Judi Dench e Kenneth Branagh ricordano bene quando lavorarono insieme a un adattamento televisivo di Spettri, il capolavoro di Ibsen, e furono cacciati dallo studio perché ridevano troppo. «Quello sigillò il nostro rapporto» ha raccontato la grande attrice nel talk show di Seth Myers, tracciando le origini di una collaborazione che dura da 35 anni. Solo sul grande schermo, Branagh si è avvalso di Judi Dench in almeno sei film come regista, da Enrico V a Belfast, in arrivo il 24 febbraio nelle sale italiane. Un coinvolgimento ancora più intimo, stavolta, perché Dench presta il volto alla nonna di Branagh in un film ispirato alla sua infanzia nella capitale nordirlandese, durante i “disordini” del 1969.
Ovviamente la carriera dell’attrice inglese, nata a Heworth nel 1934, copre lo spettro di tutto il cinema britannico degli ultimi decenni. La sua classe e il suo aspetto altero l’hanno portata spesso a interpretare personaggi autoritari, ma Dench ha dimostrato anche di sapersi sciogliere in ruoli più dolci e ingenui, dai quali traspare tutta l’ampiezza della sua gamma espressiva. Non c’è da stupirsi che già nel 1988 sia stata riconosciuta come Dama di Commenda dell’Ordine dell’Impero Britannico, senza contare gli innumerevoli premi cinematografici e teatrali: tra gli altri, si ricordano undici BAFTA, otto Olivier Award, due Screen Actors Guild Award, due Golden Globe, un Tony Award e un Academy Award, quest’ultimo grazie alla sua breve apparizione in Shakespeare in Love come Regina Elisabetta I. Solo otto minuti sullo schermo, ma sufficienti per tributare l’Oscar a un’interprete del suo calibro.
Come molti attori britannici, Judi Dench si forma nel teatro e nei drammi shakespeariani. Anzi, ne viene proprio allevata: suo padre Reginald Arthur Dench è un medico di famiglia che pratica anche per il York Theatre Royal, mentre sua madre Eleanora Olive lavora nel medesimo teatro come guardarobiera. Gli attori passano spesso da casa loro, coinvolgendo la piccola Judi in quel mondo straordinario che diverrà presto anche suo. Viene infatti ammessa alla Central School of Speech and Drama di Londra, frequentata in precedenza da suo fratello Jeff, e studia al fianco di un’altra attrice leggendaria come Vanessa Redgrave.
Dopo il diploma, debutta professionalmente sul palcoscenico con la compagnia dell’Old Vic presso il Royal Court Theatre di Liverpool, interpretando Ofelia nell’Amleto. È il settembre 1957. Negli anni successivi porta in scena altri personaggi importanti, come Caterina nell’Enrico V e Giulietta in Romeo e Giulietta, entrambi diretti da Franco Zeffirelli (che quasi quarant’anni più tardi la dirigerà nel film Un tè con Mussolini). Nel dicembre del 1961 entra nella Royal Shakespeare Company, e nel 1964 esordisce al cinema con Il terzo segreto. Vince i suoi primi due BAFTA nei quattro anni seguenti, con Alle 4 del mattino, due uomini… due donne e Talking to a Stranger, ma sarà il ruolo di Eleanor Lavish in Camera con vista (1985) a lanciarla definitivamente sul grande schermo.
Gli impegni cinematografici di Judi Dench si moltiplicano, offrendole la possibilità di recitare in molte parti regali e/o autoritarie. C’è evidentemente qualcosa di nobile nel suo sguardo glaciale, che incute rispetto e mette soggezione. Non a caso, ottiene il ruolo di M in GoldenEye (1995), film con Pierce Brosnan che rilancia la saga di 007: per la prima volta, il boss di James Bond è una donna, e trae ispirazione dalla vera Direttrice Generale del MI6 tra il 1992 e il 1996, Stella Rimington. Dench mantiene la “carica” per ben otto capitoli, fino a Spectre, ovvero l’intero ciclo di Brosnan e quasi tutta la pentalogia con Daniel Craig.
Salendo nella scala gerarchica, parimenti autoritarie sono le sue memorabili sovrane britanniche: la Regina Vittoria in Mrs. Brown (1997) e Victoria e Abdul (2017), e una sarcastica Elisabetta I nel sopracitato Shakespeare in Love, che le vale l’Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista nel 1999. Regine potenti ma benevole, diversamente da altre figure che l’hanno consacrata nell’immaginario collettivo. Esemplare il messaggio che Joe Wright le scrive per convincerla ad accettare il ruolo di Lady Catherine de Bourgh in Orgoglio e pregiudizio (2005): “Adoro quando interpreti una stronza. Ti prego, vieni e sii una stronza per me”. Missione compiuta in una sola settimana di riprese, perché Judi Dench era impegnata.
Certo, una come lei non ha bisogno di titoli nobiliari per interpretare una carogna: pensiamo al ruolo di Barbara Covett nell’ottimo Diario di uno scandalo (2006), dove l’attrice dà corpo a una solitudine esistenziale che si trasforma in morbosa manipolazione. Stellare, come la sua collega di set Kate Blanchett.
È quasi incredibile che la stessa attrice sappia infondere anche tanta dolcezza e ingenuità nei suoi personaggi, come accade con l’eponima Philomena nel film di Stephen Frears (2013), campionessa di una purezza che resta fedele a sé stessa persino quando affonda nel dolore più straziante. Il multiforme talento di Judi Dench sa sfiorare le corde dell’umanità più gentile, composta e aggraziata, la stessa che ritroviamo nella Mrs. Fairfax di Jane Eyre (2011) e nella nonna di Belfast, giusto per citare due esempi.
Dopo Enrico V, Hamlet, Assassinio sull’Orient Express, Casa Shakespeare e Artemis Fowl, non è una sorpresa che Kenneth Branagh si sia rivolto ancora a lei. In un film così personale come Belfast, il regista nordirlandese aveva bisogno di una collaboratrice fidata che si facesse emblema di amore, resistenza e nostalgia. È tutto lì, negli occhi di Judi Dench quando ricorda la meraviglia del cinema da ragazzina, e in particolare la Shangri-La di Orizzonte perduto: Branagh concentra il potere della memoria nello sguardo dell’attrice – la sua stessa nonna, nella finzione del film – e vi lascia scorrere le ombre di un passato che ormai è solo quello, un gioco spettrale di luci e oscurità.
Candidato a sette premi Oscar (compresa la nomination per Dench come Miglior Attrice Non Protagonista), Belfast filtra la Storia attraverso un ricordo intimo e delicato, mettendo in relazione l’età dell’innocenza con il caos inspiegabile dei conflitti umani. Judi Dench, di madre irlandese e padre inglese, è una presenza rassicurante che si muove tra due mondi – ma anche fra passato e presente – tanto per il piccolo Buddy quanto per noi spettatori.