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L’adolescenza è una brutta bestia, metaforicamente parlando, ma forse neanche tanto se il film in questione è Red. Certo, i panda rossi sono tutto fuorché brutti, ma credo abbiate capito cosa intendo. Domee Shi ha presentato il nuovo lungometraggio della Pixar alla stampa italiana, ed è chiaro che la talentosa regista sino-candese ci ha messo tutta sé stessa, usando il fantasy e l’animazione per rielaborare un passaggio cruciale nella sua vita. E il risultato è sfavillante, come potrete scoprire dal prossimo 11 marzo su Disney+ (niente uscita in sala, purtroppo).
Domee Shi aveva già dimostrato di saperci fare con il suo debutto assoluto alla regia, Bao, vincitore dell’Oscar come Miglior Cortometraggio Animato. Red sviluppa ulteriormente alcuni dei temi che lo caratterizzavano, e racconta la storia di Mei Lee, tredicenne di Toronto che s’impegna duramente per soddisfare le aspettative della madre: prende voti altissimi, non sgarra mai, è rispettosa nei verso i genitori, e li aiuta al tempio della loro famiglia. Mei è però anche una grandissima fan della boyband 4 Town (il film si svolge nel 2002), e sogna di andare al loro concerto con le sue migliori amiche. Convincere la madre è già un’impresa, ma le cose diventano ancora più complicate quando Mei scopre che le emozioni più forti – imbarazzo, rabbia, desiderio… – la trasformano in un gigantesco panda rosso.
La regista racconta che, dopo Bao, la Pixar le ha fatto preparare tre diverse proposte per un lungometraggio, ma l’Oscar non le ha dato una posizione privilegiata: ha comunque dovuto mettere insieme un pitch, come tutti gli altri. L’idea per Red ne è uscita vincitrice.
Nata in Cina, a Chongqing, ma trasferitasi con i genitori in Canada da piccola, Domee Shi adotta uno stile di animazione che combina Oriente e Occidente.
Red è un mix di animazione orientale e occidentale. Ho amato moltissimo l’animazione giapponese, crescendo. Adoravo Sailor Moon.
La regista nomina però anche vari colleghi del cinema in live-action, come Edgar Wright e Wes Anderson. Del primo, Domee Shi ammira “la capacità visiva e cinetica”, e cita in particolare Scott Pilgrim Vs. the World (orgoglio torontino, dato che la storia è ambientata a Toronto e lo stesso Bryan Lee O’Malley è canadese). Per quanto riguarda Wes Anderson, invece:
Di Wes Anderson, amo il suo modo di stilizzare la tavolozza dei colori. Mi sono ispirata ai suoi film in stop-motion, al modo in cui riesce a rendere il suo mondo così attraente. Volevo stilizzare il mondo del film per mostrarlo attraverso gli occhi di Mei.
La scelta del panda rosso per materializzare le emozioni di Mei non è affatto banale. Perché proprio questo animale? Il fatto che sia originario della Cina ha certamente influito, ma c’è anche dell’altro:
Ho scelto il panda rosso anzitutto perché sono molto carini, e poi non si vedono spesso nei film o negli show televisivi. Inoltre, mi sembrava la metafora perfetta della purezza. Il colore rosso è quello che sentivo io a 13 anni: rossa di imbarazzo, di desiderio per un ragazzino… Era anche un’immagine facilmente afferrabile per rappresentare una ragazzina che si trasforma.
A tal proposito, l’autrice conferma di aver messo gran parte di sé stessa nella protagonista:
Ho messo in lei tutte le parti imbarazzanti di me stessa. Come lei, ero un po’ goffa e nerd, ossessionata con un gruppo ristretto di amiche. A 13 anni ero la brava bambina con il massimo dei voti, ma il corpo cambiava. [Al contrario di Mei] non ero tanto seguace delle boyband, ma la mia droga era Harry Potter.
La letteratura è ricca di metamorfosi celebri, e quella di Kafka fa parte del suo bagaglio culturale:
Effettivamente l’unico lavoro di Kafka che ho letto è La metamorfosi. Mi sono sempre piaciute le storie di metamorfosi, anche Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde. La prima fonte di ispirazione però è stata la pubertà: una mattina ti svegli e cambi, hai peli dappertutto, emozioni selvagge, odi il tuo corpo. Io e altre donne, mentre realizzavamo il film, ci siamo scambiate le nostre storie. Spero si possa parlare di più di pubertà e soprattutto di ragazze che affrontano la pubertà.
