capotondi ed Eduarto Scarpetta. Ad affiancarli un cast nutrito che annovera Ambra Angiolini, Deniz Burak, Serra Yilmaz, Paola Minaccioni, Anna Ferzetti, Carla Signorinis, Filippo Scicchitano, Lilith Primavera, Edoardo Siravo e Samuel Garofalo.


Il tutto al servizio di una trama che ci riporta a quel triangolo amoroso in differita, ad una Roma divisa tra borghesia e multiculturalità, e che ci pone diverse domande sulla società italiana contemporanea, e ridà lustro alla definizione di “opera necessaria”.



La Roma diversa dalla cosiddetta “norma”

In quel 2001 l’Italia che aveva appena abbracciato il XXI secolo, era senza ombra di dubbio molto più ottimista di adesso, molto più connessa ad un progressismo che non era semplicemente di maniera, ma che apriva ad un rinnovamento totale per quello che riguardava la società e la cultura italiane.


Non si può certamente negare che il film di Özpetek, con protagonisti Stefano Accorsi e Margherita Buy, all’epoca fece una forte sensazione, oggi può essere sicuramente indicato come un cult, uno dei film simbolo della generazione Millennial che poco dopo l’adolescenza, abbracciava quella realtà che oggi conosciamo: il mondo non è diviso in bianco e nero.


Roma e la sua Gay Street tra Colosseo e Colle Oppio era un ricordo da tre anni a quel tempo, eppure sorgeva proprio in quel 2001 il Coming Out in via San Giovanni Laterano, aprendo le porte ad un nuovo ritrovo per la comunità LGBTQ, che poi sarebbe diventato ufficiale nel 2007.


Ma con diversi anni di anticipo Özpetek ci guidò dentro quell’universo distante dal mito borghese che ancora imperava, da questa Roma fatta di borgate sempre uguali, di quell’Italia in cui risplendeva il mito berlusconiano dell’uomo rapace, delle ragazze che sognavano di essere veline, del sesso venduto un tanto al chilo a seconda dell’auditel.
Le Fate Ignoranti torna e lo fa con una serie che sicuramente può vantare una maggior ironia o se non altro un’atmosfera a metà tra l’agrodolce e l’irreale, come del resto c’è quasi sempre abituato questo regista, da molti indicato come discontinuo, da altri semplicemente come un visionario.


Forse a qualcuno potrà ancora dare un po’ fastidio come dopo tanti anni, la sua visione della sua stessa comunità sia forse retrò, ma forse è in realtà anche lo specchio di un paese, l’Italia, che proprio negli scorsi mesi ha ufficializzato la sua arretratezza totale, bocciando il DDL Zan.


Onde per cui, questa serie forse si rende addirittura necessaria, parola terribile se pensiamo che sono passati 21 anni, Serra Yılmaz è sempre la musa del regista ma c’è ancora così tanto lavoro da fare.



Il concetto nuovo di famiglia



La serie è di Disney+ e rappresenta senza ombra di dubbio un’occasione favorevole per il nostro cinema di mostrarsi se non altro foriero di una narrazione diversa e più audace di quella anglosassone, bene o male ancorata ad una narratività un po’ sterile, un po’ videoclippata e distante dal comune vivere.


Ozpetek fin dall’inizio invece mostra corpi, drammi, si parla di sesso, di gelosia, di sensi di colpa, ma anche della contrapposizione tra centro e periferia, per quanto poi completamente staccata da ciò che potremmo aspettarci.


Anche qui abbiamo un’Antonia e un Massimo, quarantenni belli, realizzati, ricchi e benestanti, legati da un quello che una volta era amore forse adesso soltanto affetto o complicità residua, un legame che rischia  di essere spezzato dall’arrivo in scena di Michele.


Questi Inizialmente doveva essere un gommista, ma il palazzo in zona Piramide ha ispirato il regista a cambiarlo in un’artista scenografo, un pittore sbarazzino e passionale, che incontra per caso in libreria Massimo, ne mette a nudo la bisessualità. 
La loro storia d’amore condivisa con la palazzina che è un piccolo universo di amici così stretti da essere quasi morbosi e inquietanti, viene spezzata come nel film da un incidente stradale.


Esiste la famiglia? Si. Ma è quella che ci si sceglie in realtà pare volerci dire Özpetek, sono gli spiriti affini di chi condivide la visione del mondo e della libertà individuale, scevra dal pregiudizio, dall’idea che l’amore possa essere incasellato o venduto un tanto al chilo. 
Emerge la difficoltà che permane per chi è dello stesso sesso e vuole avere una famiglia, essere sé stesso, l’incompatibilità con il quotidiano che vuole farsi audace e invece è ancora costretto a nascondersi. 
Almeno questo pensano Michele e Massimo, almeno fino a quel semaforo vicino al Colosseo, a quella morte assurda. Perché da quella morte, nascerà finalmente l’occasione per Michele di guardarsi dentro, per Antonia di uscire dal suo piccolo guscio, nella realtà asettica di quella villa con piscina e domestica filippina schiavizzata e una madre oppressiva, frivola e senza sensibilità. 



Tra dramma amoroso e borghese

Oltre che al film del 2001, Özpetek mette sicuramente in scena anche un omaggio a sé stesso, in particolare a quel Saturno Contro con cui aveva contribuito sicuramente a lanciare la carriera di Luca Argentero, qui nei panni del marito fedifrago e un po’ ipocrita.


A lui si contrappone la passività della Capotondi, moglie dottoressa nella finzione e casalinga di comodo nell’identità; poi vi è il fare un po’ immaturo e avventuroso di Scarpetta e del suo personaggio brillante ma incredibilmente narcisista.


Sono tre lati di un modo in fin dei conti simile di guardare all’esistenza come qualcosa di assolutamente autoreferenziale, costretta però a fare i conti con un mondo imprevedibile, con sentimenti che non possono essere arginati e con la mancanza di controllo. 
Si potrebbe pensare che riportare di nuovo al centro la distruzione degli ideali della borghesia italiana, quella pingue, indifferente a tutto se non ai propri aperitivi e vini, sia un esercizio desueto. 
Ma la verità è che l’immobilismo della nostra società, in particolare della classe media, è qualcosa di così tremendamente attuale, che questa serie in fin dei conti non fa altro che creare un’autopsia narrativa, anche per quello che riguarda l’incredibile chiusura mentale di una città, Roma, che è un universo a sé stante.


Siamo migliorati rispetto al 2001? Sì. E no. Le aggressioni ai membri della comunità LGBTQ nella capitale continuano a verificarsi, basta farsi un giro tra i giornali per capire quanto spesso non essere etero possa diventare il motivo per cui si viene aggrediti nelle stazioni della metro o addirittura a pochi passi dalla gay street inclusiva. 
Le Fate Ignoranti bene o male cerca di parlarci del classismo, dell’incomunicabilità che vige non solo nella Caput Mundi, ma in un’Italia che è ancora provinciale, culturalmente immobile, stagnante a dispetto delle nuove generazioni, della tanto sbandierata inclusività di maniera che poi però, guarda caso, si ferma sempre nelle aule del parlamento o nelle sentenze.


Antonia, Massimo e Michele tornano perché non siamo ancora riusciti ad andare oltre ciò che si verificava in quello stabile presso l’Ostiense, ad accettare che i diversi dalla norma siano definiti tali solo perché pensiamo che una norma debba per forza esistere. 

Tutti gli episodi della serie saranno disponibili in esclusiva dal 13 aprile su Star all’interno di Disney+.