Pur avendo ampiamente dimostrato di saper “fare cinema” con elegante dinamismo, Joe Wright ha il teatro nelle vene. I suoi genitori fondarono a Islington il Little Angel Theatre, un teatro di marionette, e non è un caso che siano proprio delle marionette a occupare la prima inquadratura di Cyrano: un omaggio alle sue origini familiari che si unisce alla tradizione culturale della Sicilia, i cui meravigliosi palazzi abbracciano le vicende di Cyrano de Bergerac come quinte teatrali.
In effetti, la genesi del film è doppiamente teatrale. La sceneggiatura di Erica Schmidt è infatti basata sul musical da lei scritto e diretto, che trae ispirazione dalla commedia di Edmond Rostand. La trama in sostanza non cambia: Cyrano (Peter Dinklage) è il formidabile poeta e spadaccino innamorato di Roxane (Haley Bennett), ma non osa confessarle i suoi sentimenti perché inibito dal proprio aspetto fisico. Quando la ragazza perde la testa per il cadetto Christian (Kelvin Harrison), Cyrano si offre di scrivere per lui alcune straordinarie lettere d’amore, facendogli da suggeritore nel corteggiamento: in questo modo, potrà esternare i suoi sentimenti per interposta persona.
Dinklage, marito di Schmidt, ha interpretato anche il musical teatrale, che conserva l’essenza dell’opera di Rostand pur mutando la condizione del protagonista. Nelle mani dell’attore inglese, la storia di Cyrano diviene una materia estremamente personale che assottiglia il confine tra arte e vita, portando a un coinvolgimento ben maggiore rispetto a qualunque altro interprete del poeta spadaccino. Si nota dalla forza viscerale della sua performance, ma anche dalla sua abilità nel rendere l’insolenza, la guasconeria e la classe di Cyrano, personaggio che considera la vita come un palcoscenico su cui esibirsi.
La trasposizione in musical è quindi un passaggio naturale, per una storia del genere: i monologhi di Rostand diventano le splendide canzoni dei The National, che condensano le riflessioni dei protagonisti sui loro stati d’animo, sui loro rapporti, sul loro posto nel mondo. Joe Wright è bravo a esprimere la stratificazione dei sentimenti attraverso i piani dell’inquadratura, mettendo Cyrano in primo piano e gli altri personaggi – Roxane o Christian – in secondo: emerge così, anche nel linguaggio visivo (e non solo a parole), la differenza tra verità e menzogna, fra i desideri reali e quelli dichiarati. Una doppiezza che è anche una condanna, e che rende ancora più struggente il triangolo amoroso della storia.
Cyrano pizzica corde molto intime, soprattutto quando mette in scena la solitudine esistenziale del suo eroe, o quella dei soldati in guerra: livelli diversi di smarrimento che trovano sempre sfogo nel canto, forma privilegiata di autoanalisi per esorcizzare le passioni. Al contempo, però, Wright non dimentica di smascherare la finzione, anzi, la rende esplicita in coreografie stilizzate, dai movimenti quasi meccanici, come le pose da automi dei cadetti che si allenano a tirar di spada. Col suo animo teatrante, il regista inglese ribadisce che Cyrano è una vicenda di autori latenti e finzioni sovrapposte, dove ogni cosa è frutto di messinscena. A parte l’amore che guida la mano del poeta.