Cinema Recensioni The Doc(Manhattan) is in
Eppure lo si sarebbe dovuto imparare già trentatré anni fa. Non si giudica un film di Batman, e il suo Batman, prima di averli visti in azione sul grande schermo. Valeva per quello di Tim Burton, che aveva piazzato a sorpresa un attore da commedie sotto il cappuccio, vale per quello di Matt Reeves e il suo Robert Pattinson. Quasi tre ore di film che sgombrano il campo da qualsiasi timore della vigilia, perché, non si fosse capito, The Batman è un film pazzesco. Non solo la pellicola probabilmente più tonda e a fuoco sul paladino di Gotham City, ma in un assoluto un gran bel film. Un film che riesce, tanto per giocarci subito il primo, inevitabile paragone, a far convivere sullo schermoun Batman incredibile, un Bruce Wayne adatto alla situazione e al momento, un costume che funziona alla grande, pucciato com’è nella tenebra eterna di una Gotham filtrata di rosso.
Il mio personalissimo problema con i film di Batman di Nolan è che li trovo bellissimi… in tutte le scene in cui non c’è Batman. Hanno un Bruce Wayne eccezionale (cosa vuoi dire, a quel Christian Bale, o più in generale a Christian Bale?) e sono girati con il consueto trasporto amoroso che lega il regista londinese a inquadrature, storie, palazzi, vetrate e luci fredde. Ma hanno un taglio troppo realistico, praticamente in tutto. E così quando in quel nitido azzurro di una Gotham da film di James Bond salta fuori il tizio col mascherone e il vocione, sembra fuori posto.
È una faccenda spinosa, sì, e non di facile soluzione.
Se giri un film su Spider-Man, ti aspetti di vederlo volteggiare tra i tetti appeso a una ragnatela e combattere contro dei tizi buffi dai nomi di animali o comunque con molto verde addosso. Ok. Ma Batman è chiaramente un altro paio di maniche. Non puoi più giocartela come ha fatto magnificamente Tim Burton trent’anni fa, con quel tiro all’incrocio tra il gotico, i fumetti e il grottesco del suo secondo film. Se ti butti troppo sugli elementi colorati, da fumetto supereroistico, ne viene fuori un altro film come quelli del povero, incolpevole Joel Schumacher. E il mondo piange. E poi ride di te.
Il realismo se l’è preso Nolan, l’epica delle cicatrici del vecchio Batman amareggiato e dei filtri sabbiati e marroncini, Snyder. A Matt Reeves, che di The Batman è anche co-sceneggiatore (con Peter Craig) e produttore, restava una sola via, strettissima. E ci si è lanciato dentro con la forza di una muscle car alimentata dal motore di un jet. È tornato alle basi, Reeves: cosa rende credibile, spaventoso, epico e così dannatamente figo Batman, da sempre? La risposta è l’altra protagonista delle sue storie: la notte di Gotham. È un film nerissimo, The Batman, e per non renderlo una macchia di tenebra indistinta, e conferirgli anzi una sua cifra stilistica coerente e decisa, è seguita a ruota la scelta del rosso. Che funziona su tutta una serie di livelli, e fa da spalla ad alcune soluzioni visive (anche metaforiche, come quella certa inquadratura dall’alto nel finale) decisamente riuscite.
E quell’oscurità Batman se lo coccola. Le critiche sul costume spariscono, perché tutto quello che si vede di Batman è, semplicemente, quello che di Batman ci vogliono mostrare Reeves e l’oscurità. Non solo stavolta può girare il collo, evitando di essere ucciso semplicemente da un tizio che gli si accosta di lato, ma ogni singola inquadratura di tre quarti del suo volto sembra disegnata da Alan Davis o Jim Lee. Perché, a costo di ripeterci, un conto è vedere una foto di un costume sull’Internet, o lo scatto di una moto spinta da uno stuntman su un set, altro vedere come quelle parti diventano un film.
Ecco, qui la risposta non è semplice. Tanto per iniziare, perché non tutti i film su Batman parlano dello stesso Batman. Questo è un Batman degli esordi, al suo anno due, e come tale ha ancora molto da imparare. Un vigilante imperfetto, che prende un sacco di legnate, e, pur essendo sulla buona strada, non è ancora il detective migliore del pianeta, diremo. Che non ha tutta la tecnologia fantascientifica che avranno in seguito altre sue incarnazioni. Non dispone di carri armati su gomma, batplani, bat-carte di credito. Non ancora padrone dei tetti, si muove sulla strada, calcando l’asfalto bagnato dalla pioggia con i suoi anfibi pesanti. (In)arrestabile macchina di vendetta, più che angelo vendicatore che piomba dal cielo. E la prima volta che si trova in una certa situazione, lassù, il suo volto non nasconde la paura.
