Ci sono film che fanno da spartiacque nella storia della settima arte, altri che la cambiano, infine ci sono quelli che la storia la fanno, la cominciano, sono il primo capitolo di un libro lunghissimo, enorme, che forse non si sono neppure resi conto di aver cominciato.
Nosferatu il Vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau è uno di questi film, una pietra angolare della storia cinematografica che oggi compie 100 anni, e che ha cambiato completamente il rapporto fantasia e cinepresa, tra significato e significante. Ma soprattutto quel film, ha posto le basi per lo sviluppo di quel genere horror che ad oggi è uno dei più importanti e popolari per il grande pubblico e l’industria.
Eppure, Nosferatu il Vampiro è stato anche molto altro, è stato in primis un film simbolo di un’epoca, capace di farsi interprete di sogni e timori, ma soprattutto di predire il futuro sanguinoso del mondo.
Ancora oggi appare incredibile che celebrare la gloria di questo capolavoro significa bene o male anche portare in trionfo quello che a tutti gli effetti fu un plagio assolutamente evidente del “Dracula” di Bram Stoker, tanto che la stessa casa di produzione infine falli per la causa intentata dalla vedova.
Ma la realtà è che quel film molto doveva a Enrico Dieckmann e Albin Grau, fondatori della Prana Film, entrambi appassionati di mitologia e folklore dell’est Europa, in particolare delle creature della notte, in piena coerenza con quell’Espressionismo che allora trionfava in terra germanica.
Furono loro a chiedere a Henrik Galeen di scrivere una sceneggiatura che avesse al proprio centro il vampiro, figura che all’epoca era ancora incredibilmente presente nelle credenze popolari, nella superstizione che avvolgeva ancora una buona parte della civiltà slava.
Ma certo non potevano prevedere che Murnau, a fronte di un budget veramente risicato e di location non particolarmente complesse, sarebbe stato in grado di creare un film potentissimo, disturbante ma anche pieno di significati perfettamente connessi a quel periodo storico, sociale e culturale, ad un continente appena uscito dal grande massacro della Grande Guerra.
Fu lui a cambiare il finale, riscrivendo gran parte della sceneggiatura per creare una maggiore coerenza con il suo intento creativo, per riuscire a donarci la metafora di un mondo in cambiamento.
Nel farlo si connetté all’esoterismo, al concetto di sacrificio come atto purificatore, per la creazione di una speranza, per un futuro lontano da un’oscurità che però rimaneva la grande protagonista di quegli 84 minuti, passati quasi in sordina in una serata mondana berlinese alla moda, in quel paese che pareva voler far finta di essere di nuovo innocente.
Da molti punti di vista, infatti, Nosferatu il Vampiro era un film soprattutto sulla perdita dell’innocenza, sulle tenebre che avevano ormai avvolto un sogno perduto in modo irrimediabile, che un tempo era stato chiamato innocentemente Belle Époque.
La trama del film di Murnau ricalcava solo parzialmente quella del libro di Bram Stoker, la rendeva sicuramente più minimal, in funzione però di una messa in scena che per la prima volta portò probabilmente il cinema ad un altro livello di raffinatezza semantica.
Max Schreck, nei panni del demoniaco Conte Orlok, diventò nelle mani di Murnau lo scrigno per una mondo di significati incredibilmente complessi, su tutti una metafora di quella febbre spagnola che aveva sostanzialmente risvegliato l’atavico terrore causato dalla peste del XIV e soprattutto XVII secolo.
Nell’est Europa, la malattia oltre a falcidiare innumerevoli vittime, aveva risvegliato antiche superstizioni e terrori, innescato sovente cacce al vampiro o all’untore, un fanatismo pseudoreligioso con esiti letali soprattutto per le minoranze etniche. Di base era un film in cui l’antisemitismo regnava sovrano anche nella fisicità del vampiro, nelle sue movenze, nei simboli presenti ovunque nel film.
Nosferatu fu la rappresentazione di quel terrore, di quel folklore antico eppure ancora vivo, la dimensione mostruosa di un’epidemia che aveva confermato, come se la guerra non bastasse, quanto l’umanità fosse fragile, insicura e piena di paura.
Ma, ovviamente, non sbagliò chi immediatamente vi vide anche un ritratto fatto e finito della violenza, del sangue e del terrore che assediavano la neonata Repubblica di Weimar, creata sulle ceneri dell’impero Germanico, che di lì a poco sarebbe stata distrutta dal nazionalsocialismo.
A farlo sarebbe stato un vampiro assetato di sangue nato in quella Boemia, che era anch’essa come la Transilvania da sempre terra di vampiri e creature della notte.
Il conte Orlok, predatore alpha capace di cibarsi di ogni essere umano senza alcun pericolo, parve in un certo senso anche anticipare il credo hitleriano su una natura che decretava la sopravvivenza del più forte e del più spietato, ai danni del più debole.
Eppure, allo stesso tempo, era impossibile non provare anche una profonda pietà, quasi una empatia verso la mostruosa creatura, sconfitta infine dal sentimento istintivo verso una giovane donna, dai raggi di quel sole che lo avrebbero fatto ritornare ad essere pura fantasia, incubo per la mente più suggestionabili.
Murnau è stato indicato da molti come uno dei più influenti profeti del “Kammerspiel”, e quel film una sua rappresentazione di un tempo in cui la scienza, la tecnologia, non erano ancora così dominanti, in cui l’industrializzazione non aveva ancora creato quella sterilità tra esseri umani che lui cercava di sconfiggere con la sua arte.
Nosferatu il Vampiro bene o male era ambientato in un’epoca che potremmo definire di metà Ottocento, coerentemente con il suo legame con un mondo fatto di sogni, visioni e allucinazioni, era legato al concetto di arte come porta verso un mondo di passione, idealismo.
Vi era però anche la speranza per un futuro migliore in cui l’uomo tornasse protagonista, a perfetto contraltare di quel positivismo, di quella visione meccanica della vita e della società, che per molti era stata l’origine del disastro bellico.
In quei ruggenti anni Venti, gli artisti sarebbero stati i profeti di una riscoperta dello spirito umano, dei sentimenti, si sarebbero posti tramite la letteratura, la pittura, la stessa neonata settima arte, come esploratori della mente e dei sentimenti, complice il trionfo delle teorie di Freud e Jung.
Anche per questo, non è possibile non considerare questo film il più importante di sempre sui vampiri, anche solo per la dimensione sessuale connessa all’atto predatorio compiuto della mostruosa creatura.
Come non vedervi quasi uno sfogo per l’impossibilità della realizzazione di un sentimento che non gli apparteneva in quanto essere per metà animale, solo per l’altra metà umano?
La società stava cambiando, la considerazione che le donne avevano di se stesse e del proprio corpo pure, la sua rappresentazione. Ma soprattutto il sesso cominciava ad essere visto in modo completamente diverso. L’omosessualità avrebbe cominciato a mostrarsi in piena luce, anche al costo di finire come Orlok: incenerita.