I videogiochi sono ormai da un ventennio una parte integrante e importantissimo dello storytelling globale, un mondo di una complessità e fantasia sostanzialmente incredibili. Né il cinema, né la televisione, neppure la letteratura possono rivaleggiare con la sua varietà e complessità. Forse è per questo che fino ad oggi tra cinema e serie tv non si è trovato modo di creare un qualcosa che ne rispecchiasse il reale valore, che fosse all’altezza di ciò che su pc o console abbiamo conosciuto. Troppe differenze semantiche? Universi troppo diversi per mole e finalità? Mistero. Ma è un dato è certo: per ora il piatto piange. Tuttavia i cinque film che seguono, sono quelli dove se non altro si è riusciti sia a creare un film piacevole e ben strutturato, sia a far felici i fan dell’originale videoludico. La speranza è che ora con Uncharted, in arrivo nelle nostre sale il 17 febbraio, se ne aggiunga un sesto…
Sul successo dei Pokemon, basta chiedere a chi si è cimentato da poco nel Concorso per entrare nell’Arma dei Carabinieri. Persino lì è spuntata una domanda sulle creature fantasiose e colorate create da Satoshi Tajiri nel lontano 1996. Ad oggi i videogiochi a loro dedicati hanno venduto qualcosa come 270 milioni di copie. Ma come fare un film all’altezza di un monumento alla creatività nipponica?
Ci ha pensato un paio d’anni fa Rob Letterman, con un film a tecnica mista incentrato sulle avventure di Tim Goodman (Justice Smith) e del mitico Pikachu, in un mondo in cui umani e creature del fantastico vivono fianco a fianco, in perfetta armonia. O quasi…
Tim cercherà di scoprire cosa è successo al padre Harry, detective della città di Ryme City, alle prese con un’inspiegabile ondata di Pokemon resi aggressivi da un misterioso gas tossico. Ma chi si nasconde dietro questi attacchi? Chi trama nell’ombra? Ed Henry? È ancora vivo?
Rob Letterman, Dan Hernandez, Benji Samit e Derek Connolly sono autori di una sceneggiatura che garantisce divertimento, mistero, azione e anche ironia, un mix perfetto ed equilibrato che unito alla regia di Letterman, fa di questo live-action un prodotto gustoso e trasversalmente efficace.
Pokemon: Detective Pikachu porta con sé il sapore del cinema di una volta, quello in cui contava innanzitutto una bella storia, personaggi accattivanti e un ritmo calibrato, in grado di dare divertimento e leggerezza. Originale, coloratissimo, visivamente seducente grazie agli effetti speciali di Erik Nordby, Pokemon: Detective Pikachu è soprattutto un film fedele allo spirito dell’universo videoludico, senza però commettere l’errore di rimanervi incatenato.
Dalle creature fantasiose di Tajiri, agli uccelli finlandesi della Rovio Mobile, sul piede di guerra contro i maiali verdi colpevoli di avergli rubato le uova. Rispetto ad altri film tratti da videogiochi, vi era sicuramente molto più lavoro da fare in fase di scrittura, ma si può certamente sostenere che Jon Vitti abbia fatto un lavoro eccellente, fornendo ai registi Clay Kaytis e Fergal Reilly tutto ciò di cui avevano bisogno per creare un lungometraggio divertente e tutt’altro che superficiale. Protagonista assoluto è lo sfigatissimo e tutt’altro che paziente Red, che sull’Isola degli Uccelli si sente l’ultima ruota del carro, messo costantemente in ombra da chiunque, costretto a fare un lavoro che odia e sostanzialmente emarginato da tutti e soprattutto da tutte. Dopo l’ennesima esplosione di rabbia, viene costretto a seguire un corso per l’autocontrollo, ma poco dopo l’Isola viene invasa da una tribù di maiali verdi, apparentemente pacifici e divertenti. Ma Red intuisce ben presto che in realtà nascondono un secondo fine tutt’altro che nobile. Angry Birds è un film d’animazione attraversato da un’ironia sovente caustica, molto moderna, ed in cui la tematica dell’autostima, dell’integrazione e soprattutto della solitudine sono davvero ben sviluppate. Allo stesso tempo, pur garantendo un sacco di risate e divertimento, è anche un film che ci parla dell’ansia sociale, del machismo e del culto della performance come un veleno, che colpisce i diversi dalla norma, chi come Red non ne vuole sapere di essere un clone. Non è poco in fondo per un film tratto da un videogioco su uccelli che si lanciano in aria con una catapulta.
Sia chiara una cosa: questa è una delle saghe più esagerate e inutilmente lunghe della storia del cinema.
Sia chiara un’altra cosa: il primo film è senza ombra di dubbio un gioiellino nel suo genere.
Resident Evil, uscito nel 2002 per la regia del sempre coerentemente eccessivo Paul W. S. Anderson, aveva come protagonista una bellissima e superatletica Milla Jovovich, nei panni della misteriosa Alice, che si risvegliava improvvisamente in una villa ai confini di Racoon City.
