Dire Oscar vuol dire dover fare i conti con una cerimonia che nel corso dei decenni è cambiata tantissimo, per ritualità, per composizione e durata, per lo spirito che vi alberga e naturalmente per il suo rapporto con il pubblico. Negli ultimi anni però sembra aver perso parzialmente fascino nella sua essenza di maratona televisiva secondo alcuni. La consegna dei premi cinematografici più importanti del pianeta ai protagonisti della “Fabbrica dei sogni”, dopo la debacle registrata l’anno scorso, ha portato a modifiche che però sono apparse davvero insensate ed ineleganti. La cura pare essere molto peggio della malattia. Una malattia che però non è nata certo oggi…
In queste ore l’Academy è in gravissimo imbarazzo, a causa delle modifiche studiate dall’entourage produttivo insieme alla ABC, la rete che trasmette la cerimonia in tutto il mondo.
Quasi sempre la cerimonia è stata un grandissimo successo, un grande momento capace di portare l’essenza della settima arte ad ogni livello, di mostrare al mondo le eccellenze, i grandi protagonisti, di creare suspense soprattutto.
In molte edizioni gli Oscar hanno sovente sovvertito i pronostici, innescato polemiche, oppure hanno visto il dominio incontrastato di pochissimi film indicati come evento cinematografico dell’anno e non solo.
Naturalmente hanno da sempre un contorno glamour e gossip di grande richiamo, in cui la sfilata iniziale è ancora oggi uno dei momenti più attesi e significativi.
Da diversi anni è in atto però una trasformazione all’interno dell’Academy e soprattutto dell’Industria cinematografica di massa, in virtù della quale a molti sembra che che la meritocrazia sia passata in secondo piano.
Ammesso che veramente essa abbia mai contato calcolando che uomini come Stanley Kubrick, Alfred Hitchcock, Pedro Almodovar, Ian MacKellen la statuetta dorata non l’hanno mai avuta.
Tuttavia a molti sembra che il nuovo corso, che ha previsto anche quote inclusive e candidature molto poco meritocratiche, abbia reso l’Academy sostanzialmente una cerimonia spenta e meccanica.
Forse la libertà artistica ma soprattutto la capacità di riconoscere la qualità di opere ed interpretazioni è stata messa da parte, in favore di un plauso universale prefigurato. Il tutto a sottolineare un sostanziale asservimento al “mood” del momento, all’opinione del pubblico o supposto tale, visto che poi in realtà più che di cinema, pare di assistere in modo plateale a un marketing per eventi.
Forse l’errore fondamentale è stato quello di credere che l’edizione degli Oscar dell’anno scorso non fosse minimamente influenzata dell’atmosfera fredda e per certi versi anche assurda connessa al Covid.
Tutto appariva per certi versi anche fuori luogo da certi punti di vista, data la situazione drammatica in cui versavano moltissimi paesi, ivi compresi gli Stati Uniti in particolare. Di certo vedere tante star libere di stare vicine senza mascherina o distanziamento non è che proprio attirasse grandi simpatie, anche considerando la terribile congiuntura economica che ha aumentato la conflittualità sociale ed economica anche al di là dell’Oceano.
Una serata per privilegiati? Appare puerile forse ma è una sensazione che è stata avvertita.
Per correre ai ripari ed evitare un altro tracollo di share, invece di cercare di rinnovare la struttura rendendola più appetibile al pubblico internazionale, meno americanocentrica, si è pensato semplicemente di creare una specie di copia del Super Bowl.
Come? Mettendo completamente da parte tutta una serie di riconoscimenti. In ordine, non verranno compresi nella premiazione: Miglior Montaggio, Miglior Suono, Miglior Colonna Sonora, Miglior Trucco e Acconciature, Miglior Cortometraggio, Miglior Cortometraggio Documentario, Miglior Scenografia e Miglior Cortometraggio di Animazione.
La consegna dei premi avverrà prima della cerimonia, 40 minuti per l’esattezza, verrà registrata e sarà senza pubblico o quasi, per essere trasmessa soltanto alla fine, quando si prevede che tutti o quasi avranno cambiato canale e soprattutto non ci sarà più il pubblico in sala.
Qualcosa di svilente, umiliante ed offensivo per la dignità dei professionisti coinvolti, per l’industria in generale ma soprattutto per l’onorabilità di uomini e donne che sono una parte fondamentale storicamente dell’Industria cinematografica. La risposta naturalmente non ha tardato a farsi attendere e paradossalmente riguarda non solo i professionisti del cinema ma anche il pubblico.
Mettere in lista la scenografia tra gli “epurati” è apparso veramente assurdo, ma mai come le colonne sonore, da sempre uno degli elementi più interessanti e amati dal grande pubblico.
Ebbene una delle prime conseguenze è che i 5 compositori in lizza per aggiudicarsi la statuetta, hanno già annunciato che se la scaletta verrà confermata, per prediligere show musicali e intermezzi comici a discapito della loro presenza, non si presenteranno.
Si tratta di Nicholas Britell (Don’t Look Up), Germaine Franco (Encanto), Jonny Greenwood (Il potere del cane), Alberto Iglesias (Madres Paralelas) e Hans Zimmer (Dune). A questo autogol, potrebbe seguire l’ancora più disastroso boicottaggio da parte dei cinque registi finalisti, che per solidarietà con i loro collaboratori e colleghi, potrebbero anche essi dare forfait.
Fatto ancora più sorprendente, anche parte del pubblico pare non aver gradito la sorpresa, studiata soprattutto per lisciare il pelo agli under 30-under 25, lo stesso tipo di pubblico che garantisce i maggiori incassi e per i quali è stato studiato anche l’Oscar a film più popolare e amato.
Si pensava di fare un favore alla Marvel ed il suo Spider-Man, invece le ultime notizie danno in vantaggio l’orrendo Cenerentola con protagonista Camila Cabello. Che ironia, non trovate? A forza di pensare che il pubblico vada sempre corteggiato, alla fine forse all’Academy si sono accorti di un principio semplice e incredibilmente banale: il pubblico non è un’entità unica e universale, è fatto da più correnti, che a volte condividono a volte invece non condividono opinioni e gusti.
Pensare di rincorrere e lisciare il pelo a questa nebulosa, è da sempre qualcosa di assolutamente sbagliato, controproducente. Vale sia per il nuovo corso del politically correct, sia per l’aver pensato che tutto debba essere uno show da Yankee Stadium.
L’industria non può fare a meno del pubblico? Neppure degli addetti lavori, di chi ci lavora e che vede il proprio spazio, la propria posizione e rispettabilità, trasformate in un elemento trascurabile in modo umiliante. E nell’epoca della comunicazione, creare empatia verso questo tipo di emarginazione è forse uno degli errori più clamorosi degli ultimi anni.