Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando nel maggio del 1939 sul n. 27 della testata “Detective Comics”, Bob Kane e Bill Finger proponevano per la prima volta le avventure di un misterioso eroe, con un costume simile a quello di un pipistrello.
Nessuno all’epoca avrebbe potuto prevedere che Batman sarebbe diventato tra i più iconici personaggi non solo dei fumetti ma anche del cinema e della televisione, a tutti gli effetti un mito contemporaneo in grado di racchiudere in sé una miriade di significati, simboli e ideali.
Ad oggi è un ponte tra il concetto di supereroe e superuomo classicamente inteso e quello di antieroe oscuro, combattente dilaniato, eppure in grado di ergersi al di sopra di tutto e tutti.
Ora sono Matt Reeves e Robert Pattinson, in un cinecomic atipico, rivoluzionario e fascinoso, ad aggiungere un altro tassello a come il grande e piccolo schermo ci hanno descritto Batman. Ma di certo non sono stati i primi.
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A voler tratteggiare una storia dei diversi volti, attori e versioni di Bruce Wayne/Batman, ed escludendo le più trascurabili o meno significative, occorre sicuramente dire che non tutti hanno avuto successo anche per come le case di produzione cinematografiche si sono sovente dimostrate miopi.
Adam West è ancora oggi un mito grazie alla serie tv degli anni ’60, un mix comico, colorato e grottesco, kitsch all’inverosimile, che infine arrivò anche sul grande schermo. Visto con gli occhi di oggi, per come sono state le declinazioni successive, può apparire qualcosa di assolutamente poco potabile, ma la realtà è che in fin dei conti, West fu capace in un certo senso di ricordarci come il target primario del personaggio fossero i bambini, gli adolescenti, come forse non bisognasse poi prendere troppo sul serio questo mondo fatto di uomini vestiti in calzamaglia.
Sicuramente un risultato migliore di quelli ottenuti prima di lui da Robert Lowery e Lewis G. Wilson, e la sua iconicità lo rese un totem inattaccabile fino all’arrivo di Michael Keaton.
I due Batman di Tim Burton, ancora oggi sono indicati tra i più grandi cinecomic di tutti i tempi e di certo lui, attore tutt’altro che fisicamente tagliato per il ruolo, ha saputo donarci soprattutto la dimensione più inaccessibile di Batman/Bruce Wayne, la perfetta sincronia tra due lati di una stessa maschera che in realtà non esiste ma che vive alla luce del sole.
Pur dovendo sacrificare qualcosa alle interpretazioni mitiche di Jack Nicholson, Danny de Vito e Michelle Pfeiffer, Keaton ci donò un Batman fantastico, proprio perché mix riuscitissimo di rabbia, fragilità e forza.
La sua mascella squadrata diventò un simbolo di un uomo dilaniato internamente ma comunque capace di andare avanti nella sua crociata contro il crimine. Il suo Batman era fatto di teatralità, di gadget e mezzi incredibili, ma soprattutto di una volontà ferrea, inarrestabile, che però non ne compromise il lato più umano ed idealista. In diversi momenti, emergeva anche una profonda autoironia e capacità di andare oltre le sue stesse regole quando serviva.
Sui falliti tentativi da parte di Schumacher, sicuramente meglio passare oltre, si è scritto e detto tantissimo, ma è fuor di dubbio che Val Kilmer e George Clooney siano stati in realtà i meno colpevoli per ciò che la Warner chiese: un prodotto in realtà fedelmente connesso a quelli che erano i fumetti di Batman in quegli anni ’90, non a caso indicati da tutti come forse il decennio più terribile della storia dei comics in generale.
Per fortuna che in quegli stessi anni ci pensava una straordinaria serie animata a donarci da certi punti di vista, forse il miglior Batman di tutti i tempi, che di certo fornì una matrice non indifferente per Christopher Nolan, per quella sua trilogia diventata mito cinematografico, la perfetta evoluzione del concetto di cinema autoriale applicato ad un prodotto mainstream.
