Parigi, 13Arr. – La recensione del film di Jacques Audiard

Parigi, 13Arr. – La recensione del film di Jacques Audiard

Di Lorenzo Pedrazzi

Il cinema contemporaneo continua a rincorrere le vite sfuggenti dei Millennials, segnate da instabilità lavorativa e incertezze relazionali. Di recente, Playlist e La persona peggiore del mondo hanno fotografato con cura lo smarrimento di una generazione rimasta senza paracaduti sociali, costretta ad adattarsi a una realtà incerta che impedisce qualunque pianificazione a lungo termine. Non era scontato che anche Jacques Audiard partecipasse al dibattito in questione, eppure Parigi, 13Arr. dimostra ancora una volta la capacità del regista francese di reinventare il suo cinema, proseguendo una ricerca che sfiora generi e contesti diversi.

Il titolo originale del film è Les Olympiades, dal nome delle torri residenziali che sorgono nella zona sud-est di Parigi. È qui che vive Émilie Wong (Lucie Zhang), operatrice di call center impegnata nella ricerca di un coinquilino. Alla sua porta si presenta Camille Germain (Makita Samba), professore di liceo che affitta una delle camere e si trasferisce subito nell’appartamento. Lui ed Émilie cominciano una relazione di puro sesso, anche se la ragazza ben presto prova qualcosa di più. Camille però s’invaghisce di Nora Ligier (Noémie Merlant), che si è appena trasferita a Parigi per studiare all’università. Mentre le loro vite private si evolvono e le professioni cambiano, Nora stringe a sua volta un rapporto imprevedibile con Amber Sweet (Jehnny Beth), camgirl di grande successo.

I legami tra questi personaggi si consumano a velocità fulminea, specchio di una realtà magmatica che non offre punti di riferimento stabili. Il copione scritto da Audiard con Céline Sciamma (la cui mano si sente soprattutto nella caratterizzazione di Nora) e Léa Mysius (già sceneggiatrice per Arnaud Desplechin e Claire Denis) cattura fedelmente le dinamiche della vita urbana in una metropoli cosmopolita, contrapponendo ai soliti cliché parigini una periferia di monoliti geometrici e spianate di cemento. Uno scenario ideale per la seducente colonna sonora di Rone, i cui ritmi fondono musica elettronica, ambient e orchestrale, contribuendo a delineare un’atmosfera spigolosa e irrequieta che si riflette sui corpi dei protagonisti. In effetti, Parigi, 13Arr. è una danza perenne di corpi che si uniscono, si separano e infine si ricongiungono ancora, fedele non solo all’amore schizofrenico dei giorni nostri, ma anche alla verità interiore dei personaggi.

Émilie, Camille e Nora non sono figurine monodimensionali che servono uno scopo narrativo o politico, come invece accade spesso nel cinema hollywoodiano (o in quello italiano più commerciale). Ricchi di contraddizioni, si fanno guidare dai moti dell’animo, dagli umori del momento, dal tumulto delle emozioni. Sono credibili proprio nelle loro incoerenze, come nell’impeto a seguire il piacere – anche in termini di pulsioni sessuali – e il benessere individuale. Gli stessi rapporti carnali sono un modo per esplorare sé stessi e gli altri, nonché per riconoscersi nel desiderio altrui: il dialogo dei corpi adotta coreografie ben definite, in grado di caratterizzare tanto i personaggi quanto i loro legami. Non a caso, il sesso diviene qui un gioco di potere dove si ristabiliscono le gerarchie, talvolta rovesciando i vecchi rapporti di forza.

Il bianco e nero di Paul Guilhaume – tradito con il colore solo in due scene introduttive – genera un piacevole contrasto con l’attualità di queste storie, rendendole quasi atemporali. Sono frammenti di vita estrapolati da un quadro più grande, e il loro andamento episodico – ben lungi dall’indebolirne la fluidità o l’efficacia – li avvicina alla nostra esperienza quotidiana, fatta di sussulti e imprevisti continui. Fino a un epilogo delicato e memorabile, che ci rimette in pace con questi tempi balordi.

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