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Anche il sesto episodio di The Book of Boba Fett è scivolato via, e – come il precedente – si è rivelato tra le cose migliori di questa serie. Denso di sorprese e collegamenti, tra cui l’apparizione di una nostra vecchia conoscenza nel finale, e più in generale con una trama centralissima per l’intera saga di Star Wars, più che per le vicende di Boba Fett e la sua maldestra run da boss criminale. Ma prima di iniziare, ovviamente, piantiamo sulla sabbia di Tatooine un bel cartello SPOILER ALERT. Proseguite nella lettura solo dopo aver visto l’episodio.
Il segreto, anche questa volta, è stato far accomodare Boba Fett in panchina per la quasi totalità dell’episodio. Un episodio diretto da Dave Filoni e scritto da quest’ultimo e da Jon Favreau, i due uomini a cui i fan di Star Wars vorrebbero tanto venisse affidata tutta la baracca per il dopo-Kennedy. E loro hanno fatto quello che in questi anni gli è riuscito meglio: confezionare una storia di… The Mandalorian zeppa di riferimenti alle avventure di Grogu e Din Djarin, con il ritorno in pista di Ahsoka Tano e dello sceriffo Cobb Vanth di Timothy Olyphant. E ricollegare il tutto all’epopea degli Skywalker, con la costruzione dell’accademia per jedi di Luke. Non è una serie su Mando, eppure ci sono stati un episodio e tre quarti dedicati a lui? Meglio (ma ci torniamo tra un attimo).
E nel fare tutto questo, Filoni e Favreau hanno infilato nel racconto della guerra in procinto di esplodere, tra Boba e il Sindacato (livello di interesse medio del fan: 5, diciamo), uno struggente cortometraggio capace di ridurre in ginocchio qualsiasi appassionato della saga di Lucas (livello di interesse medio: ti amo 3.000).
Perché, dai, è semplicemente impossibile. Non si può resistere alla doppietta feroce formata dalla kawaii-tudine puccettosa di Grogu che si addestra nell’uso della Forza e dalla malinconia che induce la visione – ancora una volta – di un Luke Skywalker di nuovo giovane. Peraltro più credibile di tanti de-aging con l’oil of olaz digitale visti al cinema, va detto.
Lui, l’ex allievo ora diventato maestro, che spiega al baby Yoda quello che ha appreso dallo Yoda vero. Con lo zainetto, i saltelli e tutto il resto. Si getta un ponte tra la trilogia originale e la vituperata trilogia prequel, e nel farlo si mostra la Purga Jedi della trilogia sequel e si ribadisce quanto – ovvio – Luke resti sempre la figura centrale. Manca poco che i silenzi di R2-D2 vengano colmati dalla voce fuori campo di Filoni e Favreau che ti dicono: “Star Wars è tutto questo, baby. Tutto intero”. Fare o non fare, non solo non c’è provare, ma neanche selezionare.
Fan service? Certo. Ma detto di una serie legata a Star Wars fa quanto meno sorridere. Pensavate, qualche anno fa, che avreste mai visto una storia live action di Star Wars a cadenza settimanale in TV e, se sì, che avrebbero tirato fuori un episodio DEL GENERE? Non esattamente costato due lire, e con un Luke Skywalker in CGI che spiega il senso della vita a un adorabile sgorbietto mangiarane? Io no.
Peccato che nel “tutto questo, tutto intero” di cui sopra finisca quel breve recap di perché, finora, Boba Fett è scivolato ai margini del progetto. Come si dice quando sei un calciatore più scarso del previsto e non ti fanno andare manco in panchina. Sono bastati quei due minuti appena incentrati su quello che sarebbe pur sempre il protagonista eponimo della serie, Boba Fett, per ricordarci cos’è che non ha funzionato nei primi episodi. Anche meno, in realtà: sono sufficienti quei due secondi in cui hanno inquadrato la banda di temibili ragazzini cyborg scappati da un cartone animato USA dei primi anni Novanta.
Drash, Skad e il resto della banda, che se vuoi essere dei nostri devi fare domanda. Ben più fuori dei territori dell’Orlo Esterno: fuori da ogni logica.
A sfoltire il cast ci hanno pensato le mosse dei Pyke, certo. Il sindacato ha fatto esplodere il locale di Jennifer Beals, senza che avesse neanche il tempo di un accenno di ballo sulle note di Maniac (il suo personaggio si chiamava Garsa Fwip: tremendo nomen omen, eh?), e mandato a minacciare lo sceriffo Cobb. Quest’ultimo steso, insieme al suo vice pasticcione che è passato a miglior vita, della pistola di Cad Bane. Al termine di un ping pong di sguardi e “inquadrature alla Sergio Leone”, che ricorda a tutti come The Mandalorian sia uno spaghetti western dello spazio, e The Book of Boba Fett, quando lascia campo ai personaggi della serie madre, inevitabilmente pure.
Non si sgarra con la regola della pistola di Chekhov, no.
Per chi fosse a digiuno dei cartoon su Star Wars, il pistolero dalla pelle blu e dagli occhi ben oltre le possibilità di un collirio, Cad Bane, è un duro, sì. Ma più che altro un Duros: gli alieni con il volto da marziani vintage che vengono dal pianeta Duro. Si tratta di un cacciatore di taglie divenuto famigerato durante la Guerra dei Cloni. Si è scontrato con Obi-Wan Kenobi e Anakin Skywalker, e ha lavorato per conto di Jabba the Hutt e Darth Sidious. Come Ahsoka Tano, Cad Bane è un personaggio che Dave Filoni ha rispescato dalla serie animata Star Wars: The Clone Wars, ed è apparso anche in Star Wars: The Bad Batch e in una serie a fumetti Marvel di qualche anno fa su Darth Maul.
La cosa buffa – che verrà molto probabilmente menzionata nello scontro con Boba, nel prossimo episodio – è che il mentore di Cad Bane a inizio carriera è stato Jango Fett, il “padre” di Boba…