Sicuramente uno dei segreti del successo di Batman, come personaggio prima dei fumetti e poi del grande schermo, è legato ad aver avuto delle nemesi semplicemente sensazionali, uniche, connesse al rapporto tra individuo e società, ma soprattutto tra identità e libertà personale. Solo un anno dopo che la creatura di Bob Kane e Bill Finger aveva cominciato il suo leggendario iter nelle edicole di tutto il mondo, i due pensarono bene di contrapporgli una donna, ma non una donna qualsiasi, quanto un concentrato di fascino, sensualità, astuzia e doppiogiochismo: Catwoman.
Nel corso dei decenni il suo look ma soprattutto la sua natura è cambiata tantissimo, fino a renderla a tutti gli effetti sia una villain, sia un’antieroina sempre a metà tra redenzione e peccato. Al cinema è stata interpretata da donne bellissime ma anche capaci di farne simbolo di una libertà assoluta ed emancipazione unica nel suo genere.
Sicuramente impossibile non menzionare la bellissima Lee Meriwether, che nel film kitsch e divertentissimo del 1966, fu fedelissima alla forma originale di Catwoman, quella di una ladra e di ingannatrice bellissima, bravissima nel mettere in trappola Bruce Wayne spacciandosi per giornalista. Tuttavia alla fine il piano ordito assieme a Joker, l’Enigmista e il Pinguino naufragherà clamorosamente e la sua identità verrà svelata all’amareggiato Bruce. Ancora oggi la sua divertita interpretazione è un vero e proprio must, un simbolo del cinema fantasioso di quegli anni ed assieme una parodia delle varie bond girl che dominavano il cinema di quel decennio.
Memorabile, ma purtroppo per i motivi sbagliati, è stata invece la Catwoman di Halle Barry, omaggio alla Eartha Kitt che nella serie tv anni ’60 era stata chiamata a sostituire Julie Newmar nella terza stagione. Purtroppo però il film del 2004 fu un qualcosa di così pecoreccio, banale, stupido e privo di ogni minima raffinatezza, da entrare nel guinnes dei primati come uno dei peggiori film del primo decennio.
Certamente un tentativo alquanto sterile di trasformare l’eccezionale personaggio in una sorta di bomba sexy slegata da ogni connessione con la Gotham dei fumetti. Fu questo di base il grande errore del dimenticabile regista Pitof, che si dimostrò assolutamente incapace di avvicinarsi a ciò che il personaggio era stato non solo nei fumetti, ma anche in serie animate popolari grazie a doppiatrici come Adrienne Barbeau. Per non parlare di ciò che era stata lei, la più grande Catwoman di sempre: Michelle Pfeiffer.
Tim Burton nel seguito del suo acclamato capolavoro del 1989 fu capace di creare in Catwoman un mix di tutto ciò che la donna era stata costretta ad essere per molto tempo, e contemporaneamente l’immagine di ciò che sarebbe stata nel futuro.
Michelle Pfeiffer fu semplicemente sensazionale nell’interpretare la doppia natura di Selina Kyle, prima donna debole, insicura, depressa e senza uno scopo nella vita, e diventata in seguito una sorta di creatura magica ed oscura, a tutti gli effetti qualcosa di diverso da un normale essere umano.
L’amore per il gotico e il soprannaturale, guidò Burton verso un processo di mutazione della natura del personaggio, teoricamente assassinata dal malvagio Max Shreck, ma ritornata non solo come felina imprendibile e pericolosissima, ma anche come una sorta di strega, di incantatrice animata da un desiderio di vendetta profondo ed insanabile.
La straordinaria chimica tra Michael Keaton e Michelle Pfeiffer, fu la base per una love story dark e maledetta, basata sul concetto di maschera, dal momento che ad entrambi solo il costume permetteva di poter essere veramente se stessi. Sensuale, imprevedibile eppure incredibilmente coerente, questa Catwoman fu una perfetta antitesi a ciò che era stata sovente la donna nel precedente decennio reaganiano, costretta ad essere un semplice orpello ornamentale del machismo e della mascolinità tossica. Qui invece fu finalmente libera di spiccare il volo verso i tetti di Gotham City.
Dal 1992 si fa un balzo verso il nuovo millennio e verso Christopher Nolan e il suo Batman, che se nel primo episodio aveva avuto a che fare con lo Spaventapasseri, Ra’s al Ghul e nel secondo col Joker, nel terzo fim della saga invece faceva la conoscenza di una donna impertinente, affascinante, astutissima e indecifrabile: Catwoman appunto, che si muoveva sulle flessuose gambe e la morbida figura di Anne Hathaway.
Non vi era più il fascino gotico di una creatura metà donna e metà animale magico, ma una ladra su commissione sposata ad una visione assolutamente egoistica della vita, preoccupata soprattutto ed esclusivamente del suo destino, almeno inizialmente, quando mette a segno una serie di colpi semplicemente incredibili. Bruce Wayne, ferito nell’anima e nel corpo, in un certo senso viene risvegliato da questa ragazza, che si fa beffe di lui, lo deruba e riesce a farla franca sfruttando il suo grande fascino e una capacità di pianificare le proprie mosse che è quasi pari alla sua.
Catwoman qui è però anche bene o male un simbolo di ribellione, verso la società, le sue regole e i suoi dogmi, ma anche portatrice della rabbia degli esclusi, degli ultimi della società contro i privilegiati di Gotham. Nolan seppe renderla parte di un’evoluzione incredibilmente interessante, basata sul senso di colpa per aver tradito Batman ma anche su un rinnovato altruismo, su una empatia che doveva semplicemente trovare il modo giusto di emergere. Forse la Catwoman meno sopra le righe, eppure quella dei significati politici e culturali più profondi.
Arriviamo infine a questo The Batman, a Zoe Kravitz. Di tutte le Catwoman, questa è senza ombra di dubbio la più violenta, la più instabile, mossa innanzitutto da una rabbia profonda verso un mondo ostile, violento, maschilista ed in cui la giustizia è inesistente.
Il suo rapporto con Batman parte da un evento personale che coinvolge la sua coinquilina, poi ci apre la vista alle sue profonde connessioni con il leader del crimine organizzato Carmine Falcone, e la sua capacità di essere un agente del caos. A dispetto della sua figura esile, è una straordinaria combattente, un’ottima ladra ed esperta pilota, sa badare a sé stessa come ripete dalla mattina alla sera, ma la realtà è che anche animata da un desiderio di vendetta se possibile persino superiore del cavaliere oscuro.
Sarà questi in più di un’occasione a dover faticare non poco per trattenerla dal diventare esattamente come quelli a cui dà la caccia. Di tutte, è forse quella più connessa al concetto di solitudine non in quanto sine qua non esistenziale, scelta professionale, ma perché diversa dalla norma, decisa a non dover fare affidamento su nessuno e non dover dipendere da nessuno.
Solo Batman riesce a fare breccia attraverso questa corazza, proprio per la sua natura di freak e elemento impazzito nell’equazione di Gotham. Di certo Matt Reeves è riuscito nel difficile compito di donarci un personaggio intrigante, anarchico e seducente, senza però scimmiottare il passato, senza cadere nell’errore di farlo diventare un esercizio di maniera.