Michael Bay, architetto della distruzione

Michael Bay, architetto della distruzione

Di Marco Triolo

In occasione dell’uscita di Ambulance, in arrivo il 23 marzo per Universal Pictures, ripercorriamo la carriera di Michael Bay, l’uomo che ha trasformato il cinema spettacolare in una questione di principio.

Diversi anni fa, una nota compagnia di telecomunicazioni americana – che non nominiamo anche se è un po’ inutile, considerando che trovate il nome qui sotto – scelse Michael Bay come testimonial di una pubblicità distribuita in concomitanza con l’uscita di Transformers. Nello spot, che potete vedere di seguito, c’è forse la migliore sintesi possibile di quello che Bay rappresenta nell’immaginario collettivo, che allo stesso tempo è una sintesi di ciò che i blockbuster hollywoodiani rappresentano – o rappresentavano, per lo meno – nell’immaginario collettivo. Nel mondo di Michael Bay, EVERYTHING IS AWESOME: il suo gatto è una tigre, la sua casa è enorme, il suo barbecue e la sua piscina esplodono.

Stiamo forse insinuando un’equivalenza tra Michael Bay e Hollywood? Può darsi. Di certo non possiamo fare a meno di notare un dato: Bay nasce a Los Angeles, la capitale del cinema americano. Sua cugina, Susan Bay, è sposata con Leonard Nimoy. Hollywood è già in famiglia (adottiva), è già intorno a lui. Un destino segnato.

Da ragazzo, come lui stesso ha raccontato, un giorno prende la cinepresa a 8 millimetri di sua madre, lega alcuni fuochi d’artificio a un trenino e riprende il catastrofico incidente. Risultato: intervengono i pompieri, e lui finisce in punizione. Ma quella scintilla, accesasi insieme ai fuochi d’artificio, nemmeno i pompieri riescono a spegnerla.

Gli inizi

Qualche anno dopo, quando ha 15 anni, Bay va a fare uno stage alla Lucasfilm. George Lucas lo incarica di schedare gli storyboard de I predatori dell’arca perduta. Il giovane Michael è convinto che il film sarà un disastro, poi lo vede al cinema e cambia completamente idea. È a questo punto che, evidentemente colpito dall’abilità di Steven Spielberg di trasformare in capolavoro qualcosa che, sulla carta, a lui sembrava pessimo, Michael Bay decide che da grande farà il regista.

La sua carriera inizia nel mondo della pubblicità e dei videoclip: dirige video di Greg Allman, Donny Osmond, Faster Pussycat, Styx, Poco, Meat Loaf e Tina Turner. Sono proprio questi lavori a farlo notare a Jerry Bruckheimer, che lo chiama a dirigere il suo primo film, Bad Boys. Il resto, come si suol dire, è storia. Ed è un’escalation di devastazione filmica che, a ogni film, diventa sempre più ineguagliabile. In un’epoca in cui sempre più spesso il cinema spettacolare ricorre alla CGI per ricreare le esplosioni, Bay le mette in scena con pornografico trasporto. Le foto dai suoi set sembrano scattate su un campo di battaglia. Bay stringe la macchina da presa come fosse un mitra anti-carro, lo sguardo deciso di un generale che, pur avendo a disposizione una truppa ben addestrata, non esita a lanciarsi nel vivo della battaglia personalmente.

Vedere il mondo bruciare

Sullo schermo, tutto questo si vede eccome. I suoi Transformers partono come un’imitazione del cinema fantastico per famiglie di Spielberg (produttore), e si evolvono presto nell’equivalente cinematografico di un quadro di Pollock. La sceneggiatura è talmente poco importante che Transformers: La vendetta del Caduto (realizzato durante uno sciopero degli sceneggiatori) praticamente non ce l’ha. Quel che conta è il terzo atto, le sempre più intricate, folli e visivamente incredibili battaglie finali, ambientate di volta in volta in metropoli diverse. Bay, spesso criticato per il montaggio troppo frenetico e segmentato dei suoi film, nei quali un’inquadratura non dura mai più di pochi secondi, eleva questo ad arte e imbeve ogni singolo quadro di una cornucopia di dettagli, tutti fotografati splendidamente in un eterno tramonto. Una bulimia spaventosa che però non soffoca, perché al centro di tutto c’è lui, seduto al quadro comandi, con l’occhio fisso nell’obbiettivo.

Dire che Michael Bay ha i suoi detrattori sarebbe usare un eufemismo. Michael Bay non ha detrattori: ha veri e propri hater. Gente che lo paragona alla morte del cinema, alla negazione del racconto, accusandolo di non essere in grado – letteralmente – di raccontare una storia. E in un certo senso è così: i suoi personaggi sono spesso delle macchiette, i suoi intrecci hanno poco senso, la chiarezza espositiva lascia sempre la precedenza alla potenza visiva. Meglio un inseguimento interminabile e spettacolare, in cui le auto fanno le capriole e si schiantano tra i capolavori artistici di Firenze, o un plot che abbia senso? Bay su questo non ha dubbi, e arrivati a questo punto è evidente che la sua non è tanto incapacità, quanto priorità. Bay non vuole, come fa Spielberg, accompagnarci per mano attraverso un viaggio. Vuole somministrarci della cocaina per poi chiuderci nell’abitacolo di un’auto in fiamme e lanciarla giù da un grattacielo. Ma farlo con stile.

