Arma letale, 35 anni dopo, non è ancora troppo vecchio per queste s*****ate

Arma letale, 35 anni dopo, non è ancora troppo vecchio per queste s*****ate

Di Marco Triolo

Avete presente “i classici”? Una parolona che spesso ci tiene distanti, un po’ per riverenza, un po’ perché magari ci associamo film di tre ore e mezza in bianco e nero, interpretati da compassati gentlemen inglesi e ambientati in un giardino ben curato. Per chi è cresciuto negli anni ’80, effettivamente un “classico” poteva avere questo aspetto (è una generalizzazione, non fatevi scoraggiare), ma per chi nel 1987, anno di uscita di Arma letale, non era ancora nato, scoprire oggi il film di Richard Donner, un classico a tutti gli effetti, potrebbe essere una bella sorpresa, soprattutto se magari conosce la serie televisiva.

Sono passati 35 anni da quel 6 marzo 1987, quando Arma letale vide la luce, o meglio il buio della sala, in America. 35 anni durante i quali ne sono successe un po’ di tutti i colori: lo sceneggiatore Shane Black ha scritto altri film praticamente identici, tutti bellissimi, e ne ha persino diretti due (Kiss Kiss Bang Bang e The Nice Guys). Il regista Richard Donner, che all’epoca aveva già diretto Il presagio, Superman, Ladyhawke e I Goonies, ha diretto altri tre capitoli della saga prima di salutarci, purtroppo, lo scorso luglio, lasciandone un quinto forse a Mel Gibson. Quest’ultimo ha consumato una relazione di amore/odio con Hollywood, tra dichiarazioni discutibili, scoppi d’ira e Oscar a profusione per Braveheart; oggi sta tentando di rimettere insieme i pezzi di una carriera che, forse, non tornerà mai più come prima. E poi c’è lui, Danny Glover, classe infinita, che lavora a testa bassa e senza strafare, ma lavora.

35 anni durante i quali il culto di Arma letale si è cementato, anche grazie a una saga di enorme successo che, se fosse dipeso da Shane Black, si sarebbe arrestata al secondo capitolo con la morte dell’eroe Martin Riggs. Dalla sua uscita di scena durante la lavorazione di Arma letale 2, Black ha proseguito per la sua strada. Il franchise da lui creato, invece, pur mantenendo il suo carisma e tutti gli elementi che hanno fatto la fortuna del primo capitolo, ha decisamente sterzato verso la commedia famigliare, abbandonando gli aspetti più crudi e spigolosi del capostipite. Un cambiamento che è parecchio evidente, a rivedere oggi il film.

Perché Arma letale è un film violentissimo, sia graficamente che verbalmente. Appartiene a un’era in cui non si andava tanto per il sottile: le battute sui gay non erano tabù, la polizia poteva oltrepassare la legge in quanto il fine giustificava sempre i mezzi, l’action era un club maschile fatto di uomini veri, ruvidi, traumatizzati ma in fondo eroici e vinceva chi centrava più bersagli e menava meglio. Arma letale è, in soldoni, la quintessenza del poliziesco hollywoodiano sopra le righe e totalmente improbabile, con buona pace di Shane Black, che vedeva i suoi protagonisti come poliziotti comuni, “alla ricerca di qualcosa di nobile come la giustizia, quando sono solamente dei tizi in completi sbiaditi in cerca di una paga”. Quel genere di film che Last Action Hero (scritto anche da Black) avrebbe voluto prendere per i fondelli prima di perdersi negli eccessi del suo budget.

