Dalla Cina con furore: i 50 anni del film che lanciò l’icona Bruce Lee

Dalla Cina con furore: i 50 anni del film che lanciò l’icona Bruce Lee

Di Marco Triolo

Intorno al 1969/70, Bruce Lee tornò a Hong Kong. La futura icona del cinema di arti marziali aveva vissuto negli Stati Uniti per poco meno di un decennio, trovando successo in TV nella serie The Green Hornet, dove aveva interpretato la spalla dell’eroe, Kato. Un successo durato poco: The Green Hornet aveva chiuso i battenti dopo una sola stagione. Dopo anni di comparsate in TV e al cinema (le serie Ironside e Longstreet, il film L’investigatore Marlowe), e dopo la scoraggiante esperienza di Kung Fu (la serie con David Carradine che Lee ha sempre sostenuto di aver creato, nonostante Warner Bros. non l’avesse accreditato), l’attore tornò in patria su consiglio del produttore Fred Weintraub. L’idea era quella di costruirsi una carriera da leading man in Asia, prima di tornare e sventolarla davanti a produttori poco propensi ad affidare a un cinese ruoli da protagonista in USA.

Fu così che Bruce Lee firmò un contratto con Shaw Brothers Studio e Golden Harvest, dopo aver scoperto che The Green Hornet aveva avuto un ottimo successo dalle sue parti ed era stato soprannominato The Kato Show. Il suo primo film da protagonista fu The Big Boss, uscito da noi per secondo con il titolo Il furore della Cina colpisce ancora. Il 22 marzo 1972 esce dunque il film della consacrazione: Fist of Fury, alias Dalla Cina con furore. Il pubblico italiano avrebbe dovuto attendere circa un anno per poterlo vedere (1 marzo 1973), mentre in USA esordì il 9 settembre 1972. Il resto è storia del cinema di arti marziali: Dalla Cina con furore arrivò a incassare 100 milioni di dollari (circa 620 milioni di oggi, aggiustati secondo l’inflazione) a partire da un budget di 100 mila. Guadagnò dunque mille volte il suo budget.

La strada era spianata per la sua star, che, con il film successivo, L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, divenne anche sceneggiatore, produttore e regista. Con I 3 dell’Operazione Drago, Lee riuscì nell’intento che si era prefissato, ritornando a Hollywood da protagonista assoluto. Una carriera che prometteva grandi cose e che, purtroppo, venne stroncata dall’improvvisa morte della star il 20 luglio 1973, appena un giorno dopo l’uscita di Dalla Cina con furore in Gran Bretagna.

L’impatto di Bruce Lee sul cinema e la cultura pop è inestimabile: icona del 20° Secolo, Lee fu in grado di cambiare l’immagine delle persone asiatiche al cinema e in TV. Il suo Jeet Kune Do, uno stile marziale ibrido, è considerato un antesignano della moderna MMA. Nei pochi anni in cui fu attivo, Lee dimostrò di comprendere il cinema a livello istintivo. Diverse sue idee sono state sviluppate postume, dal film Messaggi da forze sconosciute alla recente serie Warrior. Lee aveva proprio un gusto per gli high concept e le idee che potevano risultare appetibili per i pubblici internazionali, e dunque anche al di fuori di Hong Kong e dell’Asia.

Dalla Cina con furore, diretto, come il precedente, da Lo Wei, contiene già molti di questi elementi, pur non essendo né scritto né diretto da Lee. Innanzitutto perché quest’ultimo non si limita a recitare: è anche il coreografo delle sue scene d’azione (affiancato da Han Ying-Chieh per le scene in cui non era coinvolto), e dunque appone il suo marchio all’opera. Lee non è nemmeno il produttore, ma litiga con Lo perché non condivide il suo stile di regia. Ha dunque già idee che metterà in pratica successivamente. Ma, anche togliendo tutto questo, dire che Bruce Lee è semplicemente il protagonista di Dalla Cina con furore sarebbe un eufemismo.

Lee è carisma allo stato puro, ha un’energia che pervade lo schermo e il modo in cui si muove davanti alla macchina da presa, dalla mimica allo stile di combattimento, è qualcosa di mai visto prima. Una rivoluzione, che passa sopra ai suoi evidenti limiti di attore per trasformarlo in un pioniere. È la differenza che intercorre tra cinema e teatro: in quest’ultimo la recitazione è centrale, al cinema serve quel qualcosa in più e, a volte, basta questo.

