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Belle (Ryu to Sobakasu no Hime), la recensione del film di Mamoru Hosoda

Pubblicato il 28 marzo 2022 di Marlen Vazzoler

Non è stato facile riordinare le idee per scrivere questa recensione di Belle (Ryu to Sobakasu no Hime), settimo lungometraggio diretto da Mamoru Hosoda e il quarto animato dallo Studio Chizu.

Protagonista di questa storia è l’adolescente Suzu, una ragazza delle superiori che non è riuscita a superare la morte della madre, avvenuta di fronte ai suoi occhi mentre era ancora una bambina. Non solo questo trauma l’ha trasformata in una persona associale che non riesce nemmeno a interagire con il padre, ma le ha tolto l’unica cosa che potrebbe farla star meglio: il canto.

Fin da quando era pellicola Suzu ama la musica ed ha cominciato a comporre canzoni grazie all’insegnamento e al sostegno della madre. Il legame tra il canto e sua madre è così intrinseco che se prova a cantare si sente subito male, arrivando a vomitare.

Grazie alla sua migliore amica Suzu viene a conoscenza del mondo virtuale [U]. Fin dalle prime battute la voce narrante ci spiega in più occasioni che in questo mondo possiamo ricominciare la nostra vita. È così che Suzu crea Bell che in seguito assumerà il nome Belle, e per la prima volta dopo molti anni torna finalmente a cantare.

La rete

In questa pellicola il filmmaker giapponese torna a parlare di un tema a lui molto caro: la rete, già trattato nel corto Digimon Adventure: Our War Game! (2000) scritto da Reiko Yoshida e nel lungometraggio Summer Wars (2009) sceneggiato da Satoko Okudera.

Nelle precedenti opere Hosoda ha fornito un perfetto spaccato della società e del suo rapporto con la rete. In Our War Game persone sparse in tutto il mondo si connettono tramite la rete, in Summer Wars il focus viene spostato sulla piattaforma online OZ, dove gli utenti si connettono con dei completi estranei.

In Belle Hosoda riprende il mondo dei social, questa volta con la fittizia piattaforma [U] che può contare su 5 miliardi di utenti (il quintuplo rispetto a OZ), e tratta la crescente popolarità delle celebrità online. Per rappresentare la rete Hosoda riprende il mondo di Oz visto in Summer Wars e gli fornisce un connotato più moderno.

Come ben sappiamo e sottolinea Hiroka, l’amica della protagonista Suzu, lo status di celebrità deriva dalle opinioni contrastanti dei suoi utenti. E gli AS di Belle e del Drago, i due protagonisti, sono un valido esempio.

Inoltre il filmmaker punta l’attenzione su questo desiderio da parte degli utenti di scoprire le vere identità dei loro beniamini, che può avere anche conseguenze negative.

Un esperienza sensoriale

La visione al cinema di Belle amplifica l’esperienza sensoriale della pellicola, sia a livello visivo che uditivo. Questa volta Hosoda ha optato per un formato 21:9, invece dell’usuale 1.85:1, per massimizzare l’esperienza visiva del film, come possiamo vedere dalla scena di apertura.

Il filmmaker si è circondato di una squadra di incredibili talenti, a partire dal direttore dell’animazione Takaaki Yamashita che si è occupato delle animazioni del mondo virtuale, realizzate in CGI sotto la supervisione dei registi Ryo Horibe e Yohei Shimozawa; mentre Hiroyuki Aoyama ha realizzato quelle del mondo reale, in 2D.

Nelle opere precedenti Hosoda aveva usato la computer grafica per lo più per la realizzazione degli ambienti mentre in Belle per la prima volta la protagonista del suo film è realizzata in CG. La recitazione del personaggio, una delle note dolenti delle produzioni in CGI in Giappone, è molto curata anche se si può notare ancora una rigidità nei movimenti del modello. Ad esempio nella scena del dome i suoi movimenti continuano a non essere non così fluidi come nelle grandi produzioni americane.

A livello visivo anche in Summer Wars Hosoda aveva perseguito una strada simile: il mondo reale con un look fotorealistico e quello della rete più cartoonesco.  [U] presenta una struttura più confusa rispetto a quella ordinata di OZ ma anche più attuale.

Sebbene visivamente l’animazione di entrambi è ben curata, l’ambiente di [U] tende a risultare un po’ freddo e distaccato, e a volte questa distinzione porta alla distrazione.

I sentimenti a nudo

La colonna sonora realizzata da Taisei Iwasaki, il compositore principale, è uno degli elementi che ho più adorato di questo musical. Il processo di realizzazione delle canzoni è stato in effetti inusuale: l’idea dei testi è nata da Hosoda, poi sono stati riscritti da Kaho Nakamura, la doppiatrice originale di Suzu mentre Iwasaki li ha adattati alla musica.