La prova che, quando vuole, Michael Bay sa anche raccontare una storia con “la trama”? Beh, Pain & Gain, una dark comedy coeniana su un gruppo di culturisti che si danno al crimine. Un film esilarante e tragico, perfettamente calibrato, in cui Bay riesce a cavar fuori da Dwayne Johnson la migliore performance della sua carriera, chiudendo di fatto un’era in cui l’ex wrestler e futuro presidente ancora ci stava provando a infrangere le aspettative.

L’ora di Ambulance

A rivederli oggi, dopo la saga dei Transformers, The Rock e Armageddon a confronto sono dei film quasi “normali”. Il suo ultimo lavoro, Ambulance, in uscita il 23 marzo per Universal, sembra voler recuperare un po’ di quella normalità. Tanto per cominciare, è un remake: dietro c’è un film danese, uscito nel 2005 e diretto da Laurits Munch-Petersen. In secondo luogo, si tratta di un lavoro “su commissione”: Bay è subentrato a Navot Papushado e Aharon Keshales, che a loro volta avevano sostituito Philip Noyce. Dietro c’è dunque un progetto già definito, con coordinate precise, a cui Bay ha dovuto applicare il suo gusto per la grandeur, sposandolo però a una trama più asciutta da film di inseguimenti claustrofobico e high concept. Traduzione: non stupiamoci dell’abbondanza di elicotteri ed esplosioni nel trailer, ma si tratta di condimenti a una storia che guarda più a Speed che alle abituali produzioni di Bay.

Ambulance parte come un heist movie e si trasforma in una sfida su strada con il piede calcato fino in fondo sull’acceleratore. E non c’è dubbio che lo stile dinamico e ultra-spettacolare di Michael Bay non possa produrre risultati elettrizzanti in questo contesto, anche all’interno di un film che non nasce come “suo”. D’altro canto, già in 6 Underground abbiamo visto come Bay abbia fatto tesoro della bolgia visiva di Transformers, applicandola con successo agli inseguimenti automobilistici. Se il regista saprà evocare allo stesso tempo quel lato “umano” visto in Pain & Gain, Ambulance potrebbe essere allo stesso tempo estremamente famigliare e nuovo per i suoi standard.

Prima citavamo 6 Underground non a caso. Ryan Reynolds, da reginetta dei social qual è, durante la lavorazione del film Netflix postò questo video, che molti ricorderanno:

Reynolds lo fece a uso ridere, con l’ovvia gag del tizio che parla dei momenti di silenzio mentre dietro di lui le auto saltano per aria riprese da droni. Eppure, vedendo la scena, è impossibile non pensare a quel ragazzino che, un giorno, fece saltare in aria un treno giocattolo per gioire della distruzione. Oggi, però, nessuno chiama i pompieri e Michael non finisce in castigo. Oggi, lo pagano per mettere a rischio il patrimonio artistico italiano, o l’urbanistica di Los Angeles. E noi paghiamo per vederlo. Il mondo è un posto bellissimo.

La sinossi di Ambulance

Il decorato veterano Will Sharp (Yahya Abdul-Mateen II), alla disperata ricerca del denaro necessario per le cure mediche di sua moglie, chiede aiuto alla persona meno indicata – suo fratello adottivo Danny (Jake Gyllenhaal). Danny, criminale di lunga data e dal carattere carismatico, gli propone invece un colpo da 32 milioni di dollari: la più grande rapina in banca mai effettuata a Los Angeles. Con sua moglie in condizioni di salute critiche, Will non potrà che accettare l’offerta.
Quando, però, la loro fuga spettacolare va per il verso sbagliato, i due fratelli, in preda alla disperazione, sequestrano un’ambulanza con a bordo un poliziotto ferito che lotta tra la vita e la morte e l’esperto paramedico Cam Thompson (Eiza González). In un infinito inseguimento ad alta velocità, Will e Danny dovranno evitare tutte le forze dell’ordine messe in campo dalla città, mantenere in vita i loro ostaggi e cercare di non ammazzarsi a vicenda, il tutto mentre si danno alla fuga più folle a cui la città di Los Angeles abbia mai assistito.

Il cast

Ambulance è interpretato da Jake Gyllenhaal, Yahya Abdul-Mateen II, Eiza González e Garret Dillahunt. La sceneggiatura di Ambulance è di Chris Fedak (Prodigal Son, Chuck), ed è basata su soggetto e sceneggiatura originali del thriller danese Ambulancen (2005) di Laurits Munch-Petersen e Lars Andreas Pedersen. Il film arriverà nelle nostre sale il 23 marzo, distribuito da Universal.

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