Difficile quindi paragonarlo al Batman di Burton, che nasceva da altri presupposti e altri scopi – uno su tutti: far dimenticare al mondo l’associazione Batman = il campy in TV con Adam West negli anni Sessanta – ed era perfetto in quel contesto, o agli altri. Ma quel che so è che un Batman live action in tutto e per tutto così credibile e riuscito non credo di averlo mai visto. Fatto salvo il mio amore per i due Batman di Burton (soprattutto il secondo), rivedere i pipistrelli precedenti in azione, dopo questo, sarà decisamente più complicato.
Ma quando non mena qualcuno, o sparisce come un ninja appena ti volti, Batman pensa. Tanto. Il lavoro di detection, l’indagine sulle piste tracciate dalla lucida follia dell’Enigmista, porta avanti così pure in questo caso tutta la storia. Un lavoro che non poggia però solo sulle spalle dell’eroe, ma anche su quelle del futuro commissario Gordon di Jeffrey Wright (in più punti si vira verso un tesissimo buddy cop senza battute) e di una Catwoman altrettanto all’alba delle sue sgambate sui tetti e della sua tensione amorosa con il protagonista. E giusto per chiudere la parentesi: se Zoë Kravitz non scalfisce il mito di Michelle Pfeiffer, è solo perché quello è impossibile. La sua resta però una Selina Kyle credibile e dannatamente in parte. Ancora: che non diventa mai macchiettistica e si muove a suo agio nel contesto.
Ma girano bene anche gli altri personaggi. Un paternissimo Alfred di Andy Serkis, un irriconoscibile Colin Farrell nei panni del Pinguino (occhio alla gag di quella scena), praticamente un sosia deforme dell’Al Capone di Robert De Niro in The Untouchables – Gli intoccabili, un Carmine Falcone reso inquietante proprio dall’aria pacifica di John Turturro. E a proposito di inquietudine, ora possiamo salutare con il fazzoletto anche i timori legati al PG-13. The Batman non è decisamente un film adatto ai ragazzini, con un Enigmista in più di un senso traumatizzante. Più Saw – L’enigmista che altro. Con quella maschera da pervertito e il suo ansimare, ti aspetti che tenga ancora rinchiusi in un sottoscala da qualche parte Marcellus e Butch.
Ma, ed è questo il punto, non è l’unico sociopatico in circolazione.
Un punto focale del mito di Batman è che Bruce Wayne non è una persona normale. Non è un uomo mosso unicamente da un senso di giustizia e responsabilità Non è Peter Parker. Bruce Wayne è ossessionato dalla sua crociata, al punto da sparire in essa. Lo si è detto tante volte, ma ripeterlo non fa male: Wayne è la maschera di Batman, e non il contrario, perché è semplicemente il tizio incappucciato sempre, anche quando il cappuccio non lo indossa. E visto che questo è un Batman degli esordi, al suo secondo anno di avventure, era fondamentale renderlo ancora meno equilibrato. Ed ecco allora che il volto glaciale di Pattinson senza maschera, quegli occhi sporchi di nero, i ciuffi di capelli sudati/bagnati davanti agli occhi, da scena drammatica di un manga, hanno qui perfettamente senso. Tanto quanto ha senso una Batmobile che esprima la sua condizione: poco tecnologica, potentissima, pronta a saltare nel fuoco dopo una sbandata.
C’è una scena che ci mostra quanto Wayne e l’Enigmista non siano poi così diversi. In un certo senso, sono spiriti affini. Solo che uno ha scelto di votare la sua ossessione al bene, l’altro no. Reeves – che i fumetti usati come punto di partenza non si è limitato a sfogliarli come Snyder, ma li ha letti. Ha studiato il Batman: Anno Uno di Frank Miller e David Mazzuchelli, e il Batman: Il lungo Halloween di Loeb e Sale, ha capito bene le psicologie in ballo e le mette in scena come si deve. Ha compreso qual è il rapporto di Batman con le armi da fuoco e con le vite umane, perché fa quello che fa, come lo fa. E come sia il fuoco attorno a cui si concentrano come falene impazzite, a Gotham, i suoi nemici.
Chiarito quello, Reeves si è concentrato sull’evoluzione che deve seguirne, muovendo da questo punto di partenza.
Nessun personaggio può restare fermo in una storia, e a questo giovane Batman tocca prendere le sue scelte, decidere da che parte andare. E quando lo fa, e la cosa viene sottolineata da una scena simbolica semplice ma potentissima, che bello è? Fotografato magnificamente, teso come una corda di violino, duro quando deve esserlo, tenero quando deve farti capire la fragilità di un super-eroe dall’aria truce, che però non è né super né d’acciaio, con quel bambino ancora prigioniero dentro di lui.
Ora devo solo trovare altre tre ore per andarlo a rivedere.
(Ah, dimenticavo: azzeccata anche la colonna sonora del solito Giacchino, qui al suo quinto film con Matt Reeves. Anche se a un certo punto sembrano le note della scalinata de La Corazzata Kotiomkin di Fantozzi. Ho riso tantissimo dentro di me, pensando a Gordon che esclamava “Ventuno!!!”).