Nonostante tutti questi passaggi, sono riusciti a creare una colonna sonora coinvolgente che non stanca mai, dal ritmo trascinante ma anche molto profonda.

Nel film l’anima di Suzu viene messa a nudo con delicatezza. In U trova il coraggio di confrontare i suoi sentimenti più intimi, spesso i testi affrontano temi inusuali come “Uta Yo” dove canta della gelosia verso il prossimo, oltre al dolore per la morte della madre.

A livello musicale il gruppo ha ottenuto l’apice con la canzone “A Million Miles Away“, ovvero “La-la-la”, che riesce a connettere Suzu e il mondo della rete, contribuendo all’idea di Hosoda di un mondo virtuale positivo.

Scrittura e Personaggi

Nei primi 25 minuti di Belle Hosoda ci presenta U, i personaggi secondari e mostra come una timida ragazza distrutta dal dolore della morte della madre, diventa un fenomeno musicale mondiale.

Con la sua filmografia Hosoda ci ha abituato a una narrazione in cui è solito inserire dei montaggi veloci per descrivere il rapporto tra alcuni personaggi o la storia del personaggio. In Belle alcune di queste sue scelte sono discutibili perché forniscono una descrizione confusa dello scorrere del tempo. Nel film la storia salta spesso di pala in frasca, a causa della presenza di troppe sotto-trame, che distraggono l’attenzione dai protagonisti principali.

Alcuni personaggi secondari sono per lo più accumunati dall’assenza di una vera e propria caratterizzazione, in particolare alcune figure maschili che dovrebbero essere importanti per la storia ma soprattutto per il terzo atto e lo sviluppo di Suzu. Sto parlando di Shinobu e del padre di Suzu, tanto che diventa ridicolo come alla fine Kamishin abbia una maggiore caratterizzazione di questi due personaggi con quella bellissima scena in stazione. In sette minuti osserviamo un’incredibile prova sia dal punto di vista di regia, animazione e performance dei doppiatori, ma non serve a nulla per il proseguo della storia. Quel tempo poteva essere dedicato allo sviluppo del rapporto tra Suzu e suo padre, o anche con Shinobu.

Hosoda ha dato un ruolo ben preciso a Shinobu, ma in realtà non riesce a metterlo in pratica. Il suo rapporto con Suzu avrebbe potuto essere usato come paragone tra quello tra il Drago e Belle, ma non abbiamo niente di tutto ciò. Shinobu diventa così un personaggio inutile. Il padre di Suzu è alla fine una sorta di macchietta, il suo legame con la figlia avrebbe meritato un maggior approfondimento.

L’omaggio alla Bella e la Bestia

Nell’impostare la trama il regista non usa come canovaccio La Bella e la Bestia, anche se riprende alcune scene chiave in una sequenza del film.

Il drago ricorda moltissimo la Bestia: anche lui vive in un castello dove qui crescono delle rose ‘magiche’, non conosciamo la sua vera identità ed è circondato da delle piccole AI che lo servono e proteggono.

Suzu viene subita colpita da questo misterioso avatar, riconosce che anche il Drago sta soffrendo, entrambi sono due anime tormentate e vuole aiutarlo.

Il parallelismo con il lungometraggio animato della Disney non viene usato per approfondire il legame tra i due personaggi, la loro dinamica non cambia. Il risultato non solo è insoddisfacente ma è bel lungi dall’avere lo stesso impatto dell’opera Disney sia a livello di storia che emotivamente.

Il terzo atto (spoiler)

Il personaggio che ha più risentito l’assenza di uno sviluppo, di una crescita, è il Drago ovvero Kei. Hosoda fa una scelta azzardata con lo sviluppare il protagonista maschile per la maggior parte nel terzo atto della pellicola.

E non riesce nemmeno a farlo, in quanto il personaggio è definito solo dagli abusi da lui subiti. In questo modo lo spettatore non può connettersi con lui. Il tema è molto delicato ed avrebbe meritato uno svolgimento maggiore, invece di spostare l’attenzione su altre sotto-trame.

La sequenza finale ha poi uno svolgimento totalmente assurdo  e alla fine non risolve nulla.

Conclusione

Ancora una volta Hosoda dimostra di non essere in grado di scrivere una sceneggiatura da solo, come era già successo in Mirai. Il filmmaker non riesce a traslare come vorrebbe le sue idee, e questo è un peccato perché Belle avrebbe potuto dire molto di più raccontando molto di meno.

Nonostante l’incredibile colonna sonora e la fantastica animazione, alla fine i momenti migliori del film non sono quelli della storia principale, ma i piccoli siparietti privati dei personaggi. Pensiamo al flashback sulla madre.

Se Hosoda fosse riuscito a scrivere una storia più contenuta, avrebbe creato l’opera che l’avrebbe incoronato come Autore.