Quasi nulla in Arma letale è plausibile: Riggs e Murtaugh violano ogni possibile codice di condotta, fanno stragi, causano stragi, sfiorano stragi per miracolo, risolvono un caso pericolosissimo senza mai chiedere i rinforzi anche quando va sul personale, ovvero quando i cattivi rapiscono la figlia di Roger. Più che un’indagine, Arma letale racconta una vendetta personale, fregandosene della credibilità pur di mettere in scena situazioni tesissime e azione frastornante a ritmo frenetico. Sacrifica qualunque cosa in favore della FIGATA, in sostanza. E funziona. Funziona come funziona il cinema quando ci si crede, quando dietro un’opera ci sono dei narratori abili che sanno prenderti per mano e condurti dove vogliono loro, mostrandoti solo quello che interessa loro. È la sempiterna lezione di Steven Spielberg e Lo squalo: quando alla fine Roy Scheider fa saltare in aria la bestia sparando a una bombola di ossigeno, tu ci credi, perché ti fidi di chi ti ha portato fin lì. Lo stesso vale per Arma letale: quando Roger fredda l’autista del Generale con un colpo in testa dalla distanza, mandando il cattivo a schiantarsi contro un bus pieno di gente, o quando Martin si picchia per cinque minuti buoni con Joshua (un Gary Busey troppo spesso ignorato) sotto gli occhi dell’intero dipartimento di polizia di Los Angeles senza che nessuno muova un muscolo, o quantomeno metta in discussione questa palese violazione del protocollo, tutto funziona. Perché ce lo dicono Richard Donner e Shane Black, e chi siamo noi per mettere in discussione due che ci hanno fatto divertire come dei pazzi in quel modo?

Quella di Arma letale è anche la sceneggiatura perfetta, scritta da un autore al top della forma. Intrisa di humour nero e dell’odore di sigaretta e asfalto che pervade il genere hard boiled, è un racconto costruito su una dinamica semplice eppure universale, e su un’indagine che al contrario si fa via via più complessa, con al centro la classica cospirazione alla Shane Black, mutuata sempre dai noir che tanto ama. Lo script si potrebbe studiare in una scuola di cinema per come segue perfettamente le regole hollywoodiane pur rimanendo sempre fresco ed elettrizzante: in meno di due ore, Black è capace di presentarci due personaggi, descrivere i loro archi caratteriali complementari, portarli a compimento e lasciarci, infine, con due nuovi amici che conosciamo benissimo. La regia di un veterano come Richard Donner sa mettere tutto questo in luce con scene di enorme impatto, sia quando si tratta di andare all in con lo spettacolo, sia nei momenti intimi. Vedere il tentato suicidio di Riggs, ancora oggi un momento di tensione elevatissima, giocato tutto sul primo piano e l’espressività di Mel Gibson, che qui dà lezioni di divismo con la nonchalance di chi è nato per fare questo mestiere (e ci mette l’impegno delle grandi occasioni: è davvero lui a lanciarsi nel vuoto nella scena del suicida).

Ma Arma letale è anche, in parte, una riflessione sull’America di quegli anni, sui traumi che si portava dietro dal decennio precedente. Tutti i personaggi principali, da entrambe le parti della legge, hanno servito in Vietnam e sono rimasti in qualche modo segnati dall’esperienza. La guerra del Vietnam è come uno spettro che aleggia su tutti, un passato comune che ha cambiato le persone in modi diversi. Ma è solo abbracciando quel passato che, finalmente, Riggs e Murtaugh riescono a trovare un terreno comune. Riggs capisce di non essere solamente un killer e che nella vita ci può essere altro al di là della sopravvivenza: una struttura, una famiglia, degli affetti, delle ragioni per cui tornare a lottare dopo la morte della moglie. Murtaugh, che invece al Vietnam non aveva più pensato da oltre dieci anni, è costretto ad accettare il passato, con tutti i suoi lati oscuri, per esorcizzarlo insieme al collega.

Arma letale è indubbiamente un film dei suoi tempi: alcuni aspetti sono invecchiati, come la scarsa sensibilità con cui si accenna al razzismo sistemico della polizia, o il modo in cui la procedura è allegramente stracciata in favore di una giustizia da frontiera (e, non a caso, Black vedeva il film come un western urbano), vista come l’unico rimedio contro i mali della società. Non stupisce che, parlando di un ipotetico quinto film, Danny Glover abbia tirato in ballo il movimento Black Lives Matter: riproporre Arma letale così com’è oggi sarebbe impossibile e forse non è auspicabile. Meglio guardarsi avanti, con la consapevolezza di poter sempre tornare a un grande classico, che dimostra come, con i personaggi giusti, gli attori giusti e i creativi giusti, le asperità possano passare in secondo piano rispetto al puro godimento che regala il grande cinema.

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