Poche ore prima, in un laboratorio segreto della potentissima Umbrella Corporation, un misterioso individuo ha causato una fuga di materiale biologico segreto, attivando un sistema di sicurezza che ha sostanzialmente ucciso tutto il personale. Alice si troverà coinvolta con una squadra speciale in una ricognizione all’interno del laboratorio sotterraneo, che in breve diventerà una sanguinolenta battaglia contro un esercito di creature mostruose.
Resident Evil in quel 2002 aprì senza ombra di dubbio ad un’era di rinnovato interesse da parte del cinema per i film tratti dai videogame ma anche per l’universo degli zombie movies. Il videogioco originale, uscito per la prima volta nel 1996, è ancora oggi indicato come uno dei franchise videoludici più importanti di sempre, capace di unire in sé l’eco dei film di Romero e Carpenter, con la componente sci-fi action.
Tra combattimenti corpo a corpo, sparatorie, mostri mutati geneticamente, tradimenti e colpi di scena, questo è un film che sa andare oltre l’omaggio al videogioco così come ai cult horror sci-fi.
Qui si creò un nuovo universo narrativo, col tempo certamente degenerato verso il kitsch e pecoreccio testosteronico più estremo, ma che ebbe nei primi tre film (ed in questo in particolare) qualcosa di fantasioso e sicuramente genuino.
Si esatto. Il picchiaduro più famoso di tutti i tempi non ha avuto ciò che meritava dal mondo del cinema grazie al film del 1995 (ma come si fa a pensarlo?) e neppure dal pur gradevole remake dell’anno scorso.
Nossignore, Mortal Kombat è stato onorato da questo film d’animazione firmato nientemeno che da Ethan Spaulding, regista anche della bellissima serie animata dedicata a The Last Airbander.
Mortal Kombat: Scorpion’s Revenge è un film d’animazione violentissimo, gargantuesco, pieno di black humor ma anche di epicità, con combattimenti spettacolari e i mitici personaggi creati da Ed Boon e John Tobias che risplendono in tutta la loro sanguinosa gloria.
Di base la sceneggiatura di Jeremy Adams è un perfetto mix tra fantasia e i pilastri narrativi di una saga che è stata capace di evolversi nel corso degli anni fino a diventare una delle più complesse e accattivanti, tanto da generare anche una saga comics.
Protagonista è il temibile ninja Hanzo Hasashi, di cui seguiamo il sentiero di vendetta verso il clan rivale capitanato dall’altrettanto iconico Sub-Zero, che gli ha trucidato la famiglia e lo ha infine ucciso. Ma nel Reame Sotterraneo, gli viene offerto dallo stregone Quan Chi di tornare in vita e di ottenere la sua vendetta durante il Mortal Kombat tournament, con il nome di Scorpion.
Naturalmente il proseguo è un turbine di duelli, battute al vetriolo, sangue e le mitiche fatality, rese in modo sublime dalle animazioni dello studio coreano Mir. Di certo per i fan della saga, riabbracciare Liu Kang, Johnny Cage, Sonya Blade, Goro e tutti gli altri personaggi è stato di gran lunga più piacevole qui che nei due live-action del grande schermo. Sostanzialmente il film che tutti abbiamo sempre sognato da quando spendevamo letteralmente anni della nostra vita in sala giochi.
Chi l’avrebbe mai detto che dal videogioco della Ubisoft, sarebbe stato tratto un film così divertente e gustoso? Werewolves Within (tradotto in italiano con un terribile A Cena con il Lupo) è stato un videogioco deduttivo e d’indagine per PC e PlayStation 4 in formato VR e multiplayer molto originale e arguto.
Josh Ruben, basandosi su una sceneggiatura di Mishna Wolff, ha sostanzialmente ricalcato la struttura del thriller a tinte horror, con abbondantissime dosi di ironia e decostruzione del genere mannaresco a dir poco azzeccatissime.
Protagonisti sono i bizzarri e alquanto poco socievoli abitanti della città montana di Beaverfield, con cui è chiamato a fare i conti il nuovo poliziotto della forestale Finn (Sam Richardson), che ha da poco preso servizio nella Contea. Accolto inizialmente con ostilità e diffidenza, sarà chiamato infine a risolvere un’escalation di cadaveri sbranati che in breve getteranno nel completo terrore gli abitanti. Ma chi è il Lupo Mannaro tra di loro? Perché si è rivelato solo ora? E se invece fosse tutta una montatura?
Werewolvers Within è da certi punti di vista forse il miglior film in questa lista, un b-movie orgoglioso di esserlo, con tutta la sperimentazione, libertà narrativa ed espressiva che si confà a questo universo capace di regalare perle da decenni.
Con un cast azzeccatissimo e una trama tanto divertente, esagerata, quanto meticolosa nel creare suspence e togliere certezze in continuazione, Werewolves Within non cala mai di ritmo, non si prende sul serio ma neppure imbocca la poco raccomandabile strada della parodia esagerata in salsa Scary Movie.
Senza ombra di dubbio un film gradevolissimo, ben scritto, ben recitato e che è l’ideale per passare una serata in compagnia di una delle creature della notte più iconiche, ma senza doversi arrendere a deja vu o alla noia. Consigliatissimo.