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Granchio Nero è un war movie superato dalla Storia, la recensione

Pubblicato il 01 aprile 2022 di Giulio Zoppello

Sicuramente detta qualche perplessità il fatto che Granchio Nero sia stato rilasciato proprio ora da Netflix, quando un terribile conflitto sta insanguinando e dividendo l’Europa e tenendo con il fiato sospeso tutto il globo.


Tuttavia va dato atto a Adam Berg, regista fino ad oggi fedele ai videoclip, di aver saputo cucire un War Movie innovativo, ma in grado di recuperare le atmosfere e le tematiche care a quella filmografia anti bellica che ha avuto in uomini come Sam Fuller o Aldrich dei veri maestri. Di certo un film difficile, disturbante e diverso dalla norma, almeno fino a quasi alla fine.

Una guerra tra i ghiacci

Protagonista è Caroline Edith (Noomi Rapace), cittadina svedese che come molti altri deve fare i conti da diverso tempo con una terrificante guerra, che ha reso i paesi nordici un inferno fatto di ghiaccio, povertà e deprivazione, in cui vige solo la legge del più forte è uno stato di guerra che ha reso l’uomo lupo del suo simile. Caroline ha avuto la figlia rapita agli inizi del conflitto, ma ora le viene proposta una missione super segreta da parte dei suoi superiori, compiuta la quale le viene promesso che avrà la possibilità di riabbracciare la figlia, che non vede da diverso tempo. 
Assieme ad un altro gruppo selezionato di soldati, dovrà trasportare due misteriosi contenitori attraverso il mare ghiacciato fino ad una base segreta, usando solo i pattini e cercando di sfuggire al nemico, che ormai cinge d’assedio tutta la linea del fronte.

Caroline non sa nulla dei suoi compagni, delle loro motivazioni, sa solo che è una missione suicida, da cui però deve tornare assolutamente vincitrice, perlomeno se vuole ritrovare la figlia, riavere una vita se non normale, quantomeno libera da qui incubi e senso di colpa che non le permettono di andare avanti.


La missione è un incubo fatto di neve, ghiaccio e soprattutto di sospetti, visto che nella realtà Granchio Nero (questo il nome dell’operazione) è l’ultima speranza di vittoria per l’esercito a cui tutti loro appartengono, ormai sottoposto ad una pressione insostenibile, che fa sì che il destino dei cari di ognuno sia incerto e motivo di liti e dubbi. 
Il film di Berg fin dall’inizio sposa un’atmosfera cupa, violentissima non tanto nella dimensione visiva ma in quella psicologica, si allontana dai cliché action che sovente hanno reso anche recentemente la guerra un fatto adrenalinico. Qui invece domina il concetto di scontro e assedio come attacco verso la psiche ed i corpi dei suoi protagonisti.

Un film dalle troppe anime

Granchio Nero grazie alla bella fotografia di Jonas Alarik, valorizza al massimo la natura selvaggia, vuota ed impietosa, che circonda queste anime perse dentro un uragano di cui non conosciamo natura e motivazione, ma che in fondo neppure ci serve sapere, e sempre lo stesso da secoli. 
La sceneggiatura deve molto all’omonimo romanzo di Jerker Virdborg, che si è dedicato a rimaneggiarla assieme a Berg e a Pelle Rådström. Il risultato finale sostituisce non eccessivamente la dinamica psicologica a quella delle armi, per quanto non manchino momenti pieni di tensione e una violenza che si manifesta in modi più imprevedibili, tra i protagonisti come verso anche chi ha la sfortuna di incontrarli.


La sensazione di fine del mondo, di apocalisse imminente, per qualche istante riporta alla memoria un capolavoro come fu I Figli degli Uomini di Alfonso Cuaròn. Anche qui si avverte la sensazione da fine della civiltà, di negazione di ogni regola di solidarietà e di quelle sovrastrutture che oggi diamo per scontate, così come le davano per scontate fino a qualche anno fa anche in Ucraina.


Inutile negarlo, il pensiero vola proprio all’est Europa, ad una guerra  in cui come in questo film, la verità è la prima vittima della guerra, vale per i civili come per gli stessi soldati, carne da cannone freddamente stesa sul tavolo da parte di un potere che non riescono mai a guardare veramente negli occhi.


Tuttavia più si va avanti più emerge anche una certa incertezza di tono, dal momento che Berg pare volersi connettere ora ad un racconto metaforico dal grande simbolismo politico, ora ad un’essenza narrativa esistenziale, per poi concludere con una sorta di Thriller. Troppa carne al fuoco, un’identità che sfugge e che rimane sicuramente menù compiuta di quello che poteva essere.

Un’opera meno perfetta di quello che poteva essere

Rispetto a grandi titoli nordici come erano Brothers o A War, Granchio Nero non può sicuramente vantare una profondità particolare nei personaggi, che tuttavia rimangono impressi al netto di una certa prevedibilità che si impadronisce del insieme da tre quarti in poi.


Però è innegabile che Granchio Nero funzioni, risulti intenso, affascinante, un viaggio verso un inferno fatto di illusioni, dominato da una Noomi Rapace che si conferma attrice di grande intensità e credibilità. 
La sua Caroline si aggira come una sorta di Valchiria impazzita, sostanzialmente è l’unica donna del gruppo, eppure è la più resistente, più caparbia, ma è anche la più miope, la più egoista per quanto ci siamo mossi da una naturale comprensione verso la sua motivazione.


Il nemico è invisibile è crudele, è fatto anche lui di ossa, sangue e corpi dilaniati, eppure è oggetto di un culto dell’odio, con buona pace di buona parte della memorialistica sia letteraria che cinematografica, che sovente ci ha regalato racconti di uomini divisi dalle armi ma uniti dal naturale istinto. 
Qui si ode l’eco dell’ideologia, di un percorso senza via d’uscita, connesso sapientemente al mito della vittoria finale, dell’arma segreta, il che lo rende anche per certi versi un’opera che può risultare interessante, per chi voglia magari spingersi a comprendere quale stato d’animo caratterizzava i soldati degli eserciti prossimi alla sconfitta. 
Peccato però per la mancanza di coraggio sul finale, per una incapacità nell’andare oltre l’originale letterario, ad osare, anche solo da un punto di vista tecnico, visto che anche la regia comincia a ripetersi, le scene d’azione diventano molto meno realistiche di quello che erano fino a poco prima.


Tuttavia la valutazione finale non può che essere positiva, non fosse altro per la bravura oltre che della Rapace, anche di Aliette Opheim, Jakob Oftebro, Dar Salim e degli altri del cast. Un piccolo dramma in armi, dal sapore tragicamente attuale, forse per questo non così potente come potrebbe. La realtà ha superato la fantasia da un po’…