Christian Bale si legò ad un iter narrativo connesso all’intera esistenza di Bruce Wayne, alla nascita della sua crociata contro il crimine, all’evoluzione di un giustiziere mascherato sicuramente meno Invincibile di quello di Keaton è molto più accessibile anche umanamente. Con lui avemmo un eroe chiamato di volta in volta misurarsi con difficoltà, pericoli e avversari terribili, ma capace sempre di rialzarsi.
Il tratto distintivo del Batman/Bruce Wayne di Christian Bale è il contrasto, il dubbio su quale sia la sua vera identità e il suo vero percorso. Meno charmant e accattivante di Keaton come Bruce Wayne, fu però sicuramente molto efficace nel farsi comprendere la sua opera di dissimulazione, il peso della doppia identità, la solitudine e il dramma connesso all’impossibilità di avere quella vita “normale” che il fido Alfred da sempre sogna per lui. Nolan ci guidò con sguardo quasi scientifico nella costruzione del mito, nell’evoluzione delle sue tecniche e tattiche, del suo storytelling atto a utilizzare la paura per sconfiggere la paura. Bale d’altro canto, fu bravissimo nell’evitare il rischio di renderlo eccessivamente sicuro di sé stesso, gigione o invincibile.
Il confronto con lo straordinario Joker di Heath Ledger, gli permise anche di diventare simbolo di empatia, di fiducia nelle persone, qualcosa che spesso nella sua storia editoriale il protettore di Gotham City non aveva avuto dentro di sé.
Nel 2014, la serie Gotham ci guidò dentro i primi anni di Bruce Wayne, di cui David Mazouz rese palpabile la dimensione di orfano pieno di paura, incertezza e dolore, quanto fosse profondo il rapporto Alfred.
Almeno fino a un certo punto si è trattato di una serie incredibilmente innovativa, soprattutto utile per farci capire come un ragazzo solo, disperato, invece di lasciarsi affondare è riuscito ad abbracciare una dimensione di eccellenza ma soprattutto di altruismo, votandosi alla difesa dei più bisognosi.
La sua immagine speculare ci sarebbe arrivata nel 2018 da Titans, con Iain Glen, un Bruce Wayne oltre la mezza età, ma ancora incredibilmente combattivo, astuto e carismatico, armato soprattutto di un intelligenza affilata come una lama di rasoio.
Sul grande schermo intanto, il pubblico si divideva sull’operato di Ben Affleck, su quello che si può definire tranquillamente il Batman più vicino all’ideale di Frank Miller di sempre.
Pur non tralasciando le sue qualità deduttive, Zack Snyder lo rese un essere spezzato, animato da una rabbia totalizzante e a tratti da un cinismo che solo con fatica avrebbe domato.
Quello di Affleck è stato il Batman più possente, pauroso e violento, una macchina distruttrice che fece apparire Bale o Keaton quasi inoffensivi dal punto di vista fisico.
Ancora oggi è sicuramente giusto chiedersi che cosa avrebbe potuto fare Ben Affleck anche in qualità di regista, se la Warner gli avesse fornito la possibilità, di certo avrebbe reso forse ancora più singolare quello che ha fatto Pattinson in questo nuovo film.
Questo nuovo Batman spinge in modo completo la dimensione di Bruce Wayne, facendoci comprendere perfettamente come solo con addosso quella maschera, egli sia veramente libero. Sicuramente meno potente e terrificante nella sua fisicità, è però grazie a Pattinson soprattutto un geniale detective, un crociato da un codice morale inflessibile, a volte alienato e sicuramente distante dall’uomo di mondo e playboy con cui si nasconde in mezzo agli altri in passato.
Difficile dire se avremo un sequel, ma di certo Robert Pattinson ci ha ricordato perché adoriamo questo personaggio: vi è tutta la nostra contraddizione e il non detto che si palesa su quella maschera.