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Halo, la serie TV: la recensione dei primi due episodi (no spoiler)

Pubblicato il 23 marzo 2022 di DocManhattan

Abbiamo visto i primi due episodi di Halo, la serie TV basata sull’omonima saga di videogiochi, che debutta domani negli USA su Paramount+ e, in contemporanea, da noi su Sky Atlantic e Now in versione originale sottotitolata (la versione doppiata arriverà il 28). Una serie nata sulle ceneri del film di Halo di Neill Blomkamp mai realizzato, e in sviluppo da almeno sei anni. Nove episodi, con Kyle Killen e Steven Kane come showrunner, per un viaggio in un 26° secolo incendiato dallo scontro tra gli umani, come i soldati della United Nations Space Command (UNSC), e l’alleanza di razze aliene chiamata Covenant.

CASCHI MALE

Alla vigilia si è discusso molto di un casco. Non un casco qualunque, ma uno dei più celebri della storia dei videogame: quello del supersoldato al centro della storia, John-117, meglio noto come Master Chief. Per la semplice ragione che il Master Chief dei giochi il suo casco non se l’è mai tolto, restando per oltre vent’anni (il primo Halo è uscito nel 2001 sulla prima Xbox) un eroe senza volto. Qui, nello show televisivo, sapevamo invece che la cosa sarebbe successa, perché era stato confermato da Kiki Wolfkill di 343 Industries, la software house che segue tutta la saga di Halo dall’addio di Bungie, oltre dieci anni fa.

Wolfkill ha dichiarato che in questa serie “si racconta una storia personale, e per farlo era necessario far vedere chi c’era sotto quel casco. Per tanti è un momento atteso da vent’anni, per altri è una cosa difficile da accettare. Rispettiamo entrambi i punti di vista, sia di chi vuol vedere la faccia di Master Chief e sia di chi non voleva farlo, ma per la natura della storia è importante mostrare il suo volto”.

Riassunto: per raccontare il personaggio, dobbiamo farvela vedere, la sua faccia. Un assunto di per sé non inconfutabile, visto che The Mandalorian ci ha mostrato come puoi far affezionare il pubblico a un personaggio senza mostrarne – quasi – mai il volto, e che al contrario The Book of Boba Fett ha confermato quanto il fascino di un tizio, quando è basato principalmente sul mistero della figura, evapora velocissimamente se lo guardi negli occhi per tutto il tempo.

Il problema è che qui, in Halo, il momento “ti mostro finalmente il suo volto anche se non me l’hai mai chiesto” non solo non si fa attendere particolarmente, ma non viene neanche costruito con sapienza come successo in The Mandalorian. A un certo punto del primo episodio di Halo, con una scusa narrativa deboluccia, che vorrebbe costruire del dramma ma non ci riesce, Master Chief se lo sfila. E per buona parte del secondo episodio va in giro senza. E al di là delle battutone facili sul naso importante di Pablo Schreiber, il punto è che ti accorgi subito che qualcosa si è rotto, lì, in quel frangente, tra te e il personaggio. La magia?

CAMBIO DI PIATTAFORMA

Ma al di là del benedetto casco. Allo spettatore è chiesto di digerire, nel volgere di mezzo episodio, un’inversione di marcia totale del nostro Capo-mastro. Un secondo prima è una macchina da morte insieme agli altri supersoldati programmati, indottrinati e potenziati chiamati Spartan (ce n’è una squadra intera, qua, e pure loro si sfilano il casco come motociclisti nel paddock. Nella foto qui sotto, una di loro, Kai-125); un secondo dopo, l’incontro con una figura a lui sconosciuta induce un cambiamento morale e lo spinge a prendere delle scelte drastiche.

La dinamica che si vuole creare, attraverso l’introduzione di un personaggio inedito nella saga come quello della ragazza – Kwan Ha Boo, interpretata da Yerin Ha – è proprio come quella che lega il Mandaloriano a Grogu: il supertizio e il soggetto indifeso. Per difendere il secondo, il primo va contro a delle cose in cui aveva sempre creduto. Su tutto questo si innestano varie altre storie, come i giochi di potere all’interno dell’UNSC, e il desiderio matto della dottoressa Catherine Elizabeth Halsey (Natascha McElhone) di lanciare il suo progetto Cortana; come la storia di alcuni insediamenti umani ribelli, o di una certa figura umana che vive con i Covenant, Makee, un altro personaggio nuovo.

Con qualche sprazzo di iperviolenza e una fugace scena di nudo, perché sul sentiero tracciato dalla HBO, a una certa, provano ad avventurarsi un po’ tutti.

ASSORBENTI SPAZIALI

Il tutto, finora, non presenta particolare mordente in termini di storia, per usare un eufemismone. Tanti degli elementi gettati nel calderone, come la colonia su Madrigal nel primo episodio o quel certo covo proiettato nello spazio del secondo, rimandano a mille film e serie TV. Certo, non è semplice creare una space opera e tanto meno allargare il campo partendo dal materiale della saga a cui ti ispiri, come si è cercato di fare qui. Ed è altrettanto vero che non si può giudicare una serie basandosi solo sui primi due episodi. Ché magari dal terzo decolla, chi te lo dice.

Ma quanto visto, per adesso, non brilla su nessun fronte.

La CGI zoppica nelle scene più impegnative, e pur essendo un prodotto su cui si è investito abbastanza, con un budget da 90 milioni di dollari, si passa da alcuni set più curati a poveracciate come l’avamposto ribelle o il laboratorio della UNSC. Quest’ultimo, complici i filtri adoperati e un taglio estremamente da serie TV anni 90, sembra il laboratorio di test di una pubblicità degli assorbenti. Da un momento all’altro, ti aspetti che la Dottoressa Halsey prenda a versare del liquido blu su un tessuto mostrando che non si lascia scappare nulla.

FAN-TASIA

Non è per ora una serie che definirei totalmente brutta, Halo, e il secondo episodio è leggermente migliore di quell’esercizio di personaggi scritti male che è il primo. Ma basta per una serie, con tutto quello che c’è lì fuori a litigarsi il nostro tempo e la nostra attenzione, su mille piattaforme, l’essere “guardabile”? Certo è che un prodotto del genere punta soprattutto al popolo dei videogiocatori, alla vasta platea che con Master Chief, in questi vent’anni, prima o dopo ha avuto a che fare. A chi non deve aspettare che gli spieghino cosa sono i Covenant e la tecnologia dei Precursori, perché lo sa giò.

Chi c’era al lancio della prima Xbox e chi ci gioca oggi con Halo Infinite, uscito lo scorso novembre. Non esattamente una nicchia, dato che Halo è popolare come pochi altri franchise videoludici.

E per loro, i fan – che poi vale a dire per quelli come me, che gli Halo li ho giocati tutti e c’ero quando è stato presentato in Europa – funziona? Ci sono dei tocchi simpatici, come il rumore degli scudi in esaurimento (e poi in ricarica) o il coro angelico del tema presi dai giochi. O il look praticamente perfetto delle navette G81 Condor, dei Warthog, delle corazze da Spartan e degli Elite, con le loro lame di energia e le quattro mandibole. Vedere omaggi, strizzate d’occhio e trasposizioni fedeli del materiale originale fa sorridere, e a suo modo è già un motore di nostalgia, perché vent’anni sono vent’anni, e si era tutti molto più giovani.

Se poi però questo basti o meno, a far piacere una serie “guardabile”, sta a ognuno deciderlo davanti al suo televisore. Per una volta senza pad, ma con in mano solo il telecomando.