Il film prende spunto da un fatto realmente accaduto, la morte del venerabile maestro Huo Yuanjia, che qui è semplicemente la scintilla da cui scocca il plot di vendetta. Ed è anche la scusa per fare un discorso politico: la storia è ambientata nella Shanghai del 1910 (anche se la ricostruzione storica è spesso maldestra, con comparse vestite in maniera chiaramente moderna), soffocata dalle ingerenze straniere e dall’imperialismo giapponese. Chen Zhen è la Cina giovane che si riscatta con fierezza e coraggio, anche se, come vedremo, il discorso morale è un po’ più complesso di così.

Una cosa che risulta evidente rivedendo Dalla Cina con furore oggi è l’influenza che il cinema di Sergio Leone aveva già avuto sulla scena internazionale. I titoli di testa animati su una cavalcata dal sapore morriconiano ne sono una prova evidente, così come i dettagli truculenti inseriti qua e là, gli sprazzi di violenza, il sangue. I colpi hanno peso in questo film e i corpi ne risentono. Nonostante la storia sia fortemente archetipica, le coreografie di Bruce Lee cercano un certo realismo nell’improbabilità. La sospensione dell’incredulità fatta bene.

Il plot è una basilare storia di vendetta western, con l’allievo che vuole vendicare il maestro, eliminando fisicamente chi lo ha voluto morto, in un’escalation di scontri corpo a corpo fino al duello finale. Ma, così come nei film di Leone, è la messa in scena a fare la differenza, e l’iconicità di un protagonista che così non si era mai visto. La grande differenza sta nella morale finale: il film ci tiene a sottolineare come la violenza, anche se perpetrata per giuste cause, non sia mai la soluzione. Per questo Chen, dopo aver ottenuto la sua vendetta, si lancia verso la polizia e accetta armata il suo destino: la violenza non paga, ma almeno Chen muore con onore.

Il cinema, comunque, non lo avrebbe lasciato riposare in pace. Chen Zhen è infatti tornato ufficialmente due volte negli anni, interpretato da due delle più grandi star cinesi: Jet Li e Donnie Yen. Il primo ha interpretato l’eroe in Fist of Legend, un remake di Dalla Cina con furore uscito nel 1994. Il secondo è stato invece il protagonista di Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen, sequel in cui Chen, creduto morto, torna a Shanghai sotto falso nome. Jackie Chan, che in Dalla Cina con furore fa un cameo nel ruolo di uno degli studenti della scuola di arti marziali (e si prende un paio di calci di Bruce Lee come stuntman, tra cui quello che scaraventa Suzuki per aria), avrebbe interpretato, anni dopo, New Fist of Fury, sempre per la regia di Lo Wei.

Ricordiamo poi Bruce Li, clone di Lee protagonista di Fist of Fury II e III nei panni di un personaggio chiamato “Chen Shen”. Il nome Chen diventa talmente sinonimo di Bruce Lee che, in Italia, i protagonisti de Il furore della Cina colpisce ancora (Cheng Chao-an), L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente (Tang Lung) e L’ultimo combattimento di Chen (Billy Lo), vengono ribattezzati così. Ok, mettiamoci anche una dose di razzismo endemico alla base di questa decisione: tutti i cinesi sono uguali, tutti i cinesi si chiamano Chen (sentimento confermato dalla surreale parodia Ku Fu? Dalla Sicilia con furore, con Franco Franchi). Ma forse il punto è anche un po’ questo: in un’epoca in cui l’estremo Oriente al cinema era ancora materiale per costruire losche macchiette, villain trafficoni o spalle più o meno sagge, Bruce Lee cambiò le regole con i suoi personaggi sicuri di sé, forti e imbattibili, capaci di incutere terrore nei cuori degli avversari. Chen Zhen fu una tale icona da trovare successo anche in Giappone, nonostante l’evidente critica del colonialismo giapponese in Dalla Cina con furore, perché i giovani si identificavano in Chen e non nei villain giapponesi.

Nel breve tempo che gli fu concesso, Bruce Lee seppe lasciare un segno indelebile non solo nella storia del cinema, ma anche in quella delle relazioni etniche, contribuendo a lottare contro questa brutta cose che ci portiamo dietro ancora adesso, e che si chiama razzismo. E Dalla Cina con furore è la genesi di tutto questo, il punto di partenza della rivoluzione.

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