Il discorso sul femminile non riguarda solo il punto di vista narrativo del film. Red è il primo lungometraggio della Pixar diretto unicamente da una donna, riflesso di un cambiamento che coinvolge tutta l’industria:
Stiamo vedendo un cambiamento in tutte le industrie, e stiamo assistendo a un cambiamento soprattutto nell’animazione. Nella mia scuola eravamo 50 e 50, metà maschi e metà femmine, mentre ora credo ci siano più donne a studiare animazione.
La produttrice Lindsey Collins aggiunge:
La Pixar è stata felice di avere Domee come prima, e vedrete tanti altri film Pixar diretti da donne in futuro.
CollinsCredo che la concorrenza [tra donne] in passato venisse dalla carenza di opportunità [nel settore], ma oggi gli studios hanno accolto la possibilità di raccontare storie in maniera diversa. Negli ultimi anni Pete Docter, responsabile della parte creativa, ha messo le donne in una posizione di mentore per altre registe, stimolando così un clima di collaborazione e solidarietà.
Domee Shi commenta proprio l’apporto di Docter, acclamato regista di Monsters & Co., Up, Inside Out e Soul.
Pete Docter è stato molto coinvolto fin dall’inizio. Il suo modo di produrre è stato molto importante, perché lui incoraggia i registi a prendere il film e farlo proprio. Ci ha aiutate a trovare lo stile e lo sguardo del film. Con il suo grande feedback, ci ricordava sempre di non preoccuparci solo dello stile per lo stile, ma di trovare una ragione dietro di esso. Nelle prime fasi, stavamo cercando di capire come arrivare al momento in cui Mei si trasforma in panda rosso, e lui ci ha dato dei consigli in proposito, ma è stato sempre molto discreto e ci ha aiutato moltissimo. Ci ha incoraggiate a prenderci dei rischi.
Uno di questi “rischi” era rompere la quarta parete: Mei, all’inizio di Red, parla direttamente al pubblico per presentarsi e accoglierlo nel suo mondo: una cosa che la Pixar non aveva mai fatto, come sottolinea Lindsey Collins.
Avere un personaggio che si presenta da solo all’inizio, parlando al pubblico, è una cosa che non avevamo mai fatto. Ci sembrava naturale farlo con Mei. Abbiamo tutti abbracciato l’idea di questa protagonista che sta sul proscenio. L’introduzione del film è sempre stata questa [nelle nostre intenzioni]. Ed è anche un omaggio a tanti teen movie, come quelli di John Hughes e Lizzie Maguire. Volevamo cominciare il film con un’esplosione, mostrarvi una cosa che non avevate mai visto.
Anche in virtù di questa introduzione, Mei sembra molto a suo agio con sé stessa. I cambiamenti portati dall’adolescenza, però, la rendono più consapevole delle sue emozioni, spingendola verso l’autodeterminazione del sé, come giovane adulta. Il panda rosso è anche questo: un magma di emozioni che permettono di formare la propria coscienza di individuo, e quindi da non reprimere. Commenta la produttrice:
Se tu reprimi il panda rosso e non hai un rapporto sano con le tue emozioni, quello esplode. Bisogna accoglierlo, abbracciarlo, fare una scelta più sana per avere un rapporto naturale anche con la famiglia e gli amici.
Il legame con la madre è centrale, in tal senso… ma funzionerebbe anche tra padri e figli maschi? Domee Shi non ne è sicura. In compenso, elogia la figura del padre di Mei, il discreto e sensibile Jin.
Non saprei, non so come sono i rapporti tra padri e figli, ma mi sono ispirata dal rapporto madre-figlia perché per molte ragazze è il rapporto più formativo da quando nasci: ci litighi, ma sei comunque vicina a lei, anche se accadono cose come manipolazione, sensi di colpa e giochi mentali. Voleva essere una storia ampia. Parlando di padri, però, sono molto orgogliosa di Jin: lui rappresenta mio padre per certi aspetti, e molti uomini delle famiglie asiatiche sanno essere forti ma anche dolci. Jin non parla molto, ma sostiene sempre la famiglia.
Una nota finale di carattere autobiografico, per la regista e la produttrice: Mei desidera moltissimo assistere al concerto dei 4 Town, ma quali sono i cantanti per cui loro due avrebbero fatto carte false? Domee Shi cita un gruppo che ha chiaramente ispirato la boyband fittizia del film:
Gli N’Sync, non sono mai riuscita ad andarli a vedere. È per questo che ho fatto questo film!
Lindsey Collins cita invece una vera leggenda del pop:
Prince! Volevo andare ai suoi concerti, ma i miei genitori non mi lasciavano.
Fare cinema, evidentemente, è un bel modo per rielaborare il trauma dei concerti perduti.